Pier Paolo Pasolini (Bologna, Quartiere Santo Stefano 5 marzo 1922 – Roma, Lido di Ostia 2 novembre 1975)
A venticinque anni, Pier Paolo Pasolini – in Atti impuri, racconto giovanile – ricorda a se stesso che Guido Gozzano, benché fresco venticinquenne, si ritrova a dire idealmente addio alla sua giovinezza, e l’abbandona nei Colloqui, raccolta poetica pubblicata nel 1911 («Venticinqu’anni!…/Sono vecchio, sono/vecchio! Passò la giovinezza prima,/il dono mi lasciò dell’abbandono!»); e Pasolini? Lui, no. Lui, alla sua giovinezza, resta eternamente e fatalmente fedele.
Un momento d’impetuosa vitalità, egli lo realizza proprio a venticinque anni, nel 1947. L’Autoritratto con fiore in bocca è un ubriacante contrappunto di potenze e forze deformanti, tumultuanti; quelle che, nel 1959, domineranno Una vita violenta: affresco-romanzo vivificato dal gergo della plebe romana, tra bidoni dell’immondezza e fiaschi di vino succhiati «a garganella». E ciò accadrà anche nei suoi film neorealisti: Accattone (1961) e Mamma Roma (1962).Pier Paolo Pasolini, Autoritratto con fiore in bocca, 1947. Olio su faesite, 42,4 x 34,5 cm. Fondo P. P. Pasolini, Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Vieusseux.
Egli ritrae una testa che pare dipinta di fresco. Una testa che pare stia asciugando il suo verdognolo colorito sotto quell’afoso sole che s’abbatte sopra le ringhiere arrugginendole, che s’abbatte sopra le catapecchie sgretolandole. L’estrema solitudine di questa figura c’incanta: il volto del Pasolini pare, sì, anestetizzato… ma, animato e sconvolto da una potente onda nervosa, da una sequela di contrazioni spasmodiche. Al suo alter ego, Pasolini gli procura sotto l’occhio una significante ecchimosi, sfigurandogli un volto che volto più non è: c’appare come un ammasso di carne compatta e molle, i cui occhi parrebbero ricavati attraverso uno schiacciamento del pennello sopra di esso. Quei rapidi colpi di colore, quelle sferzate di bianco sopra il volto – apparentemente accidentali e casuali – concorrono a conferirgli volume e potenza espressiva. Ma, sembrano bucarlo: il volto sta disfacendosi sotto i nostri occhi, come sotto l’azione d’un acido che corrode. E, più che dipinto, sembra un bassorilievo: la figura pasoliniana non emerge, non sorge dal fondo… ma, essa ed il fondo possono apparire come posti su di un medesimo piano, e ciò che riesce ad isolare la figura dal fondo è la forza della linea di contorno. Fondo che è occupato dalla densità materica d’una campitura bianca e viva, non omogenea. E, osservando sempre il fondo… chi è quel ragazzetto, coi calzoni corti e col panama in testa, che c’osserva, rinchiuso in un simulacro di disegno appeso al muro? Nisiuti, forse. Colui che il ventitreenne Pasolini amò, «quando fummo lontani, nei campi, e [dove] non c’era quindi il pericolo che qualcuno potesse vedere…»; il giovinetto di Atti impuri. Quel simulacro di ritratto, appeso al muro del suo autoritratto, Pasolini – in Atti impuri – pare descriverlo: un’ «immagine anonima, piena di una freschezza e di un ardore…». Non occorre aggiungere altro. Ma, resta posto per un quesito, a cui – purtroppo – non potremo pienamente rispondere: com’è possibile che il dipinto del Pasolini, risalente al 1947, possa apparirci come anticipatore dello stile pittorico e della composizione tipici dell’irlandese Francis Bacon?
Francis Bacon, Triptych – Three Portraits: Portrait of Lucian Freud, 1973 [Trittico – Tre ritratti: Ritratto di Lucian Freud]. Olio su tela, 198 x 147,5 cm. DACS-Artimage. Collezione privata, Svizzera.
Molteplici aspetti, colti osservando l’autoritratto pasoliniano, presentano analogie con gli elementi costitutivi della pittura di Bacon degli anni ’60 e ’70 – pittura che Gilles Deleuze stupendamente racconta in Logica della sensazione: dalle deformazioni, dalle trasformazioni della forma, a «dilatazioni» e «stiramenti» che «forze invisibili» esercitano sopra di essa; da «spettatori» o «testimoni», che sbucano da buchi praticati sul fondo e che s’ergono a «custodi» della figura, al contorno della figura come «ciò che insieme separa e unisce la forma e il fondo».
Il quadro comune al dipinto pasoliniano e alla pittura di Bacon potrebbe essere l’Autoritratto con l’orecchio bendato realizzato, nel 1889, da Vincent van Gogh.Vincent van Gogh, Autoritratto con l’orecchio bendato, 1889. Olio su tela, 60 x 49 cm. Courtauld Gallery, Londra.
Li accomunerebbe la presenza dell’elemento dell’arte nell’arte, dell’opera nell’opera: dove – sul fondo, cioè –, in Bacon e Pasolini, vi sono ritratti, volti o fotografie… in van Gogh, v’è una stampa giapponese. È fuor d’ogni dubbio, però, che van Gogh sia stato il riferimento pittorico d’entrambi. PPP l’ammette, sommessamente, in un altro racconto giovanile, Amado mio; Bacon, realizzando – negli anni ’50 – Studi per un ritratto di van Gogh.
Immagine di copertina: Gideon Bachmann, Pier Paolo Pasolini, 1975. Archivio Cinemazero. (Fine prima parte)