Palermo, Teatro Massimo: “Roberto Devereux”

Palermo, Teatro Massimo, stagione lirica 2021/22
“ROBERTO DEVEREUX”
Opera in tre atti di Gaetano Donizetti su libretto di Salvadore Cammarano, tratto dalla tragedia di Jacques-François Ancelot “Elisabeth d’Angleterre”.
Musica di Gaetano Donizetti
Elisabetta YOLANDA AUYANET
Sara VASILISA BERZHANSKAYA
Roberto Devereux JOHN OSBORN
Nottingham DAVIDE LUCIANO
Lord Cecil CARMINE RICCIO
Gualtiero UGO GUAGLIARDO
Un paggio FEDERICO CUCINOTTA
Un famigliare di Nottingham ANTONIO CORBISIERO
Orchestra e coro del Teatro Massimo di Palermo
Direttore Roberto Abbado
Maestro del coro Ciro Visco
Regia Alessandro Talevi
Assistente alla regia e azioni mimiche Anna Maria Bruzzese
Scene e costumi Madeleine Boyd
Luci Matt Haskins
Palermo,  20 marzo 2022
Roberto Devereux. É all’ambigua figura del conte di Essex che Donizetti dedica fin dal titolo l’ultima opera di ambientazione Tudor della sua produzione in cui la fascinazione per la storia inglese aveva avuto un peso decisamente considerevole. Una dedica al maschile dopo tante regine ma al contempo è innegabile come ancora una volta Donizetti sia ispirato più dai tormenti di Elisabetta qui ormai al termine della lunga vita che alla figura del protagonista.
Il nuovo allestimento del Massimo di Palermo tende invece a rimettere al centro la figura del Conte. Impossibile oggi immaginare interprete migliore di John Osborn. Il tenore americano canta in modo magistrale, controllo del fiato impeccabile – certe frasi a fior di labbro da pura antologia – acuti di disarmante facilità, centri ricchi e sonori, totale omogeneità su tutta la gamma. Sul piano espressivo Osborn è perfettamente calato nel personaggio cogliendone perfettamente il lato guascone ma al contempo la delicatezza e l’intensità dell’affetto per Sara ad esempio in una cabaletta intensa ma sempre delicata, mai inutilmente spettacolare. Il risultato è una prestazione da autentico mattatore capace di dominare il palcoscenico in ogni componente.
Elisabetta è Yolanda Auyanet, la cantante spagnola affronta la parte con intelligenza compensando con attenzione i limiti di una vocalità non propriamente in linea con la sua, ma canta con gusto e musicalità impeccabile, il timbro pur non personalissimo è piacevole e l’accento sempre curato e pertinente riuscendo così a compensare in buona parte una natura fin troppo lirica per la parte.
Vasilisa Berzhanskaya è una notevolissima Sara. Il giovanissimo mezzosoprano russo – altro prodotto dell’Accademia rossiniana di Pesaro – sfoggia una voce più che ragguardevole, sicura e squillante in acuto e ricca e corposa nei gravi. L’ascolto – pur inevitabilmente falsante per ragioni di mezzo – sembra mostrare anche un volume e una proiezione ragguardevoli. Sul piano interpretativo è forse persin troppo passionale per un ruolo in fondo introverso come la Duchessa di Nottingham ma vista la ricchezza vocale le si persona facilmente la cosa.
Corretto ma piuttosto anonimo il Duca di Davide Luciano che canta la parte più che dignitosamente ma difetta sia della stilizzata eleganza della cavatina sia del senso di dolore represso nel duetto con Sara. Buona nel complesso la prova delle parti di fianco.
L’orchestra del Massimo di Palermo è diretta per l’occasione da Roberto Abbado. Il direttore conosce bene questo repertorio e si muove con notevole senso dello stile. Ha il merito – non trascurabile – di riaprire tutti i tagli e di eseguire l’opera nella sua integrità. Il piano musicale vede una direzione scattante e nervosa con un lavoro incentrato sui contrasti dinamici, purtroppo non sempre questo si traduce in autentica espressività e viene a mancare un po’ quel colore plumbeo, ombroso, che la scrittura di Donizetti in quest’opera sembra naturalmente richiedere. L’orchestra suona in modo nell’insieme corretto per con qualche imprecisione mentre senza sbavature la prova del coro palermitano che sotto l’attenta guida di Ciro Visco ha raggiunto livelli di encomiabile qualità.
Le ombre che mancano nella direzione di Roberto Abbado la fanno da padrone nello spettacolo di Alessandro Talevi proveniente dalla Welsh National Opera. Il regista sudafricano imprigiona i personaggi in una plumbea cappa di nere pareti metalliche che rendono fisicamente presente l’oppressione del potere. L’ambientazione è sostanzialmente fantascientifica con forti venature dark; i costumi – scuri per il coro e le parti di contorno, dai colori violentemente accesi per le protagoniste e in qualche modo mediani per Devereux e Nottingham – appaiono come una riproposizione futuribile di modelli rinascimentali. Centrale è l’immagine del ragno che tutti intrappola nella sua tela, simbolo stesso del potere. Il ragno che all’inizio vediamo tramite un gioco d’ombre cacciare le sue prede in un terrario per poi diventare un mostruoso robot aracnoide che serve da trono mobile per la regina, predatrice involontaria del suo stesso popolo, che alla fine abbandona il mostro-trono come in fuga da un potere da cui è stata anch’essa divorata.