Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2021-2022
“LE BARUFFE”
Teatro di musica. Libretto di Giorgio Battistelli e Damiano Michieletto
Musica di Giorgio Battistelli
Padron Toni ALESSANDRO LUONGO
Checca SILVIA FRIGATO
Madonna Pasqua VALERIA GIRARDELLO
Lucietta FRANCESCA SORTENI
Titta-Nane ENRICO CASARI
Beppo MARCELLO NARDIS
Padron Fortunato ROCCO CAVALLUZZI
Madonna Libera LORIANA CASTELLANO
Orsetta FRANCESCA LOMBARDI MAZZULLI
Padron Vicenzo PIETRO DI BIANCO
Toffolo LEONARDO CORTELLAZZI
Isidoro FEDERICO LONGHI
Il Comandador EMANUELE PEDRINI
Canocchia SAFA KORKMAZ
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Enrico Calesso
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Light designer Alessandro Carletti
Projection designer Sergio Metalli
Regia del suono Davide Tiso
Movimenti coreografici Thomas Wilhelm
Prima rappresentazione assoluta
Venezia, 24 febbraio 2022
Dopo i successi riportati qualche anno fa con Il medico dei pazzi e, rispettivamente, Riccardo III, Giorgio Battistelli – Leone d’oro alla carriera alla Biennale Musica 2022 – è tornato alla Fenice per presentare in prima assoluta Le baruffe – un’ opera tratta da Le baruffe chiozzotte di Goldoni – con la regia di Damiano Michieletto – che ha realizzato, insieme a Battistelli, anche il libretto – e la direzione musicale di Enrico Calesso. Si tratta di una commissione assegnata al compositore laziale dalla Fondazione Teatro La Fenice, finalizzata a celebrare i sessant’anni della Casa Editrice Marsilio che, a partire dal 1993, ha avviato la pubblicazione dell’Edizione Nazionale delle Opere del grande commediografo veneziano. L’idea di dedicare una nuova produzione a Goldoni è nata, a suo tempo, nella mente del sovrintendente-direttore artistico del Teatro La Fenice Fortunato Ortombina, che ha affidato la sua realizzazione a Battistelli e Michieletto. Tra le opere del drammaturgo veneziano, la scelta è caduta su Le baruffe chiozzotte, che Battistelli – sulla base dello straordinario testo goldoniano – ha concepito da subito come un affresco fatto di voci e di nebbia, di pettegolezzi ed allusioni, di amore e odio. Ne è scaturita una partitura, in cui l’orchestra e i cantanti sono protagonisti di una storia, che inizia non si sa bene perché – per una fetta di zucca, incautamente offerta da Toffolo a Lucietta? – ma assume ben presto toni drammatici, generalmente lontani dalla leggerezza di una commedia, rivelando tratti espressionistici, che possono evocare Brecht. La direzione di Enrico Calesso – ben sorretto dall’Orchestra e dal Coro – ha saputo rendere efficacemente i caratteri di questa partitura, carica di drammaticità e dai colori diffusamente scuri, con interventi forse anche troppo fragorosi delle percussioni, pur mancando squarci lirici e raffinati impasti timbrici, ad accompagnare il canto con la sua peculiare prosodia vernacolare.
Importante, in questa rivisitazione, è l’accentuata dimensione corale. Il Coro – assente nell’originale – rappresenta la popolazione di Chioggia, che fa eco alle dispute, che si succedono sulla scena, con una straordinaria gamma di colori e una scrittura vocale, che non rifugge dal grammelot come nel coro iniziale. Più regolare, invece, è il fraseggio assegnato ai cantanti, cui si richiede comunque – ancora un tratto espressionistico! – una tessitura molto estesa, in un continuo declamato dalle linee sinuose – uno Sprechgesang? –, che al pari della parte corale, si modella su certe tipiche inflessioni dialettali chioggiotte, simpaticamente note ai veneziani.
Sul piano visivo lo spettacolo, nel complesso convincente sotto il profilo scenografico, gestuale e simbolico, si può definire, con le parole dello stesso scenografo, “una macchina dell’inquietudine”: un’inquietudine sia a livello emotivo che atmosferico. In altre parole, lo scirocco, il vento, la nebbia, che cita il libretto, sono poste in un rapporto analogico con l’emotività dei personaggi attraverso alcune “macchine emotive”. La prima è costituita dalla scena stessa senza quinte, in cui anche gli elementi più squisitamente tecnici sono visibili da parte del pubblico. Vi sono, poi, un voile grigio sullo sfondo – che rappresenta la nebbia, che sale e scende – e, in alto, tre enormi pale, che creano il vento, ma con il loro movimento più o meno rapido, indicano anche il livello di tensione emotiva, presente sulla scena. Quest’ultima è composta da muri fatti di assi di legno grezzo – che talora diventano armi brandite dalle contrapposte fazioni –, mossi di volta in volta da figuranti, a creare varie specie di labirinti, che ancora una volta non rappresentano solo la configurazione spaziale del luogo, ma simboleggiano anche una serie di stati emotivi. Nel finale, un’ulteriore macchina – un enorme proiettore da cinema – illumina tutta la scena, mentre, apertosi il grande velo, si celebra il matrimonio tra Lucietta e Titta-Nane con il lancio del riso e i doverosi festeggiamenti. Quanto ai costumi, essi rispecchiano, in generale, un Settecento per nulla edulcorato, ma crudamente realistico, modellandosi su un quadro, I cacciatori, di Pietro Longhi, un pittore scevro da ogni decorativismo, ma anche su opere di Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto, che rappresentava i “pitocchi”, cioè personaggi umili, pur con una sfumatura di fierezza. In tale prospettiva, sono assenti le parrucche come ogni tipo di trucco, mentre i colori scelti sono melmosi – come il verde che possiamo vedere nelle bricole corrose dall’acqua – e derivano da un enorme lavoro si tintura e invecchiamento di ogni costume per creare una patina d’epoca e un senso di usura. Fa eccezione il costume di Isidoro, personaggio che si distingue per la parrucca e la pulizia degli indumenti, oltre che per il linguaggio più forbito.
Positive sono risultate globalmente le prestazioni dei cantanti nelle loro sperticate acrobazie canore.
Le coppie: Padron Toni e Madonna Pasqua (rispettivamente: Alessandro Luongo e Valeria Girardello); Titta-Nane e Lucietta (Enrico Casari e Francesca Sorteni); Beppo e Orsetta (Marcello Nardis e Francesca Lombardi Mazzulli); Padron Fortunato e Madonna Libera (Rocco Cavalluzzi e Loriana Castellano). Inoltre: Isidoro (Federico Longhi) e il suo Comandador (Emanuele Pedrini), Toffolo (Leonardo Cortellazzi), Checca (Silvia Frigato), Padron Vincenzo (Pietro Di Bianco), Canocchia (Safa Korkmaz). Buona anche la prestazione del Coro istruito dal nuovo direttore Alfonso Caiani. Applausi per tutti a fine serata.