Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Sinfonica 2022.
Orchestra della Fondazione Arena di Verona
Direttore Pietro Rizzo
Oboe Francesca Rodomonti
Richard Strauss: Concerto in re maggiore per oboe e piccola orchestra TrV 292; Suite da “Der Bürger als Edelmann” op. 60
Verona, 29 aprile 2022
Cominciamo col dire che il programma presentato al 7° concerto della Stagione Sinfonica era di raro ascolto eppure accattivante nella proposta; Richard Strauss non è mai stato una presenza costante a Verona se non ad opera di qualche blasonata orchestra internazionale ospite dell’Accademia Filarmonica. Eppure la musica del bavarese non è impenetrabile (Giuseppe Sinopoli invitava a mettersi in silenzioso ed umile ascolto per entrarvi in sintonia) ma la scarsa affluenza di pubblico, tratto ormai costante di questa stagione sinfonica ha rivelato una certa reticenza dei veronesi a forzare i consueti ambiti di programmi consunti e collaudati. Un vero peccato questo, perché l’offerta proposta finora ha rivelato un certo acume organizzativo e questo Strauss ne è stata una prova concreta. Tralasciando la scomoda omonimìa con il collega viennese dei valzer (sulla quale Verdi rischiò di incappare in una clamorosa gaffe fortunatamente sventata dall’editore Ricordi), Richard Strauss passò alla storia per la dicotomia artistica compositore/direttore sulla quale costruì la sua celebre carriera, alla quale aggiunse un particolare talento nell’orchestrazione, talento riversato soprattutto nel genere del poema sinfonico. Entrando nel merito della serata, il programma si è aperto con un piccolo gioiello, quel Concerto in re maggiore per oboe e piccola orchestra appartenente all’ultimo periodo creativo del musicista di Monaco (insieme alle Metamorphosen e ai Vier letze Lieder); una creazione ispirata da un oboista americano, arruolato e di stanza nella Germania appena uscita dal secondo conflitto mondiale, che esortò il sorvegliato speciale Strauss (in odore di collaborazionismo nazista) a scrivere un concerto per questo strumento. Un capolavoro in cui il modello classico (soprattutto mozartiano) si coniuga con assoluta perfezione al personale gusto orchestrale, armonico e dell’invenzione musicale. Solista era la giovane Francesca Rodomonti, prima parte dell’orchestra veronese, che si è dimostrata grande interprete sapendo dominare gli impervi passaggi tecnici (l’oboe è uno strumento a fiato, delicato nei meccanismi e la condensazione del fiato può sempre giocare qualche scherzo nella qualità del suono) risolvendoli con straordinario senso estetico e singolare afflato musicale. Una grande interprete sulla quale la Fondazione dovrà giocoforza investire in futuro, ampiamente applaudita dal pubblico al quale ha concesso un bis bachiano. La seconda parte offriva all’ascolto la suite da Der Bürger als Edelmann op. 60 (Il borghese gentiluomo), musiche di scena che Strauss scrisse nel 1912 per un originale adattamento della commedia di Molière, adattamento che differiva dall’originale musicato da Lully per la riduzione degli atti e per un’opera che andava a sostituire il gran ballo finale. Il risultato fu un non ben definito connubio tra opera e recitazione che non convinse il pubblico e la critica ma persuase l’autore a smembrare il suo lavoro, svincolandolo dalla prosa di Molière e a riutilizzare le musiche composte riversandole poi nella successiva Ariadne auf Naxos del 1916 e ricavandone la suite op. 60 che abbiamo potuto ascoltare in prima esecuzione al Filarmonico. Un altro piccolo gioiello in cui la sperimentazione timbrica, l’idea melodica e le sottili trame allusive attingono (nel numero finale) a Meyerbeer, Wagner, Verdi e persino all’omonimo viennese Johann; anche la scelta di un’orchestrazione ridotta, ma ricca di fiati e percussioni e con l’aggiunta di un pianoforte conferisce una dimensione quasi cameristica ad una creazione che oscilla tra pastiche, musiche di scena, prosa e ballo.
Alla guida dell’Orchestra della Fondazione, ottima nella resa e per nulla intimorita dal cimento con uno dei più grandi sinfonisti del secolo passato, tornava a distanza di una settimana Pietro Rizzo che ha saputo convogliare tutta la sua energia musicale nell’assecondare l’oboe senza mai perdere di vista la trama orchestrale e la ricerca timbrica. Analogamente, nella suite ha svelato tutta la trasparente sonorità strumentale bilanciandone gli esiti ed assicurando un delicato equilibrio tra l’organico sottilizzato degli archi e la corposità dei fiati e delle percussioni. Un meraviglioso affresco musicale da ascoltare tutto d’un fiato, che ha confermato le straordinarie doti di un’orchestra che sta veramente lavorando bene e che merita una maggior considerazione da parte della città e l’appoggio della fondazione di cui è massa artistica (a quando un direttore stabile?). Appuntamento al 20 maggio per l’ottavo ed ultimo concerto prima della grande kermesse areniana. Foto Ennevi per Fondazione Arena