Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2021-2022
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Francesco Lanzillotta
Soprano Ekaterina Bakanova
Musiche di Gioachino Rossini, Johann Strauss jr., Antonin Dvořák, Franz Lehár, Emmerich Kálmán, Leonard Bernstein, Jacques Offenbach
Venezia, 27 febbraio 2022
Una grande bandiera iridata appariva su uno schermo in fondo al palcoscenico, dietro le file di sedie e leggii, predisposti per l’orchestra. Su di essa campeggiava, a grandi caratteri bianchi, la parola “Peace”, accorata invocazione, affermazione di speranza in un momento in cui lo spettro della guerra aleggia sull’Europa. In tale contesto lo spumeggiante programma del concerto, previsto per il carnevale, assumeva i caratteri del nostalgico vagheggiamento di una spensieratezza perduta, di un positivo senso della vita appartenuto forse ad altri tempi, che chissà se torneranno. Ma, a prescindere dal momento contingente, alcuni tra i brani proposti risultano di per sé legati a certi passaggi della storia della Mitteleuropa, in cui si guardava al passato come a un Eden perduto. È il caso della Fledermaus (Il Pipistrello) di Johann Strauss figlio – apparsa sulla scena a Vienna nel 1874 –, dominata dal vivo rimpianto per i bei tempi d’una volta: un successo rimasto insuperato nella produzione del re del valzer, di cui si sono ascoltate l’ouverture – di cui Lanzillotta ha saputo rendere l’insita ambivalenza tra dolce rimpianto e desiderio sfrenato di evasione – e la romanza “Klänge der Heimat” (Suoni della Patria), in cui Ekaterina Bakanova ha sedotto il pubblico nella parte di una moglie tradita, nei panni di una finta zigana, che pensa mestamente alla propria Ungheria, lanciandosi nel finale in una travolgente czsardas. Die Fledermaus è imbevuta di sottile malinconia, il cui riflesso si è colto anche in An der schönen blauen Donau (Il bel Danubio blu) dello stesso autore – un altro titolo in programma –, che rappresenta musicalmente il placido corso del grande fiume attraverso le pianure del declinante impero asburgico. Di Strauss figlio è stata eseguita anche l’ouverture di Eine Nacht in Venedig (Una notte a Venezia).
La nostalgia caratterizza anche l’operetta danubiana del Novecento, rappresentata nel concerto da Die Csardásfürstin (La Principessa della ciarda) di Emmerich Kalmán e da Giuditta di Franz Lehàr. La prima è frutto del genio teatrale di Emmerich Kálmán, un ebreo ungherese compagno di studi di Béla Bartók e Zoltan Kodály all’Accademia di Budapest, e si basa su una rappresentazione da cartolina dell’Ungheria, ben lontana dalla realtà del mondo rurale ungherese, esplorato in quegli stessi anni da Bartók e Kodály. Della Principessa della ciarda, rappresentata a Vienna nel 1915, si è ascoltata “In den Bergen ist mein Heimatland” (È sui monti il mio bel paese), la cavatina della protagonista, la soubrette Silva Varescu. Un altro interprete di questa fase estrema dell’operetta viennese è Franz Lehár, noto soprattutto per Die lustige Witwe (La vedova allegra), alla cui prima assistette anche un giovane Adolf Hitler. Allestita a Vienna agli inizi del 1934, Giuditta, è l’ultima opera di Léhar, di cui è stata proposta “Ich weiß es selber nicht” (Io non lo so): un misto di nostalgia e sensualità. In entrambe queste stupende arie la Bakanova si è fatta apprezzare per il giusto accento, nel contempo nostalgico e sensuale.
Se Die Fledermaus ha inaugurato un tipo di operetta diversa rispetto a quelle “gaudenti” e colme di vis comica, rappresentate nel corso dell’Ottocento sulla scena parigina, Orphée aux Enfers di Jacques Offenbach ne è la quintessenza, soprattutto se si pensa al suo sfrenato can-can, che non poteva mancare in un concerto di carnevale, per la delizia del pubblico, rapito dal suo ritmo sfrenato. Di Offenbach si è proposta anche la dolcissima Barcarolle da Les Contes d’Hoffmann, opera rimasta incompiuta per la morte dell’autore e completata da Ernest Guiraud, che introdusse nella versione da lui curata un’aria destinata a divenire la più popolare dell’opera, “Belle nuit, ô nuit d’amour”, la barcarola dell’atto veneziano, traendola da una precedente opera di Offenbach, Les Fées du Rhin.
L’inebriante dolcezza della barcarola dai Contes d’Hofmann si è riproposta – complice la duttile vocalità del soprano russo – in un’altra magica scena notturna, da Russalka di Antonin Dvorák. Si tratta dell’inno alla luna – “Měsíčku na nebi hlubokém” (Piccola luna, così alta nel cielo) – intonato ai bordi di un lago, dalla protagonista, disposta a mettere in pericolo, per amore, la propria vita.
In una serata carnascialesca non poteva essere assente un altro genio della comicità nell’ambito del teatro musicale, Gioacchino Rossini, rappresentato da due Sinfonie operistiche, dove Lanzillotta ha guidato l’orchestra con grande vivacità e mano leggera: quella dell’Italiana in Algeri, scritta per il teatro veneziano di San Benedetto agli inizi dell’Ottocento – assoluto capolavoro di eleganza e sapienza nell’orchestrazione – e quella della Gazza ladra, una delle pagine orchestrali giustamente più ammirate della musica italiana, introdotta da un Maestoso, che inizia con il celebre prorompente rullo di tamburo.
L’operetta ha attratto, anche dopo la sua fine ufficiale, artisti di primo piano, tra cui Leonard Bernstein, che ha composto Candide, un’operetta filosofica dall’omonimo romanzo di Voltaire. Tramontata la stagione del valzer, il lavoro di Bernstein propone nuove forme di danza, attinte alla variegata realtà americana. Di Candide è stata eseguita, con atteggiamento estroverso ma anche sensibile, la scintillante ouverture, che è un tripudio di verve e geniale eclettismo. Il pubblico non poteva non applaudire con convinzione dopo ogni pezzo e a fine serata.