Milano, Teatro alla Scala: “Jewels”

Milano, Teatro alla Scala, Stagione lirica 2021/22
“JEWELS”
Coreografia George Balanchine © The George Balanchine Trust
Musiche di Gabriel Fauré, Igor’ Stravinskij, Pëtr Il’ič Čajkovskij
Emeralds:  VITTORIA VALERIO, CLAUDIO COVIELLO, CATERINA BIANCHI,  GABRIELE CORRADO, GAIA ANDREANÒ, MARTA GERANI, CHRISTIAN FAGETTI
Rubies: NICOLETTA MANNI, AGNESE DI CLEMENTE, DOMENICO DI CRISTO
Diamonds: MARIA CELESTE LOSA, TIMOFEJ ANDRIJASHENKO
Corpo di ballo e Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Paul Connelly
Pianoforte Roberto Cominati
Scene Peter Harvey
Costumi Karinska
Milano, 20 marzo 2022
George Balanchine non riteneva necessari libretti per i suoi spettacoli, perché sarebbero risultati noiosi, ma anche perché non c’era nulla da capire oltre che l’ispirazione musicale dei passi messi in scena. L’assenza di una narrazione fa sì che lo spettatore sia ancora di più parte attiva nel costruire quello che potremmo definire un libretto incorporeo: quello che si genera di volta in volta ad ogni spettacolo, e che varia non solo in base all’interpretazione di ogni ballerino, ma soprattutto da spettatore a spettatore. Ciò fa sì che per alcuni aleggino persino momenti di noia, altri vengano attratti da un certo passo, altri ancora siano ammaliati da qualcos’altro. In questo modo ognuno può guardare, e comprendere, uno spettacolo differente; eppure, questi stessi spettatori sono tutti nella medesima sala! Questo è quello che può accadere soprattutto con i balletti astratti come questo, di danza pura. Eppure, può anche essere una cartina al tornasole della capacità che un corpo ha di esprimere e di arrivare allo spettatore: se c’è qualcosa di non chiaro emerge subito, perché non è presente la stampella della narrazione. Non spendiamo parole, qui, per introdurre lo spettacolo, di cui abbiamo già pubblicato un comunicato, a cui rimandiamo. Entriamo invece nel merito di quello a cui abbiamo assistito. Il primo atto è sembrato ai nostri occhi forse un po’ spento. Nonostante rappresenti il primo gradino di uno spettacolo in crescendo, l’anima dei ballerini ci è sembrata incerta su cosa dovesse esprimere. Crediamo che alla base di ciò ci sia anche una qualche “intenzione” della coreografia che non è arrivata al pubblico. L’elemento che abbiamo poi intercettato risiede nel fatto che, come è sempre stato rimarcato, Jewels sia un balletto montato per le donne; e sono infatti le donne che in questo primo atto si pavoneggiano un po’, ad esempio, con i ports de bras (ci riferiamo all’inizio della prima variazione femminile), ma che poi si appoggiano sempre agli uomini continuamente: sono, ad esempio, molte le prese di questo primo atto, e che spesso simulano il superamento di un qualcosa da parte della donna. E anche in Rubies ritroviamo un po’ questo elemento, quando i quattro ballerini in scena muovono le gambe e le braccia della prima ballerina come se fosse una marionetta. Lo leggiamo anche nel programma di sala: grazie all’intervento di Marinella Guatterini (Jewels, il collier di San Pietroburgo) sappiamo che “Diamonds e l’intera coreografia sono idealmente dedicati come inno e canto d’amore alla bellezza e alla preminenza femminile nell’arte coreutica”, e che prima di Balanchine “la danzatrice accademica sapeva e poteva vibrare dominando le proprie variazioni […] ma infine contava sull’appoggio e sulla saldezza del corpo maschile”; invece “in Balanchine la danzatrice può e deve essere assoluta e sola nel padroneggiare il proprio corpo tecnicamente ed espressivamente”. Ed infatti, il primo atto termina con gli uomini melanconicamente soli sul palco. Ci appare l’atto più complesso sotto questo punto di vista, e difatti sembra che non fosse ancora ultimato al suo debutto, nel 1967; in più, fu anche apportato qualche cambiamento successivamente (e tra le modifiche c’è il finale). Se questo che abbiamo rintracciato è l’elemento corretto, non lo abbiamo visto molto, e ci spieghiamo perché ai nostri occhi in Emeralds sia mancato quel “non so che”. Il secondo atto è stato davvero entusiasmante, dove siamo stati sorpresi da dei bravissimi Agnese Di Clemente e Domenico Di Cristo. La risposta del pubblico, infatti, è stata scalpitante e molto viva, e questa bella coppia è stata molto applaudita a suon di brava e bravo, insieme alla prima ballerina Nicoletta Manni. Il terzo atto ha visto protagonisti Maria Celeste Losa e Timofej Andrijashenko: lei si sta sempre più affermando sulle scene, e con tutto il merito; lui si conferma bravissimo, cresciuto davvero tanto artisticamente dal suo arrivo in Scala, e si è distinto per i salti molto leggeri. Anche loro sono stati applauditi calorosamente, insieme a tutta la grandeur dell’ultimo atto. È stato, nel complesso, un felice ritorno quello di questo spettacolo alla Scala. Tra l’altro, Jewels è molto presente nei cartelloni di tutti i più importanti teatri. Un bel destino per uno spettacolo che Silvia Poletti (nella video-intervista pubblicata dalla pagina YouTube del Teatro alla Scala) ha definito come un’operazione (almeno inizialmente) di puro marketing da parte di Balanchine, al fine di riempire il nuovo teatro affidatogli, ed invogliare il pubblico più tradizionale ad entrarvi. Sarebbe interessante approfondire questo aspetto, ma rimandiamo alla lettura degli scritti di Balanchine per comprendere come trattasse, anche con un po’ di ironia, l’ottusità di gusto di molte persone. Ed ecco che, forse, abbiamo intercettato un ulteriore messaggio tacito da destinare al pubblico di questo spettacolo; ma non vogliamo peccare di sovrainterpretazione. Ad ogni modo, quella di Jewels fu un’operazione felice, tanto che Patricia Neary afferma entusiasticamente (nell’intervista su La Scala Magazine) che ogni compagnia vuole ballare Balanchine. È proprio lei che, tra l’altro, dopo aver ballato questo spettacolo con Balanchine in persona, cura Rubies nelle varie riprese in giro per il mondo. Un balletto come questo ci sembra ricco di elementi preziosi anche e soprattutto per i ballerini, poiché, se nel Sette e Ottocento si era dimostrato che la danza avesse capacità espressive grazie alla narrazione, e cioè alla capacità di esprimere gli affetti, mettere in scena uno spettacolo come Jewels rappresenta un processo inverso, e quindi una doppia sfida: tecnica, perché si mettono in scena tre concezioni estetiche differenti; ma soprattutto espressiva, perché si deve danzare seguendo stili per cui in altri spettacoli si ha un personaggio, il quale rappresenta un grande appiglio per il danzatore, mentre in questo contesto è totalmente assente. Quindi, Balanchine ci ha lasciato in eredità dei gioielli molto preziosi. Sta a noi raccoglierli. Non solo per custodirli e sfoggiarli giustamente di tanto in tanto nei galà, come delle dame della belle époque, ma soprattutto per viverli. Foto Brescia & Amisano