Milano, Palazzo Reale: “Ferdinando Scianna. Viaggio Racconto Memoria”

Dal 22 marzo 2022 al 5 giugno 2022
Orari: dal martedì alla domenica 10.00 – 19.30 / giovedì chiusura alle 22.30
Biglietti: Intero 14 € / Ridotto 12€
È una bella coincidenza quella di poter visitare una mostra fotografica a Milano di Ferdinando Scianna proprio quando, in questo stesso torno di tempo, ne sta avendo luogo un’altra su Henri Cartier-Bresson (qui la nostra recensione). Proprio Scianna, infatti, si professa essere un suo adepto. Le circa 200 fotografie esposte, rigorosamente in bianco e nero, rappresentano il percorso antologico della sua attività; ma non solo, ci mettono davanti alla poetica dell’artista (nonostante la ritrosia spesso dichiarata ad essere chiamato in tal modo). Le feste religiose siciliane lo videro collaborare – poco più che maggiorenne – con Leonardo Sciascia alla prima pubblicazione dei suoi scatti. Queste pubblicazioni, da lì in avanti, furono numerose, e sono esposte nella prima sala: la sua attività di fotografo, di fatto, si connota sin da subito come attività intellettuale. La visita è accompagnata dal commento dell’audioguida (compresa nel biglietto), in cui la voce dello stesso Scianna ci illustra il suo percorso artistico e il suo modo di concepire la fotografia. L’esposizione non è quindi cronologica, ma piuttosto tematica e poietica, basata sui tre pilastri presenti nel titolo: viaggio racconto memoria. Essa parte dalla Sicilia, e dalla decisione di Scianna di fare il fotografo. Il padre palesa delle riserve: “Che mestiere è? Uno che ammazza i vivi e resuscita i morti!”. Lo stesso Scianna ammette che ha compreso solo con il passare del tempo la portata filosofica di questa dichiarazione. Successivamente si trasferirà a Milano, e così arriveranno i reportage, come quelli in mostra su Bolivia, Mali ed Etiopia (Scianna segue la strada del fotoreporter come il suo modello Cartier-Bresson). Proseguendo, arriviamo ai ritratti, i cui personaggi furono spesso suoi importanti punti di riferimento culturale (Borges, Cartier-Bresson, Kundera); e poi i viaggi in America e a Parigi; per infine approdare, e terminare il percorso, con i servizi di moda. Il catalogo è di una certa qualità, e, pur presentando (in maniera ottima, sia chiaro) le fotografie e le didascalie presenti in mostra, non sfrutta i molti “spunti poietici” presenti nell’audioguida per dei saggi. Infatti, in più occasioni, Scianna ci informa su cosa sia per lui la fotografia. Cerchiamo di riassumere quel che ci comunica in questa mostra. Le fotografie sono citazioni visive, sono quel vivere nel presente, pensando il presente nel momento in cui lo si vive; per poi rendere quello stesso presente, nella foto, passato; ma, ciononostante, ogni volta che quella foto sarà poi ripresa in mano, essa ridiverrà presente, perché riletta. Non finisce qui, servono anche per catturare l’inafferrabile: forse si fanno fotografie proprio per ricordare quello che non si è ricordato nel momento. Ma rappresentano anche quel tentativo di dare una risposta. Fotografando si pone sempre quell’eterna domanda al mondo, similarmente a quella che di solito ci si pone davanti agli specchi (da qui, la presenza degli specchi in molti suoi scatti): un domandarsi della vita sulla vita, della bellezza sulla bellezza, e così via: una domanda che genera altre domande, ma che ci pone davanti solo l’immanenza del reale. Difatti, per Scianna, le fotografie non servono per fare metafore o esprimere concetti, ma piuttosto mostrano e non dimostrano un momento unico e irripetibile: sono uno strumento di narrazione dell’esistenza, sulla scorta dell’insegnamento bressoniano, secondo cui gli scatti dovevano racchiudere un racconto. La fotografia sarebbe quindi paragonabile alla letteratura? Lo stesso Scianna parte dall’etimologia: fotografare è scrivere con la luce? No, è piuttosto un leggere ciò che il mondo ha scritto, con un esplicito riferimento a Borges. Evidente che si riferisca soprattutto a Un lettore: “Gli altri si vantino per le pagine che hanno scritte; / io vado orgoglioso per quelle che ho lette. / Non sarò stato un filologo, / […] / ma nel corso degli anni ho professato / la passione della lingua. / Le mie notti son piene di Virgilio; / aver saputo e scordato il latino / è possederlo, perché anche l’oblio / è una forma della memoria, la sua vaga cava” eccetera. Vorremmo citarla e analizzarla per intero, ma dobbiamo proseguire. Se fino a questo momento sembra evidente quanto Scianna sia fedele alla poetica di Cartier-Bresson, nell’ultima sala lui stesso confessa quanto violò con piacere il tabù bressoniano, perché accettò di fare delle foto di moda per Domenico Dolce. La modella fu la splendida olandese Marpessa Hennik, e nel farle dovette ammettere a se stesso quanto stesse provando passione e felicità nello scattare delle foto di “pura finzione”: alla fine dei conti, non c’era poi tanta differenza tra quella finzione e le foto che catturano il momento. Infatti, essendo quel servizio ambientato in Sicilia, Scianna scavò nei ricordi siciliani dell’infanzia, rivivendoli. Sempre in merito a quest’ultimo servizio notiamo un’altra cosa: in più foto scattate tra le strade di Palermo è presente un garzone di macelleria con un grosso tocco di carne portato in spalla, che ci fa ricordare un altro scatto visto qualche sala prima, quello con una vecchia signora rugosa fotografata a Mali con un torso di carne macellata appeso che incombe sulla sua testa.
Oltre alle possibili letture, e alle considerazioni su “scatto del reale” e “scatto di finzione”, possiamo identificare dei riferimenti alla pittura? Parliamo delle macellerie dei fiamminghi del Cinquecento, dell’Italia lombardo-emiliana (dai Campi ad Annibale Carracci), e che poi arriva – citiamo tutto alla rinfusa e in maniera sparuta – a Francis Bacon o alla Vucciria di Guttuso (caso vuole che la Vucciria sia proprio a Palermo, e anche Guttuso sia di Bagheria come Scianna). C’è un collegamento? E se sì, quale? Opere di questo tipo, in cui intervengono svariati stimoli, anche inconsci, sono di per sé complesse. Senza scomodare qui grandi filosofi, basti pensare ai “pensieri associativi” e ai “segnali di vita” di Battiato. Ma avviamoci a concludere. Abbiamo voluto accennare solo brevemente ai molti studi che fotografi come Scianna possono sollecitare, considerata anche la sua nutrita bibliografia (di cui dobbiamo almeno citare Lo specchio vuoto, che presenta una raccolta delle argomentazioni via via espresse negli anni). Forse studi terzi in una personale di un artista che si racconta in prima persona potrebbero sembrare fuori luogo, ma così non è. L’interessamento di Foucault all’arte di Magritte, dopo che lo stesso Magritte sollecitò via lettera la sua attenzione in seguito alla lettura dei saggi del filosofo, ne è una prova. Quello di abbinare degli studi ad una mostra non è, quindi, nelle nostre intenzioni, un intento da “filologo”, ma piuttosto da “lettore”. Infatti, senza intellettualoidismi il fine comune e dell’artista e dello studioso è, e dovrebbe sempre essere: come l’uomo percepisce-esprime-pensa il mondo? Non c’è altro da aggiungere.