Venezia, Teatro Malibran: Markus Stenz dirige Mendelssohn. Mozart e Schumann

Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2021-2022
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Markus Stenz
Felix Mendelssohn Bartholdy: “Meeresstille und glückliche Fahrt” op. 27; Wolfgang Amadeus Mozart:  Sinfonia n. 41 in do Maggiore, K 551 “Jupiter”; Robert Schumann: Sinfonia n. 2 in do maggiore op. 61
Venezia, 12  marzo 2022
Markus Stenz –  tra i protagonisti dei concerti proposti in streaming dalla Fenice durante l’emergenza pandemica – era di nuovo ospite a Venezia, presso il Teatro Malibran, nell’ambito dell’attuale stagione sinfonica della Fondazione Teatro La Fenice: in programma l’ultima sinfonia di Mozart e la seconda di Schumann, precedute dall’ouverture Meeresstille und glückliche Fahrt (Calma di mare e viaggio felice) di Mendelssohn. Quest’ultima – composta nel 1828, quando l’autore aveva solo diciotto anni – è ispirata a due poesie di Goethe: Meeresstille, corrispondente all’Adagio introduttivo, aperto da un’ampia e serena frase melodica, che richiama l’immagine goethiana di un mare immoto, su cui grava un silenzio enigmatico; e Glückliche Fahrt, cui fa riferimento l’Allegro maestoso, che segue senza interruzione dopo un ponte costituito da un breve ma energico intervento dei fiati e contiene il tema vero e proprio dell’ouverture, colmo di fervore, ad esprimere le sensazioni che si susseguono nel corso di una navigazione propizia, fino all’approdo simboleggiato dalle fanfare della coda, chiusa da una brevissima ripresa della calma iniziale. Particolarmente suggestiva è risultata l’interpretazione di Markus Stenz che, supportato da un’orchestra affiatata e sensibile, ha saputo trasmettere efficacemente gli aspetti “impressionistici” di questo pezzo, di cui ha, inoltre, fatto apprezzare i pregi eminentemente musicali, al di là di ogni intenzione programmatica. Il gesto generoso e ridondante del direttore tedesco ha guidato autorevolmente l’Orchestra della Fenice anche nelle due sinfonie, accomunate dalla stessa tonalità d’impianto: quella di do maggiore.
Composta da Mozart insieme alle due sinfonie precedenti – rispettivamente la KV 543 e la KV 550 – nell’estate del 1788 a Vienna, in un momento di straordinario impulso creativo, pur rattristato da ristrettezze economiche e dalla morte della figlia Theresia di soli otto mesi, la Sinfonia in do maggiore KV 551 è un punto d’arrivo nel percorso creativo del genio musicale per antonomasia. Vero  monumento sonoro dall’imponente architettura – fondata, tra l’altro, su un’olimpica conciliazione degli opposti – si è meritata l’appellativo di Jupiter, dovuto con ogni probabilità all’impresario Johann Peter Salomon.
Duttile e scattante l’orchestra ha assecondato il gesto del maestro tedesco, che staccando tempi diffusamente spediti ha puntato ad evidenziare le macrostrutture di questa formidabile partitura, in cui la solida formazione contrappuntistica dell’allievo di padre Martini, convive mirabilmente con una sublime cantabilità derivata dallo stile galante e dal melodramma. Nell’iniziale Allegro vivace sono stati ben caratterizzati i tre temi, che vi ricorrono: il primo quasi una marcia festosa, il secondo cantabile di gusto galante, il terzo con la grazia giocosa di un’aria d’opera buffa. Il successivo Andante cantabile ci ha introdotto in un’atmosfera tenera e crepuscolare – con sonorità soffuse e un dominante tono patetico. Più oltre – dopo il Menuetto, chiaro omaggio ad Haydn, ravvisabile in particolare nel tono popolare del Trio – il Molto allegro finale, grandioso culmine dell’opera, e di tutto il sinfonismo mozartiano, ha segnato il trionfo della tecnica contrappuntistica, coniugata alla forma-sonata, rendendo appieno il frutto della mente di un genio che sa guardare al passato senza tradire il proprio tempo.
Particolare rilievo ha il contrappunto anche nella Seconda sinfonia di Schumann. Non a caso questa partitura nacque in un periodo, che vedeva Robert e Clara impegnati assiduamente nello studio di questa tecnica compositiva; lo stesso periodo, purtroppo, in cui si manifestò un violento attacco di quel disturbo nervoso – sentiva un suono continuo, ossessivo –, che avrebbe portato il sublime musicista alla rovina. A tal proposito, si coglie nella partitura una forte tensione dialettica tra l’emotività esasperata di un artista afflitto dalla sofferenza fisica, a cui titanicamente si sforza di resistere, e la lucida ricerca di una scrittura meditata, arricchita da una rigorosa elaborazione polifonica. Ma, a prescindere da ogni motivazione contingente, il lavoro rispecchia un’indole creativa intimamente contraddittoria, che si nutriva dell’ordine formale classico e insieme degli eccessi di uno spirito romanticamente passionale. Uno spirito, che ha predominato – ci sembra – nell’interpretazione di Markus Stenz: nei movimenti estremi accomunati dallo stesso tema principale (un intervallo ascendente di quinta: do-sol) e dal sopraggiungere di motivi e di schemi ritmici nuovi, secondo una dinamica dettata dall’emotività e dall’estro; nello Scherzo, un perpetuum mobile, percorso da un’energica concitazione e nei due Trio, che esprimono con i rispettivi ritmi e colori due stati d’animo, tra loro analoghi, di serena letizia. Quanto all’Adagio espressivo, il momento più alto di tutta la Sinfonia, una delle grandi pagine liriche di Schumann, il gesto del direttore ha sottolineato con intensità, ma senza affettazione la struggente melodia – affidata ai violini e poi all’oboe –, che procede per intervalli in alternanza larghi – di sesta e di settima – e brevissimi – di un semitono – e instancabilmente ritorna nel corso del movimento con un respiro sempre più ampio e un tono via via più commosso. Calorosi applausi e qualche “Bravo!” a fine serata.