Milano, Teatro Franco Parenti – Stagione 2021-22
“IL NODO”
di Johnna Adams traduzione Vincenzo Manna e Edward Fortes
con AMBRA ANGIOLINI e ARIANNA SCOMMEGNA
Regia Serena Sinigaglia
Scene Maria Spazzi
Costumi Erika Carretta
Luci Roberta Faiolo
Musiche Mauro Di Maggio, Federica Luna Vincenti
Produzione Società per Attori e Golden Art Production
Per le date della tournée si veda qui
Milano, 04 marzo 2022
Assistere a una recita de “Il nodo” di Johnna Adams è un effettivo pugno nello stomaco: il testo è – finalmente – un vero classico contemporaneo, potentissimo e assoluto, capace di mitizzare il presente e il quotidiano attraverso due archetipi dell’umanità, la Madre e la Maestra, Maria e Diotima, sapientemente mescolate e poi riseparate nei personaggi di Corryn e Heather. Non c’è spazio per alcuna retorica o piacioneria di sorta: ogni parola è un dubbio, un brivido, una coltellata. L’adolescenza di cui si parla di continuo è eviscerata quasi clinicamente, in ogni suo particolare tremendo (apparenza, confusione, crudeltà, violenza, nichilismo) e gli adulti davanti a questa escalation non sono capaci nemmeno di porsi, volgono lo sguardo, cercano di fuggire o chiedono aiuto – specie se hanno la sensazione di essere parte di quel crescendo negativo, e non semplici spettatori. Questo è quello che ora si rifiuta di fare Corryn, madre di Gidion, che si è sparato dopo essere stato sospeso da scuola per un tema considerato “fuori luogo”; Heather, tuttavia, la professoressa del ragazzo, non si vuole piegare all’elaborazione della perdita, forse perché nemmeno lei sa di avere tanta forza in corpo. “Il nodo” parla esattamente di questo: di ragazzini troppo consapevoli e adulti bamboleschi, di morte e redenzione. Perché qualcuno ha chiamato Gidion su Facebook “frocio” e qualcun altro gli ha invece detto che “gli crede”: cosa nasconde tutta questa storia? Lo spettatore, tramite questo éscamotage vagamente investigativo, viene trascinato direttamente nell’abisso della mal-educazione, a volte perché mancata e a volte perché eccessivamente impartita, in ogni caso destinata a deflagrare e fare vittime. Noi, che guardiamo, abbiamo il privilegio di poter sopravvivere, mentre il numero dei “Gidion” nel mondo aumenta ininterrottamente, dati alla mano. Anche questo è “Il nodo”, una denuncia nemmeno troppo velata del bullismo e dei suicidi tra i giovanissimi, che spesso liquidiamo come inspiegabili e che invece sarebbero non solo spiegabilissimi ma anche prevedibili e forse evitabili, se ci mettessimo noi nei banchi della classe dove Corryn e Heather sono costrette a rimanere – o forse, ancora meglio, se li spazzassimo tutti via, quei banchi, in modo da non trasformarli in “scatole che contengono altre scatole – i nostri figli”. In questa lucida e agghiacciante variazione sul gioco al massacro, Ambra Angiolini – l’attrice di cinema, ex cantante, ex ragazza di, ex moglie di ecc..ecc… – scompare del tutto per farsi tutta vulnus, un’unica grande sanguinante ferita che non lascia spazio a interpretazioni e punti di vista: è perfettamente e irrevocabilmente Corryn Fell, madre di Gidion Gibson, dodicenne suicida. Sembra infatti quasi incredibile vederla uscire per prendersi gli applausi meritatissimi, giacché non ha dato l’idea per un secondo di recitare, di essere altro da quello che ci ha mostrato in scena. Accanto a lei Arianna Scommegna ha sufficiente intelligenza scenica – oltre che talento sopraffino ed esperienza da vendere – da impostare la sua parte in maniera diametralmente opposta, per ottenere il medesimo risultato: si fatica a riconoscere, la Scommegna, lì per lì, perché è più goffa e grigia di quanto l’abbiamo mai potuta vedere in passato – sicuramente aiutata anche dalla agghiacciante mise in toni sottobosco che Erika Carretta le ha giustamente appioppato. E se nella voce, inconfondibile, qualcosa ci ricorda dell’attrice Premio Ubu 2014, sono le rigidità del collo e degli arti, la mimica tutta repressa a farla sparire e a mostrarci Heather Clarke, ordinaria zitella gattara professoressa di inglese, imbesuita davanti all’umanità che con la sua violenza improvvisamente bussa alle sue soglie polverose. Magistrale. Loro sono “Il nodo”, e sono in grado – alla prima italiana di quest’opera – di porsi già come termini post quem per qualunque altra attrice che in futuro voglia misurarsi con uno di questi ruoli. Infine, la regia di Serena Sinigaglia fa cadere la parola di pietra (come chiosò tanti anni fa la Achmatova) su questo testo e il suo intollerabile portato: le donne litigano, si odiano, si sopportano, ma sono due persone mature, a loro modo, che intessono i loro reticoli di refrattarietà per poi mandarli in pezzi con un abbraccio. Misura millimetrica caratterizza la regia, come millimetricamente è calcolata la scena di Maria Spazzi, rigonfia nel centro come un brufolo che debba esplodere, perché l’unico modo per parlare di un dolore fuor di misura è il costante mantenimento dell’equilibrio. La Sinigaglia questo mostra di saperlo fare con sapiente consapevolezza – la stessa che dovremmo avere noi, quando usciamo dalla sala. Almeno un briciolo. Almeno, si spera. Foto Azzurra Primavera