Milano, Teatro alla Scala: “Pikovaja dama” (La dama di picche)

Milano, Teatro alla Scala, stagione d’opera e balletto 2021/22§
“PIKOVAJA DAMA “ (La dama di Picche)
Opera in tre atti e sette scene su libretto di Modest Il’ič Čajkovskij dall’omonimo racconto di Aleksandr Sergeevič Puškin
Musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij
Hermann NAJMIDDIN MAVLYANOV
Il conte Tomskij ROMAN BURDENKO
Il principe Eleckij ALEXEY MARKOV
Čekalinskij EVGENY AKIMOV
Surin ALEXEY BOTNARCIUC
Čaplickij SERGEY RADCHENKO
Narumov MATÍAS MOCHADA
Il maestro di cerimonia BRIAN ÁDAM MARTÍNEZ
Contessa JULIA GERTSEVA
Liza ASMIK GRIGORIAN
Polina ELENA MAXIMOVA
La governante OLGA SAVOVA
Maša/Prilepa MARIA NAZAROVA
Milovzor OLGA SINYAKOVA
Il capo della banda dei ragazzini BEATRICE CALORI
Orchestra, Coro e corpo di ballo del Teatro alla Scala, Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Timur Zangiev
Maestro del coro Alberto Malazzi
Maestro del coro di voci bianche Marco de Gaspari
Regia Matthias Hartmann
Scene Volker Hintermeier
Costumi Malte Lübben
Luci Mathias Märker
Coreografia Paul Blackman
Milano, 13 marzo 2022
Pikovaja dama” ha finalmente superato le questioni politiche che hanno accompagnato il debutto – sulle quali non si ritiene opportuno ritornare – per trovare una propria dimensione che per quanto diversa da quanto la presenza di Gergiev sul podio avrebbe comportato è parsa nel complesso decisamente positiva.
Il giovane Timur Zangiev appena ventisettenne si è trovato a debuttare quasi di colpo sul palcoscenico del Piermarini. Si tratta in vero di un musicista preparatissimo che già ha risaputo ricavarsi un proprio spazio sui maggiori palcoscenici russi – dal Bolshoj al Marinskij – e che di fatto aveva già la produzione dirigendo tutte le prove prima dell’arrivo di Gergiev. Nonostante la collaborazione con il maestro Zangiev sa trovare una via personale alla partitura di Čajkovskij, meno cupa, meno scarnificata e più ricca di colori con scelte di tempi in media più sostenuti. Zangiev evidenzia soprattutto il rigore della scrittura di Čajkovskij, quella pulizia compositiva per cui Delman lo definì il “Mozart russo”. Ovviamente in una visione di questo tipo emergono momenti come la pantomima settecentesca del II atto di un’abbagliante ricchezza ritmica e cromatica o la dolente purezza del preludio alla scena della Neva. Non manca però della giusta tensione drammatica nei momenti – e non sono pochi – in cui l’opera la richieda. Le scene della Contessa hanno la giusta asprezza così come il finale non manca dell’allucinato parossismo emotivo che lo pervade ma sempre all’intero di una chiarezza dell’articolazione che è la sua cifra più autentica. Čajkovskij tralascia quegli elementi di aspra caricatura sociale che sono del racconto di Puškin e dona alla vicenda un carattere di più autentica umanità, il corale finale intriso di un senso di perdono e accettazione quasi dostoevskiano reso in modo così austero e profondo emoziona profondamente specie in questi tempi.La compagnia di canto pur non priva di pecche è apparsa nel complesso ugualmente valida. Najmiddin Malyanov affronta l’impervia parte di Hermann, uno dei banchi di prova più estremi di tutto il repertorio tenorile. Lo gestisce con professionalità e mestiere ed è già molto considerando l’entità del cimento. I problemi sul piano vocale si percepiscono chiaramente con un senso di fatica in acuto  e con suoni che tendono a essere fibrosi e poveri di autentico squillo. Il colore vocale non è particolarmente accattivante e non si impone nella memoria dell’ascoltatore. Il settore centrale è però solido e  si apprezza un’attenta ricerca di colori e sfumature.
Artista nel senso più puro del termine è Asmik Grigorian. La parte di Liza è quasi altrettanto impervia di quella di Hermann nel richiedere caratteristiche prettamente liriche su una scrittura da soprano drammatico e sulla carta non appare il ruolo ideale per le caratteristiche vocali del soprano lituano. Il talento cristallino della Grigorian fa però la differenza permettendole di superare con apparente naturalezza tutte le difficoltà della parte.  L’interprete è poi sfolgorante. Una Liza di un’intensità totalizzante, fraseggio ricchissimo e mercuriale, temperamento al calor bianco, personalità scenica e fascino capaci di concentrare su di lei ogni attenzione con il solo entrare in scena, personaggio in ogni gesto, in ogni sguardo. Nonostante la regia faccia di tutto per tarparle le ali, la Grigorian vola sicura verso un meritato trionfo che il nutrito pubblico le ha elargito con autentico calore.
Autentica rivelazione – almeno per lo scrivente – Roman Burdenko che nei panni del conte Tomskij sfoggia una splendida voce di baritono, sicura e timbrata, e come interprete tratteggia un personaggio ricco e sfumato sempre con un fondo di bonaria ironia. La parte del principe Eleckij si riduce praticamente alla sublime aria del II atto e Alexey Markov la canta veramente molto bene.
Julia Gertseva è una vecchia Contessa giustamente affidata a un autentico mezzosoprano e non a qualche vecchia gloria sul viale del tramonto. La voce non è enorme e l’emissione soffre di qualche nasalità ma canta con gusto – l’aria di Gretry pulitissima e senza cadute di stile – e tratteggia un personaggio di sprezzante freddezza. Elena Maximova è una Polina semplicemente splendida e validissime le numerose parti di fianco con una nota di particolare merito per Maria Nazarova e Olga Syniakova deliziose nella scena di Prilepa e Milovzor. Sontuosa la prova del coro scaligero.
Lo spettacolo di Matthias Hartmann è apparso invece decisamente sotto tono. Il regista tedesco punta per un taglio decisamente espressionista che in più punti guarda al cinema di Murnau e degli altri maestri tedeschi degli anni 20 pur mantenendo un andamento sostanzialmente didascalico. Scene stilizzate fino all’astrazione, sostanziale bicromia nero/bianco, uso delle proiezioni con effetti cinematografici ad esempio nelle visioni di Hermann. Qualche bel momento non manca e si apprezzano alcune idee – come la presenza del Conte di Saint-Germain che diventa una sorta di deus-ex-machina della vicenda – ma nell’insieme la produzione non riesce a convincere. Molti momenti deludono sul piano estetico – al limite del fastidioso i grandi pannelli di luci al neon che sostituiscono i giardini a inizio opera – oppure appaiono eccessivamente caricati – decisamente volgari le coreografie di Paul Blackman nella festa in stile Settecento – e anche il lavoro sugli attori non è parso sempre centrato. Si tratta ovviamente di scelte stilistiche che possono anche trovare una loro valenza nel taglio funereo e grottesco dell’insieme ma in cui la realizzazione spesso non sembrava all’altezza dell’idea. Le luci di Mathias Märker contribuivano in modo essenziale alla creazione dell’atmosfera complessiva non priva di suggstione. Molto eleganti i costumi di Malte Lübben che trasponevano la vicenda negli anni della composizione dell’opera. Sala praticamente gremita e caloroso successo per tutti con punte trionfali per Zangiev e Grigorian. Foto Brescia e Amisano