“LA BOHÈME”
Opera in quattro “quadri” di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, ispirato al romanzo di Henri Murger “Scene della vita di Bohème”
Musica di Giacomo Puccini
Mimì FEDERICA LOMBARDI
Musetta VALENTINA NAFORNITA
Rodolfo JONATHAN TETELMAN
Marcello DAVIDE LUCIANO
Schaunard ROBERTO LORENZI
Colline GIORGI MANOSHVILI
Benoît ARMANDO ARIOSTINI
Alcindoro BRUNO LAZZARETTI
Parpignol VINICIO CECERE
Venditore ambulante GIORDANO MASSARO
Sergente dei doganieri ALESSANDRO FABBRI
Doganiere DANIELE MASSIMI
Orchestra e coro dell’Opera di Roma
Direttore Michele Mariotti
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Istallazione e regia Mario Martone
Costumi Anna Biagiotti
Luci e direzione della fotografia Pasquale Mari
Trasmissione televisiva, Rai Tre, 08 aprile 2022
Terzo capitolo del progetto realizzato dalla RAI Cultura e dall’Opera di Roma concepito e sviluppato durante i mesi del confinamento sanitario arriva ora in prima serata su Rai Tre una nuova versione cine-televisiva de “La bohème” che segue alle analoghe produzioni de “Il barbiere di Siviglia” e “La traviata” viste nello scorso biennio.
Lo spettacolo di Mario Martone trova un suo senso all’interno del progetto. L’intera trilogia è prima di tutto un atto di amore per il teatro, per i suoi luoghi e i suoi spazi con uno sguardo che è andato progressivamente ampliandosi dal plesso palcoscenico/platea (ne “Il barbiere di Siviglia”), all’intero complesso del Costanzi (“La traviata”) per integrare ora gli spazi produttivi esterni al teatro e in modo specifico il laboratorio di scenografia in Via dei Cerchi con l’incomparabile veduta del Circo Massimo e delle sostruzioni della Domus Severiana che si apprezzano dal terrazzo dello stesso. Dopo gli spazi della rappresentazione ora si omaggiano quelli in cui nasce la magia dell’opera così che il dramma di Rodolfo e Mimì si consuma tra i laboratori degli scenografi e le sartorie dei costumisti, tra i mille oggetti di quell’alto artigianato da cui nasce lo spettacolo lirico nella sua completezza. Le particolarità della registrazione (la presa di suono non ci è parsa entusiasmante) hanno influito, specie il II atto ne è stato penalizzato con l’impossibilità in quel momento di montare le grandi scene corali così che molti momenti si sono più che altro ascoltati mentre seguivamo i protagonisti sulla strada verso il Caffè Momus tra vedute di una Parigi forse più sognata che reale. Una lettura di questo tipo non può essere giudicata secondo criteri tradizionali ma vista nella specificità dell’occasione. I costumi anni 60-70 del Novecento, omaggio alla nouvelle vague del cinema francese non disturbavano né contrastavano con la vicenda. Rispetto ai titoli precedenti il risultato ci è parso meno riuscito nel complesso, “La bohème” non è la perfetta macchina teatrale de “Il barbiere di Siviglia” né l’archetipo tragico di “La traviata”, è soprattutto un’atmosfera, un colore ambientale crepuscolare e malinconico di piccole cose in piccoli spazi che nella vastità del complesso utilizzato veniva inevitabilmente a perdersi.
Oltre ogni elogio la cura per la recitazione dimostrata da Martone maestro nel dare a ogni gesto, anche minimo, una sua pregnanza di significato e in cui nulla appare lasciato al caso ma tutto frutto di uno studio attento e profondo.
La direzione di Michele Mariotti ci è parso l’elemento più rilevante sul piano musicale. Mariotti opta per una lettura antiretorica, essenziale e moderna. Una direzione che non indugia in quel facile patetismo cui un certo puccinismo deteriore ha spesso ridotto l’interpretazione pucciniana ma ne offre una lettura curatissima sul tessuto ritmico e armonico in cui l’emozione nasce dalla qualità della scrittura musicale e non dal ricorso a facili effetti. Una direzione fatta di linee nitide e precise, ritmi brillanti – quale autentica gioia sprizzano le linee musicali nei momenti più festosi – di colori tenuti e smaltati. Mariotti non si fa trascinare da inutili turgori orchestrali – magnifico il finale di un’intensa essenzialità senza nessuna magniloquenza wagnerianizzante – ma accarezza la partitura con un’eleganza di gusto quasi francese.
L’occasione – e immagino le buone disponibilità economiche – avrebbero potuto portare a migliori scelte sulla compagnia di canto in cui più di un elemento ci è parso non staccarsi da un buon mestiere di fondo. Certo la scelta ha tenuto conto della dimensione cinematografica e della credibilità estetica degli interpreti però forse si poteva fare qualche cosa in più.
Emergono le interpreti femminili. Federica Lombardi è uno dei maggiori talenti emersi sulla scena italiana. Mimì non è il ruolo il cui la natura di soprano drammatico d’agilità e la propensione verso un canto classicamente tragico possano emergere al meglio. Restano una voce ricchissima di armonici, sontuosa in tutta la gamma, è una pulizia di canto ammirevole. Anche scenicamente ci è parsa molto convincente nel tratteggiare un personaggio dolce ma non ingenuo, con una nota civettuola che troppo spesso si trascura.
Valentina Nafornita è una Musetta elegante nel canto e nella figura, dal bel timbro vocale e dalla notevole qualità di canto, interprete sensibile e puntuale tratteggia un personaggio ricco e sfumato in cui emergono bene gli elementi più autentici e profondi di una figura solo in apparenza superficiale.
Jonathan Tetelman ci è perso il migliore sul versante maschile. Il giovane tenore cileno non dispone solo di una bella presenza scenica, da autentico attore, ma anche di una schietta voce tenorile – forse più da lirico spinto che da lirico puro – dal colore luminoso e dalla buona facilità in acuto. Considerando la giovane età e le qualità dimostrate un cantante da seguire con interesse.
Davide Luciano resta – almeno a parere dello scrivente – sempre un po’ a metà del guado. Canta più che discretamente e interpreta con intelligenza ma resta sempre l’interpretazione di freno a mano tirato, un poter dare di più, un ultimo passo da compiere. La voce appare un po’ arida come timbro. Rispetto al “Roberto Devereurx” di Palermo ci è parso in ogni caso molto più a suo agio come Marcello e la prestazione complessiva ne ha giovato.
Roberto Lorenzi (Schaunard) e Giorgi Manoshvili (Colline) cantano discretamente ma non si elevano da un buon mestiere di fondo e le loro prestazioni scorrono senza riuscire a imprimersi nella mente degli ascoltatori. Ottimo attore, vocalmente in disarmo, Armando Ariostini come Benoît, più in forma è parso Bruno Lazzaretti (Alcindoro) anche se sfuggono le ragioni di affidare a un tenore una parte scritta per basso buffo. Completano il cast Giordano Massaro (un venditore ambulante), Vinicio Cecere (Parpignol), Daniele Massimi (un doganiere) e Alessandro Fabbri (sergente dei doganieri). Foto Fabrizio Sansoni.
L’opera è ancora visibile sul portale Raiplay