Milano, Teatro Franco Parenti, Cartellone 2021/22
“IL CASO BRAIBANTI”
di Massimiliano Palmese
con FABIO BUSSOTTI e MAURO CONTE
Musiche composte ed eseguite dal vivo da Mauro Verrone
Regia Giuseppe Marini
Produzione Società per Attori
Milano, 25 febbraio 2022
Il caso Braibanti è stato un caso di cronaca nera molto particolare: non riguardava un omicidio o un rapimento, ma un plagio, reato per cui nella storia giurisprudenziale italiana solo in un caso si arrivò alla condanna – proprio questo. Aldo Braibanti fu un formidabile filosofo, artista e poeta, tutt’oggi condannato a un’inspiegabile damnatio memoriae, proprio in relazione al processo che subì fra ‘65 e ‘68, in seguito all’accusa che Ippolito Sanfratello gli mosse di aver plagiato suo figlio, Giovanni – in realtà i due avevano solo una relazione sentimentale che la famiglia del Sanfratello non riusciva ad accettare. Massimiliano Palmese rende finalmente giustizia a Braibanti in uno spettacolo (“Il caso Braibanti”) periodicamente in tour nelle sale italiane dal 2012, ben spiegando non solo le condizioni personali dei due protagonisti della vicenda, ma anche il contesto politico in cui essa era stata calata – Braibanti, omosessuale, comunista ed ex-partigiano, fu trascinato dinnanzi ad un collegio accusatorio spesso apertamente fascio-democristiano, a partire proprio dal padre del Sanfratello. La vicenda, già di per sé, è piuttosto avvincente, sebbene non sia previsto lieto fine: sarebbe difficile tradurla scenicamente in un’operazione debole, e infatti lo spettacolo funziona. Presenta comunque delle pecche che, però, se dopo dieci anni persistono, significa che ormai sono pertinentizzate nel risultato stesso della rappresentazione: l’azione scenica è quasi nulla, come la scenografia e il rapporto tra i due attori – che si abbracciano solo sul finale. Tuttavia, la strategia del teatro di narrazione che Palmese ha attuato pare in effetti l’unica percorribile, giacché costruire un vero e proprio testo drammatico avrebbe probabilmente rischiato di apparire forse più coinvolgente sul piano del sentimento, ma meno incisivo, più posticcio: belli, in quest’ottica, gli interventi del sassofono (suonato in maniera attenta e puntuale da Mauro Verrone) che sia scandisce il passare del tempo, sia sottolinea i momenti di maggiore intensità, emotiva o grottesca. Efficienti le interpretazioni di Fabio Bussotti e Mauro Conte, entrambi accostano alla propria parte (Braibanti e Sanfratello) altri personaggi marginali e questo alla lunga appiattisce qua e là il ruolo principale: si viene infatti a creare un ibrido tra narrazione e drammatizzazione, nel quale pare che le prove dei due rimangano entrambe parzialmente imbrigliate, irrisolte. D’altro canto, però, la solida professionalità di Bussotti e Conte riesce a mantenere viva l’attenzione del pubblico per l’intera ora e qualcosa della performance. La grande assente dello spettacolo è, tuttavia, una regia incisiva e riconoscibile, come spesso accade nelle opere di teatro di narrazione, che affidano agli interpreti l’autonomo sviluppo dei ruoli: considerata la complessità della storia e dei sentimenti messi in gioco, ci si sarebbe aspettati da Giuseppe Marini un’impronta meno essenziale alla scena e alla prossemica degli artisti, così come al progetto di luci. Peccato.