Farsa musicale in due atti e cinque quadri su libretto proprio e di Ernesta Rinaldi, dalla commedia “Le chapeau de paille d’Italie” di Eugène Labiche e Marc Michel. Prima rappresentazione: Palermo, Teatro Massimo, 21 aprile 1955.
Nino Rota è stato un musicista che ha occupato un posto del tutto particolare nel panorama della musica italiana, con caratteristiche di stile ben definiti. Questa sua originalità – che si potrebbe anche definire “isolamento” – questa sua originalità, dunque risulta ancora più clamorosa se messa in rapporto alle problematiche spirituali e stilistiche che, più o meno, hanno condizionato la creatività della musica contemporanea non solo italiana.
Nino Rota, infatti, è stato assolutamente estraneo a qualsiasi tendenza sperimentale e d’avanguardia. Ha vissuto felicemente nel suo mondo fatto di schietta spontaneità, di funzionale semplicità, priva di malizie, di sarcasmi polemici; potrebbe sembrare, sotto l’aspetto della felicità inventiva e della facilità di immaginazione un musicista del Settecento, con il più il sospetto dell’autentico piacere dell’esprimersi musica, con una libertà assoluta di atteggiamenti e per il gusto di un divertimento che soddisfa lui stesso, nell’atto stesso di creare, prima ancora di chi ascolta.
A nostro parere, il contatto che Rota ebbe con grandi maestri, come Alfredo Casella, Rosario Scalera, Fritz Reiner, Ildebrando Pizzetti, che furono le sue guide del periodo di formazione, non lo influenzarono eccessivamente. Più di tutto contò la spiccata personalità della sua natura artistica estremamente versatile, e una saggia conformazione spirituale che gli permisero di misurare il mondo con la classica misura del più fine umorismo. Il cappello di paglia di Firenze, farsa musicale, come egli stesso l’ha definito, ci sembra la dimostrazione più evidente di questa sua personalità e delle sue qualità più intrinsiche.
Il teatro musicale comico di quegli anni ha una sua problematica che può portarlo, da un lato, ad un certo tipo di strumentalizzazione al servizio di idee e di principi, e, dall’altro, ad un gioco astratto di proposizioni intellettuali, di risultanze di mode, e ad un campo di esperimenti fini a se stessi. Rota si è sempre tenuto lontano da queste strade. Con un occhio alla tradizione e l’altro ai fini precisamente funzionali del divertimento puro, ha proseguito con disinvoltura sulla strada della giovialità della comunicativa immediata, senza sottintesi e, solamente, con qualche allusione che rientrava anch’essa nel gioco elegante e pulito delle situazioni e dei personaggi.
Per Nino Rota Il racconto del ultracentenario vaudeville di Labiche e Michel rappresentava una bella occasione. La vicenda, infatti è imperniata sulla ricerca di un cappello di paglia di Firenze, esattamente a quello che il cavallo del giovane Fadinard (tenore) si è tranquillamente inghiottito. Il cappello che aveva servito da pasto al cavallo, apparteneva ad una graziosissima signora dalla moralità un po’ vivace.
Fadinard, però, quando accade il guaio, è sul punto di sposarsi; e, perciò, costretto a rimandare il matrimonio e a darsi alla disperata ricerca di un cappello uguale a quello scomparso. Inseguito dalla sposina (soprano) piangente, dal suocero (basso) furente e dal codazzo degli invitati, egli fruga per mezza Parigi. Alla fine, proprio quando stava perdendo ogni speranza e vedeva crollargli addosso la tanto sospirata situazione matrimoniale, trova quel che affannosamente ha cercato, fra i vari regali di nozze.
Il cappello di paglia di Firenze, dunque, non è che il motivo che apre la via ad un concatenarsi, preciso ed ineluttabile, di situazioni entro le quale si agitano dei personaggi impeccabilmente disegnati in chiave gustosamente umoristica. Con grande naturalezza, la musica di Rota entra nel meccanismo come elemento primario di divertimento e di rilassante e garbata ironia. L’opera fu rappresentata per la prima volta a Palermo, il 21 aprile 1955, con grande successo, poiché è un’opera che ha una presa diretta ed immediata sul pubblico. Infatti, lo stesso successo non è mancato quando è stata ripresa in tanti altri teatri italiani e stranieri. I giudizi della critica furono contrastati, ma tolsero nulla al piacere di ascoltare l’opera di Rota, divertendoci senza problemi, senza premesse e con la sola conseguenza di qualche schietta risata. Disegno di Peter Hoffer – Archivio Storico Ricordi