Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Lirica 2022
“LA SCALA DI SETA”
Farsa comica in un atto su libretto di Giuseppe Maria Foppa.
Musica di Gioachino Rossini
Dormont MANUEL AMATI
Giulia ELEONORA BELLOCCI
Lucilla CATERINA PIVA
Dorvil MATTEO ROMA
Blansac CARLO LEPORE
Germano EMMANUEL FRANCO
Orchestra della Fondazione Arena di Verona
Direttore Nikolas Nägele
Regia Stefania Bonfadelli
Scene Serena Rocco Costumi Valeria Donata Bettella Luci Fiammetta Baldiserri
Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona
Verona, 30 marzo 2022
Con l’allestimento de “La scala di seta” di Rossini viene a colmarsi un’altra lacuna nel novero dei titoli rappresentati a Verona. Per la prima volta, infatti, le note del frizzante lavoro giovanile del cigno di Pesaro si sono rincorse tra i palchi del Teatro Filarmonico in tutta la loro irresistibile e trascinante forza musicale. Appartenente al genere della farsa comica in un atto, di cui Rossini produrrà tra il 1810 e il 1813 cinque esemplari per il teatro veneziano di San Moisè (La cambiale di matrimonio, L’inganno felice, La scala di seta, L’occasione fa il ladro e Il signor Bruschino), il titolo in cartellone andò in scena nel medesimo teatro il 9 maggio 1812. Il soggetto, tratto da lavori del teatro francese del primo Ottocento che a loro volta si richiamavano a precedenti commedie, è tuttavia riconducibile alla stessa fonte usata da Bertati per il libretto de Il matrimonio segreto musicato da Cimarosa nel 1792. Sebbene non si possa additare quale capolavoro, dimostra già la perizia del compositore ventenne nel trattare il materiale vocale ed orchestrale; fortemente influenzato dagli autori tedeschi (Haydn, Mozart e Beethoven), Rossini prende in mano l’opera buffa svecchiandone gli elementi e rimescolandoli a piacere. A dispetto della giovanissima età e la conseguente presunta inesperienza teatrale, egli riesce a sintetizzare un linguaggio vivo e trascinante, invertendo talvolta i ruoli (scrittura strumentale per le voci e vocale per gli strumenti) e piegando gli artifici già noti alle esigenze drammaturgiche: l’uso delle agilità in funzione del libretto, sapiente uso del legato e del portato, nuove ed ardite combinazioni timbriche dell’orchestra. La lettura registica da parte di Stefania Bonfadelli trova ambientazione negli anni ’30 del Novecento, all’interno di un negozio di tessuti e tale rimane dall’inizio alla fine; in questo spazio scenico, realizzato dalla scenografa Serena Rocco, tra scaffali, vetrine, un camerino di prova, dove ogni elemento si presta a nascondere i singoli personaggi, agiscono i cantanti celando le manipolazioni, gli incontri combinati, le tresche amorose e gli immancabili equivoci fomentati da un garzone sciocco ed inopportuno. Il negozio diventa dunque un crogiuolo nel quale fondere amori ed infedeltà mentre a definire l’azione sono i caratteri dei singoli personaggi: l’ansioso Dormont, preoccupato di accasare la sua pupilla, le annoiate commesse Giulia e Lucilla, il giovane innamorato e squattrinato Dorvil, il donnaiolo Blansac e Germano, vero motore della farsa. Il risultato è una regìa cauta e prudente, molto attenta a non eccedere nel grottesco e nella caricatura, tranello che spesso il teatro rossiniano può tendere quando se ne travisa la cifra estetica. La stessa Bonfadelli nelle note di sala sottolinea quanto la comicità non debba essere affidata al caso: se è troppa si guasta, se è poca non ne emerge il senso. A completare l’impianto visivo erano gli adeguati costumi di Valeria Donata Bettella, bene inquadrati nel contesto scenico, e le luci di Fiammetta Baldiserri:queste ultime, in verità, poco utili allo svolgimento dell’azione poiché sostanzialmente fisse ed invariate.
Sul piano musicale questo allestimento poteva contare su un interessante cast vocale formato da giovani ma già affermati artisti, di brillante presenza scenica e ben affiatati sul palcoscenico; su di essi, quasi un nume tutelare, il veterano Carlo Lepore (Blansac) che ha sfoderato tutta la sua ragguardevole classe ed esperienza unite ad un bel timbro (in grado di passare sempre l’orchestra) e ad un fraseggio di esemplare trasparenza, in particolare nell’aria Alle voci dell’amore. La Giulia di Eleonora Bellocci, meritevole per portata vocale e spiccata musicalità, risente di un’emissione gravata da un vibrato costante che però non pregiudica la sua ottima prestazione; degno di nota è il tenore Matteo Roma, quale Dorvil, dotato di una bella voce nel registro centrale quanto negli acuti ai quali ascende con una certa facilità. Molto bene il resto della compagnia con Manuel Amati (Dormont), Caterina Piva (Lucilla) ed Emmanuel Franco (il servo sciocco Germano); di particolare bellezza il quartetto Sì che unito a cara sposa, uno dei momenti più alti della serata grazie anche alla direzione di Nikolas Nägele che ne ha saputo ricavare l’irresistibile slancio ritmico. Il giovane maestro, tipica figura di kapellmeister tedesco, ha condotto l’ottima orchestra della Fondazione Arena (con l’oboe, il corno inglese e i corni sugli scudi) con linearità di intenzioni, in cui non sono mancate delle punte di frizzante musicalità ma senza opporre forti contrasti sonori. Pubblico ancora una volta scarso, a dispetto di un lavoro pur sconosciuto ma pur sempre di un grande autore; un vero peccato perché la proposta in cartellone era davvero appetibile. Repliche venerdì 1 e domenica 3 aprile. Foto Ennevi per Fondazione Arena