Venezia, Teatro Malibran: Elia Cecino e Riccardo Frizza in concerto

Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2921-2022
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Riccardo Frizza
Pianoforte Elia Cecino
Fryderyk Chopin:Concerto n. 1 in mi minore per pianoforte e orchestra op. 11; Robert Schumann: Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 97 “Renana”
Venezia, 5 febbraio 2022
Un altro appuntamento con la grande musica sinfonica – nell’ambito della  Stagione 2021-2022 della Fondazione Teatro La Fenice – ha avuto luogo al Teatro Malibran, dove il maestro Riccardo Frizza – già gradito ospite della Fenice, in occasione di diverse produzioni liriche – ha diretto il Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra di Chopin – solista, Elia Cecino, vincitore del Premio Venezia 2019 – e la Sinfonia  “Renana” di Schumann.
Chopin scrisse due Concerti per pianoforte e orchestra tra i diciannove  e i vent’anni d’età, quando si trovava ancora  a Varsavia, ma essi furono pubblicati solo nel successivo periodo parigino: il Concerto in mi minore, nel 1833, come op. 11, il Concerto in fa minore, pur composto precedentemente, nel 1836, come op. 21. È noto che, da sempre, il Primo concerto per pianoforte e orchestra ha goduto del favore del pubblico, mentre la critica – compreso il nostro autorevole Piero Rattalino – ha avanzato qualche riserva, lamentando soprattutto una scrittura orchestrale troppo carente a fronte di uno strapotere della parte solistica. La prima  stroncatura  “eccellente” è dovuta a Franz Liszt, che peraltro fu, assieme a Schumann, uno dei più strenui difensori della musica di Chopin, nonché autore di due Concerti per pianoforte abbastanza affini, quanto struttura formale e vena melodica, a quelli composti dal maestro polacco. L’incomprensione della critica di ieri, come di quella attuale, nasce probabilmente dal fatto che si è giudicato questo Concerto – come peraltro il secondo Concerto per pianoforte dello stesso Chopin – mettendolo a confronto con la tradizione “classica”, in particolare con analoghe composizioni dell’ultimo Mozart, di Beethoven, di Schumann, di Brahms, senza considerare che all’epoca – per fare un esempio – i Concerti di Beethoven erano praticamente sconosciuti a Varsavia, mentre erano molto popolari quelli di compositori, quali Ries, Kummel, Field, Kalkbrenner – quest’ultimo non a caso dedicatario del Concerto op. 11 –, dove l’orchestra ha un ruolo ancillare rispetto alla parte preponderante assegnata al solista.
Un’inappuntabile preparazione tecnica, coniugata a più che promettenti doti interpretative, soprattutto se rapportate alla giovane età di Elia Cecino, si è colta nell’esecuzione del concerto chopiniano, nel corso della quale si sono anche apprezzati il rigore e la sensibilità con cui Riccardo Frizza ha seguito e sostenuto il solista con la complicità di un’orchestra altrettanto precisa e partecipe. Il nitore del tocco, che dava alle note la lucentezza e la rotondità di altrettante perle, si è pienamente goduto nel primo movimento, Allegro maestoso, in forma sonatache occupa da solo la metà del concerto –,  aperto da una lunga introduzione orchestrale, dove si alternano i due temi, che caratterizzano l’intero movimento, fino all’intervento del pianoforte, che ha esposto, dopo un incipit perentorio, il primo tema, un canto di struggente bellezza, per intonare, più oltre, il secondo delicato tema, dal carattere lirico. Fu l’amore per la cantante Kostancjia Gladkowska a ispirare a Chopin una scrittura così diffusamente cantabile, ma anche, e soprattutto, la passione per l’opera italiana come hanno confermato anche i numerosi abbellimenti – tutt’altro che esempio di mero virtuosismo, in quanto perfettamente funzionali sul piano espressivo – della parte solistica, eseguiti con esemplare sicurezza. Una vena di struggente cantabilità ha percorso anche il movimento centrale, Romanza, dalla forma piuttosto libera, la cui introduzione, affidata agli archi con sordina e poi ai corni, ha creato un’atmosfera sognante, cui il solista ha partecipato, intonando un canto purissimo, che poteva ricordare certe melodie di Bellini, un autore amatissimo da Chopin; un canto che, punteggiato da terzine cromatiche e arpeggi da parte del solista, è stato riproposto dagli archi prima della breve chiusa. Il conclusivo Rondò – preceduto da una breve introduzione orchestrale e basato su un tema ritmico in 2/4 “à la krakovienne”, che ne costituisce il ritornello – ha visto il pianoforte lanciarsi in un virtuosismo veramente luminoso a conferma della padronanza tecnica posseduta dal giovane concertista, che – a furore di applausi – ha concesso due bis dall’opus 24 di Chopin: la mazurca n. 4 in si bemolle minore e la n. 2 in do maggiore.
Per quanto riguarda la Terza Sinfonia di Schumannin realtà l’ultima, perché la Quarta era già stata  ultimata nel 1841 –, essa nasce, in un periodo particolarmente felice dal punto di vista creativo, a Düsseldorf, dove il sommo maestro, nel 1850, si trasferì con la famiglia, per assumere la prestigiosa carica di direttore dei concerti. A contatto con gente semplice e cordiale, si schiuse per lui uno squarcio di serenità, se non di entusiasmo, che ha influenzato la Terza Sinfonia, nella quale si rispecchia, come indica il titolo “Renana”, l’esperienza vissuta da Schumann sulle sponde del fiume cantato da Heine, il poeta nativo di Düsseldorf, che si spense nel 1856, anno in cui morì anche il compositore. La Sinfonia, in un primo momento, fu intitolata “Un quadro di vita sul Reno” e, inoltre, recava in epigrafe al quarto movimento l’indicazione “Come accompagnando una solenne cerimonia” (quella di investitura a cardinale dell’arcivescovo di Colonia, cui Schumann aveva effettivamente assistito nel Duomo, il 12 novembre 1850). Ma questi riferimenti extramusicali furono in seguito rigettati dal compositore, nel timore che potessero sminuire il valore universale di una musica, che non può essere ricondotta a una mera intenzione descrittiva o impressionistica, pur rimanendo fortemente improntata a una festosa e solenne celebrazione del Reno e della patria tedesca.
Qui Riccardo Frizza ha dimostrato un prefetto dominio di ogni aspetto della partitura, segnalandosi, in modo particolare, per la coerenza nella scelta dei tempi e dei vari livelli dinamici, oltre che per la particolare cura riservata alla coesione sonora, pur nel valorizzare ogni intervento solistico, ancora una volta sorretto da un’orchestra pienamente all’altezza. Ne è risultata un’interpretazione, che ha esaltato – senza mai discostarsi dal buon gusto e dall’eleganza stilistica – il carattere romantico di questa partitura, che coniuga il gioioso e, talora, commosso attaccamento alle radici nazionali  all’originalità della creazione artistica. Lo si è sentito nel primo movimento, Vivace, nella tonalità dell’Eroica (mi bemolle maggiore), dominato, fin dall’inizio, da un tema prorompente, che procede del tutto libero, scomponendosi via via nei suoi elementi ritmici e intervallari, nonché variando dal punto di vista del timbro e dell’elaborazione polifonica: esempio tipico del concetto di monotematismo in Schumann. Affiatamento e compostezza stilistica hanno caratterizzato lo Scherzo (Molto moderato), che col suo ritmo di Ländler è un delicato omaggio a Schubert, e il terzo movimento, Non veloce – due movimenti, in cui hanno diffusamente brillato gli archi e i legni, mentre nel movimento successivo, Solenne, ha primeggiato, per nitore di suono e intonazione, la sezione degli ottoni, cui è affidata una sorta di corale, anticipando una caratteristica, che sarà peculiare in Bruckner. Lo slancio del primo tempo, insieme ad alcuni suoi spunti tematici, è tornato nel movimento finale (Vivace), che si è chiuso in un tono grandioso e affermativo. Scroscianti applausi, e ripetute chiamate per Frizza, a conclusione di serata.

 

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