Opera in due ati in due atti su libretto di Ingeborg Bachmann, da Der Affe als Mensch di Wilhelm Hauff ispirato da Der Scheik von Alexandria und seine Sklaven. Prima rappresentazione: Deutsche Oper Berlin, 7 aprile 1965.
Hans Werner Henze ha composto Der Junge Lord nel 1964, su commissione della Deutsche Oper Berlin, che lo ha messo in scena il 7 Aprile 1965 con la direzione di Christoph von Dohnanyi, la regia di Gustav Rudolf Sellner e con le scene e costumi di Filippo Sanjust. Il successo fu clamoroso. Der Junge Lord, nel giro di pochi mesi viene rappresentato nei teatri di Stoccarda, Kassel, Hannover, Colonia per poi passare ai teatri internazionali. Il libretto del Junge Lord è stato firmato da uno tra i massimi nome della poesia tedesca, quello di Ingeborg Bachmann; la quale ne ha tratto liberamente il soggetto da una novella moraleggiante di uno scrittore del secondo romanticismo tedesco, Wilhelm Hauff (1802-18279. Racconta la storia di una beffa giocata da un ricco inglese agli abitanti di una cittadina tedesca. Dall’arrivo del gran signore straniero costoro attendono avidamente modelli di “bon ton” internazionale, e credono di vederli nel contegno stravagantissimo di un suo nipote; il quale alla fine si rivela esere invece una scimmia che l’inglese ha ammaestrato per prendersi gioco di loro.
Scrittrice abituata a tematiche drammatiche, la Bachmann al ha accolto lo spirito della novella senza riserve mentali, rendendole anzi più brillanti moltiplicando le situazioni e i personaggi in senso spiccatamente comico, alleggerendo il tono moralistico, conducendo la satira del provinciale tedesco senza acredine e senza forzature, segunedo le idee del compositore. Nella sua vasta produzione di quegli anni mancava un’opera comica; e a questo genere Henze si voleva avvicinare, a questo punto della sua carriera, per un naturale bisogno di uno sfogo di divertimento, dopo un periodo dominato da musiche tendenzialmente aspre, angosciose. Così si è espresso lui stesso; sottolineando anche di essersi voluto esprimere, talvolta in un linguaggio deliberatamente “tonale”, un linguaggio cioè in cui le note avessero un senso tonale univoco. Non possiamo però definre Der Junge Lord come un’opera tradizionale, ottocentesca, addirittura buffa pura e semplice.
Anche se lontana dall’avanguardia più di qualunque altra musica di Henze, quest’opera è tuttavia “moderna”: alla sua base la chiarezza di strutture, ritmi, procedimenti desunti dell’opera comica tradizionale ottocentesca (da Rossini al Falstaff e al Rosenkavalier), una chiarezza poi continuamente smentita da qualcosa che rende l’immagine musicale sfuggente, ambigua. Nelle figure che si presentano davanti a noi si insinua quasi sempre un che di inafferrabile: come se l’autore, dopo averle disegnate nettamentete, ha voluto intenzionalmente cancellarne qualche tratto essenziale delle loro fisionomie. Talvolta questo effetto è raggiunto dalla relativa indistinzione melodica del loro canto, qualche altro dalla corrosione che volubili arabeschi strumentali, pieni di spezzettat politonali agiscono ai margini di un canto, invece, tematicamente ben definito. La velocità stessa di questa partitura tende a sfumare i richiami tematici di cui è costituita, evitando di sottolinearli.
In questa dialettica è la “modernità” di quest’opera: in questo insinuare un lieve vertigine, un turbamento qualche volta addirittura un sospetto di inesistenza in un contesto, invece, solidamente delineato, e qualificato da una ilarità che vorrebbe lasciarsi godere in quanto tale, cioè bene al di sopra delle sue occasioni satiriche. Appunto perciò questa ilarità può arrivare a distorcersi, nell’ultima scena, in una sorta di sgomento.