Torino, Auditorium RAI “A.Toscanini”, Stagione Sinfonica 2022. 10°concerto.
Orchestra Sinfonica Nazionale RAI
Direttore Fabio Luisi
Pianoforte Federico Colli
Ludwig van Beethoven: Concerto n.4 in Sol Maggiore per pianoforte e orchestra op.58 (1806); Antonin Dvořák: Sinfonia n.9 in mi minore op.95 “Dal nuovo mondo” (1892-93)
Torino, 22 Aprile 2022
Le due partiture, in esecuzione questa sera, segnano i confini del secolo che ha visto, in politica, il congresso di Vienna del 1815 ricomporre il “disordine” napoleonico e i rinvigoriti nazionalismi apprestare il “caos” del primo conflitto mondiale. La musica segue un eguale travagliato percorso: abbandona le sicurezze del classicismo, per inabissarsi, o, da altri punti di vista, innalzarsi, un’ultima volta, nell’appassionata stagione romantica per poi ricadere nella babelica confusione dei linguaggi plurimi del ‘900.Beethoven fissa, nel passaggio del secolo, un confine definito: la forma complessiva della composizione, che lo tiene ancorato a quanto da Vienna è stato codificato, cede all’urgenza espressiva che lo spinge a demolirla. Se l’impianto dei tempi resiste, il contenuto e il collegamento degli stessi vengono sconvolti da una irrefrenabile libertà di linguaggio che lo condurrà poi, nell’ultimo periodo compositivo, a riprendere e rinvigorire alcune antiche pratiche del barocco, quali la variazione e la fuga. Nel sereno e luminoso 4° Concerto per pianoforte stiamo a metà del guado. Un primo tempo Allegro moderato, in cui la forma sonata si dispiega, con i suoi temi contrastanti, in tutta la sua splendente efficacia. Il secondo Andante con moto, misteriosissimo moto dell’anima, con assoluta libertà espressiva e folgorante brevità, ci spinge, quasi senza sosta, nell’entusiasmante ebrezza del Rondò vivace finale. L’accoppiata Luisi/Colli, nella reciproca divergenza d’intenti, ne sortisce magnificamente. Il direttore Fabio Luisi, indulge sempre all’opulenza orchestrale e ai toni caldi degli archi gravi e dei corni che, in questo caso, fungono da richiamo alla tradizione, alla compostezza e all’ordine. Il pianista, Federico Colli, trentatreenne bresciano, smilzo folletto, elegante come un dandy, dalla ricciolutissima “zazzera corvina”, ci incanta con un suono “nuovo”, appassionato e brillante. Il tocco, vivace e leggero, emerge sempre dalla pur ricca orchestra e si espande naturalmente sonoro in tutta la sala. Il fraseggio, coinvolgente ed appassionato, trova i suoi apici nella splendida cadenza beethoveniana del 1°tempo che ne esce, per libertà espositiva, come una toccata d’improvvisazione; anche nel misterioso dialogo con l’orchestra del tempo 2° è il pianoforte che tiene banco con un fraseggiare avvincente per intensità espressiva e colori cangianti. La saggistica e i commenti musicali hanno sempre focalizzato l’esecuzione delle prime cinque battute del concerto da Beethoven affidate, eccezionalmente, al solo strumento solista, Colli pare farne emergere il suono, in una incantata meravigliosa progressione, dalle acque famigliari dell’Iseo. In questa battaglia ingaggiata tra orchestra passatista e pianoforte, giovanilmente disinibito, si intuisce chi si aggiudichi gli applausi e i “bravo!” del pubblico, fitto di entusiasti ventenni. Il plauso comunque generale è stato meritatissimo e ha gratificato un’esecuzione che rimarrà indelebile nei nostri ricordi. Colli ha concesso due fuori programma che, prassi sempre lodevole, egli stesso, con voce sicura e chiara, ha annunciato: la trascrizione di “lascia ch’io pianga” dal Rinaldo di Handel, quanto mai adatta ai tempi nefasti che viviamo e la scatenata sonata in re minore k1 di Domenico Scarlatti. Qui si è evidenziato lo scarto che separa la consapevolezza interpretativa, unita ad un’educazione musicale ed umanistica completa dalla meccanica precisione digitale cino-coreana, anche se quest’ultima è di gran voga in concerto, nei cd, nei media e vince nei concorsi.
La seconda parte della serata ci porta alle soglie del Novecento con la sinfonia “Dal nuovo mondo” di Dvorak. La forma sinfonica ha ormai dato tutto quel che poteva dare e quanto vi sopravvive, pur nominalmente ancora “sinfonia”, è altro. Dvorak, brahmsiano per convinzione e devozione, cerca di infondervi nuova forza con la linfa della tradizione popolare. La sua costante ispirazione fa capo a canti popolari boemi, imprescindibili temi su cui edificare, con procedure largamente derivate dalla prassi brahmsiana, le sue musiche. Per tre anni, insegnante di musica a New York, cercò di appropriarsi del folclore locale e compose, il titolo ne è rivelatore, questa sinfonia, con inserzioni di musica “etnica” americana o presunta tale. Piacevolissima all’ascolto è forse anche troppo presente nelle locandine delle stagioni concertistiche. Fabio Luisi, che di queste musiche e di quelle stagioni artistiche è uno specialista, dalla sontuosa orchestrazione ci cava il meglio senza attenuare gli effetti più compiacenti e scontati. Il maestro genovese è un sicuro e navigato conduttore di orchestre e dalle stesse è, da sempre, molto apprezzato e amato; lo attestano i leggii ripetutamente percossi al termine dell’esibizione. Anche il pubblico ne subisce il fascino e gli è calorosamente e sonoramente grato.
I siti di RAICULTURA e di Radio 3 ripropongono il concerto del 21 Aprile, corredato dai sempre interessanti commenti di Susanna Franchi e da una coinvolgente intervista a Federico Colli. Non va poi perso il primo bis della serata che, in luogo dell’aria del Rinaldo, propone un formidabile “rondò alla turca” di Mozart riscritto dal Fazil Say, giovane compositore e pianista turco.