Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2021-2022
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore e pianoforte Myung-Whun Chung
Wolfgang Amadeus Mozart:Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in la maggiore K 488; Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55 “Eroica”
Venezia, 18 marzo 2022
Il graditissimo ritorno di Myung-Whun Chung a Venezia ha segnato il suo debutto, sul palcoscenico del Teatro Malibran, in qualità di solista – pur mantenendo l’abituale veste di direttore – nel Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in la maggiore K 488 di Wolfgang Amadeus Mozart: uno dei ventiquattro concerti, composti per tale organico, tra il 1773 e il 1791, che si segnala insieme ad altri dello stesso periodo – tra cui il Concerto in re minore K 466, prediletto da Beethoven – per la sublime poesia e la preziosa scrittura, che ne fanno un lavoro universalmente apprezzato ed eseguito. Il concerto mozartiano compariva nel programma della serata insieme alla Sinfonia Eroica di Beethoven: dunque, si trattava di due pezzi del grande repertorio, collaudatissimi, straordinari, ma ascoltati più volte. Tutto appariva, sulla carta, prevedibile, scontato, senza nulla togliere allo straordinario valore estetico collegato a questi due titoli. Ma, come si sa, una composizione musicale esiste compiutamente sono nell’atto di essere eseguita; e ad ogni esecuzione – ovviamente non di routine – essa rinasce a nuova vita sempre uguale, ma anche sempre diversa. È quanto si è verificato in questo concerto, in cui Chung, tra l’altro, ha ancora una volta dimostrato di avere un rapporto privilegiato con l’Orchestra della Fenice, che ha suonato in perfetta simbiosi con il direttore, facendosi particolarmente apprezzare per la pulizia negli attacchi e la coesione nei passaggi d’insieme.
Per quanto riguarda il titolo mozartiano, la perfomance, cui abbiamo assistito, ha confermato con particolare evidenza – se ce n’era bisogno – l’alto livello, oltre che la completezza della formazione del maestro coreano, che ha trovato, per quanto concerne sia l’orchestra che la parte solistica, il giusto accento, intenso ma non enfatico, il suono più squisitamente mozartiano, brillante e scevro da ogni pesantezza. Perfettamente a proprio agio anche nei passaggi d’agilità, dove si è apprezzato un virtuosismo mai esibito, ma intimamente funzionale all’altissima poesia che domina nella partitura, ci ha restituito con grande sensibilità il carattere intimo e raccolto, che attraversa questo concerto, il cui diffuso lirismo, insieme alla stessa tonalità d’impianto e all’utilizzo dei clarinetti – non abituale nei concerti per pianoforte –.lo apparenta al tono delicato e patetico del futuro Quintetto K. 581 per clarinetto ed archi. Festeggiatissimo una volta conclusa l’esecuzione, Chung ha inteso dedicare un fuoriprogramma all’universo infantile: Träumerei, da Kinderszenen di Robert Schumann – esplicito riferimento, per contrasto, alla guerra, che spazza via crudelmente anche i sogni dei bambini.
Venendo all’Eroica, l’interpretazione del direttore coreano si è rivelata analogamente ricca di stimolanti suggestioni, amplificando il carattere innovativo di questa sinfonia, che propugna gli ideali della Rivoluzione Francese, presenti in tanta produzione di Beethoven come attesta sul frontespizio del manoscritto della partitura appena terminata – all’inizio del 1804 – la scritta: “Buonaparte”. Poi, alla notizia che Napoleone si era proclamato imperatore, nel maggio dello stesso anno, l’autore adirato stracciò quella dedica. Comunque sia, a partire dall’Eroica Beethoven affida al genere sinfonico il compito di trasmettere i propri ideali illuministici a un uditorio più ampio e variegato nella composizione sociale, rispetto al ristretto pubblico delle classi altolocate. Conseguentemente la sinfonia assume caratteri nuovi: si dilatano le dimensioni, si arricchisce la strumentazione, dando rilievo ai fiati, mentre il testo musicale si fa più complesso rispetto alla nitida dialettica del modello haydniano.
In linea con le intenzioni dell’autore è risultata la lettura di Myung-Whun Chung che, al pari del Maestro di Bonn, guarda ai futuri sviluppi del genere sinfonico. Nella sua interpretazione risultano decisamente accentuati la tensione drammatica e i colori orchestrali, anche grazie alla particolare rilevanza assunta dai corni e dalle trombe. Tutto questo si è colto nell’esteso movimento iniziale, Allegro con brio, aperto da due imperiosi accordi di tonica, seguiti da un motivo arpeggiato dei violoncelli, che diviene poi protagonista dell’intero movimento, in cui ricorrono sincopi, cromatismi e dissonanze, come quella che si crea, alla fine dello sviluppo, quando entra il corno su un tremolo degli archi, riproponendo il citato motivo arpeggiato iniziale. Nel prosieguo, gli archi, con il particolare rilievo dei contrabbassi, hanno scandito con mestizia il ritmo cadenzato della Marcia funebre, inframezzata da un Trio, in maggiore, in cui, sulle morbide terzine degli archi, i legni hanno disegnato le loro limpide linee melodiche, venate di nostalgia. Il tono si è fatto più leggero e animato nello Scherzo, al cui interno, nella parentesi più pacata del Trio, si è imposta l’impeccabile, vigorosa fanfara dei corni, evocante una scena di caccia. Le varie sezioni dell’orchestra si sono messe in luce nel movimento finale, Allegro molto, una serie di libere variazioni, il cui riferimento tematico rimanda al balletto Le creature di Prometeo: dagli archi, che hanno impeccabilmente presentato la prima variazione in pizzicato e la seconda, in forma contrappuntistica, ai legni, che hanno cantato intonando la terza (il tema vero e proprio). Encomiabile è risultata l’orchestra anche nelle restanti variazioni, che dopo la quarta – un fugato – divengono sempre più complesse, portando attraverso una progressiva intensificazione espressiva alla trionfale Coda. Applausi a non finire e qualche accenno di ovazione a fine serata.