Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Sinfonica 2022.
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Vittorio Bresciani
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Johannes Brahms:“Tragische Ouvertüre” op. 81; “Schicksalslied” op. 54; Robert Schumann: Sinfonia n. 4 in re minore op. 120
Verona, 11 marzo 2022
Prosegue la Stagione Sinfonica della Fondazione Arena con il terzo concerto al Filarmonico. Sul podio Vittorio Bresciani, celebrato virtuoso del pianoforte e grande interprete lisztiano da tempo votato anche alla direzione d’orchestra, per un programma classico ed assolutamente godibile. La scelta dei brani non era casuale ma, andando a ritroso, ha celebrato uno dei sodalizi musicali più celebri della storia della musica, quello basato sulla profonda stima ed amicizia che legò Johannes Brahms al suo mentore Robert Schumann.
Ad aprire la serata il compositore di Amburgo con la Tragische Ouvertüre op. 81, scritta nel 1880, composizione che richiama la mitologia nordica delle ouvertures di Carl Maria von Weber ma perfezionata dal temperamento vigoroso di Brahms. Una narrazione tesa e tormentata, nonostante il compositore fosse assai più interessato a catturare ed impressionare emotivamente il pubblico più che raccontare qualcosa. Il titolo, scelto apposta per fare presa, andava a contrapporsi all’esuberanza dell’Ouverture Accademica op. 80 di ben altro carattere: Brahms, descrivendo le sue due ouvertures, disse che “Una ride mentre l’altra piange”.
Dello stesso autore, una delle sue opere corali più celebri, quel Schicksalslied (Canto del destino) che gli fu ispirato dalla poesia omonima di Friedrich Hölderlin. Galvanizzato dall’enorme successo ottenuto dal Deutsche Requiem, Brahms si gettò a capofitto nella composizione che poté tuttavia completare solo tre anni dopo a causa di indecisioni e continui ripensamenti, in particolare sul finale di cui non riusciva a trovare la chiave conclusiva. In questo mirabile affresco corale, reso ancora più prezioso dalla sua brevità, l’autore riversa quegli ingredienti teatrali già usati nel sesto quadro del Requiem tedesco, salvo poi concludere il brano nella ritrovata pace del postludio orchestrale che vuole idealmente stimolare l’ascoltatore ad una riflessione personale. Un altro filo conduttore di questa serata potrebbe essere il tormento creativo; tale è ad esempio quello che portò Robert Schumann a continui rimaneggiamenti della sua Quarta sinfonia op. 120. Accantonata temporamente l’ampia produzione pianistica, il compositore si era proposto un severo studio della tecnica sinfonica e già nel 1841 presentò a Lipsia una Sinfonia in re minore sulla quale già nutriva una profonda insoddisfazione; l’insuccesso decretato dal pubblico convinse Schumann a ritirare la partitura per dodici anni e ripresentarla nuovamente e con sostanziali modifiche nel 1853 questa volta con enorme successo. Concepita su una struttura ciclica, sul modello del poema sinfonico e perciò senza interruzione alcuna tra i singoli movimenti la Quarta Sinfonia è l’ultimo capolavoro sinfonico di Schumann prima che egli venisse colpito dalla grave malattia mentale che lo condurrà dapprima ad un tentativo fallito di suicidio e poi alla completa alienazione psichica.
Venendo all’aspetto esecutivo, Vittorio Bresciani ha reso un’esecuzione viva nei due lavori orchestrali, anche se non adeguatamente profonda nelle intenzioni. Ha ottenuto comunque un ottimo risultato ma in virtù di un’orchestra come quella della Fondazione in particolare stato di grazia per colore sinfonico, garbata spavalderia dei legni e nitore degli ottoni; merito ancora più ampio in virtù dell’ubicazione ancora provvisoria dei musicisti sul piano platea. Il coro della Fondazione, dal canto suo, ha interpretato lo Schicksalslied con adeguata drammaticità e varietà di emozioni che pervadono la partitura, avvicinandosi sensibilmente all’idea originale brahmsiana; l’impressione è comunque quella di un preziosissimo lavoro, e qui mi debbo ripetere, svolto a monte da Ulisse Trabacchin che ha sensibilmente agevolato il compito al maestro Bresciani. Una serata di grande musica, ancora una volta alla presenza di un pubblico scarso ma attento e (fortunatamente!) composto anche da bambini. Foto Ennevi per Fondazione Arena.