Torino, Teatro Regio, stagione d’opera e di balletto 2022
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger
Musica di Giacomo Puccini
Mimì MARITINA TAMPAKOPOULOS
Rodolfo VALENTIN DYTIUK
Musetta VALENTINA MASTRANGELO
Marcello ILYA KUTYUKHIN
Schaunard VINCENZO NIZZARDO
Colline RICCARDO FASSI
Benoît e Alcindoro MATTEO PEIRONE
Parpignol SABINO GAITA
Sergente dei doganieri DESARET LIKA
Un doganiere MARCO TOGNOZZI
Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Regio
Direttore Pier Giorgio Morandi
Maestro del Coro Andrea Secchi
Maestro del Coro di voci bianche Claudio Fenoglio
Regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi
Curatrice delle scene Leila Fteita
Curatrice dei costumi Nicoletta Ceccolini
Bozzetti per la prima assoluta al Regio Adolf Hohenstein
Pittore scenografo Rinaldo Rinaldi
Luci Andrea Anfossi riprese da Lorenzo Maletto
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Torino, 12 febbraio 2022 (inaugurazione della stagione d’opera)
Se La bohème è per eccellenza l’opera del Teatro Regio di Torino, ove ebbe il battesimo l’1 febbraio 1896, questa produzione della Bohème è il simbolo del Regio durante il periodo pandemico. Programmata per andare in scena nel marzo 2020, fu stoppata a prove ultimate dalla prima ordinanza di chiusura dei teatri. Celermente ricalendarizzata per il mese successivo, quando si pensava che bastasse qualche settimana senza abbracci per fermare la corsa del coronavirus, dovette nuovamente essere annullata quando si prese atto che le stagioni teatrali non avrebbero potuto essere completate. Nell’estate 2020, con la convinzione che la pandemia fosse ormai alle spalle, fu messa in calendario per il mese di dicembre; ma, dato l’arrivo della seconda ondata, fu possibile darne esecuzione soltanto a porte chiuse, per lo streaming, nel febbraio 2021. Ora che il Regio può finalmente riaprire i battenti ‒ con alcuni mesi di ritardo rispetto agli altri teatri, per via dei lavori di adeguamento del palcoscenico ‒ è naturale che proprio da questa Bohème si sia scelto di ripartire. La peculiarità per la quale fin dall’inizio era stata pubblicizzata è l’allestimento scenico che riproduce, sia pure in maniera non pedissequa, le scene e i costumi della prima assoluta del 1896, ripresi dai bozzetti d’epoca dipinti da Adolf Hohenstein, e fatti rivivere grazie alla cura di Leila Fteita, Nicoletta Ceccolini e del pittore scenografo Rinaldo Rinaldi. Si tratta della Bohème prototipo, la più “tradizionale” che ci possa essere, eppure (o, forse, proprio per questo) risulta assai più essenziale di tante edizioni sovraccariche che si sono viste in giro nei decenni passati. Alla tradizione si sono allineati i registi Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, che hanno dato vita a uno spettacolo lineare, gradevole da vedere e funzionale nell’accompagnare lo spettatore alla scoperta delle vite dei protagonisti. Gli unici interventi più marcati ‒ alcuni cambi di luce, che mettevano in evidenza il passaggio tra diversi piani psicologici ‒ si sarebbero potuti evitare, perché finivano per essere più didascalici che suggestivi.
La cura musicale dello spettacolo è stata affidata al direttore Pier Giorgio Morandi, che, oltre a coordinare bene i solisti, si è distinto nel mettere in luce alcuni dettagli inconsueti della partitura: sono emersi con nitore interventi strumentali che spesso sfuggono, ed è stato dato rilievo insolito ad alcune scene dialogiche. Quest’ultima pratica è stata perseguita con particolare chiarezza nel II quadro, dove gli interventi dei personaggi che chiacchierano, amoreggiano e scherzano han finito per divenire fin troppo predominanti, lasciando sullo sfondo il pur ottimo Coro del Teatro Regio (anche nella sua componente di voci bianche), vero protagonista della vita del Quartiere Latino. I solisti ingaggiati per la produzione hanno portato a termine con professionalità una recita nella quale il dialogo del quotidiano è risaltato più dello slancio lirico. Risulta persino difficile trovare una parola per tutti gli interpreti di quella che si potrebbe complessivamente definire come buona routine. Sicuramente si è distinto il basso Riccardo Fassi (Colline) con la sua «Vecchia zimarra», prezioso cammeo fraseggiato con eleganza e morbidezza di suono. Il baritono Vincenzo Nizzardo (Schaunard) ha mostrato insolita personalità nel racconto della lezione di pianoforte durante il I quadro, che si è stagliato rispetto alle battute degli amici. Il soprano Valentina Mastrangelo dispone di uno strumento che è troppo esile per incarnare il carattere sfrontato e prorompente di Musetta al suo ingresso in scena, ma diviene più adeguato per intonare la preghiera nel quadro finale. Ilya Kutyukhin è un Marcello sicuramente espressivo, col suo piglio da baritono di carattere e un bel colore. Il tenore Valentin Dytiuk sfoggia una voce chiara, che sale con morbidezza verso le regioni acute nella «Gelida manina» (il passo probabilmente più applaudito), tratteggiando un Rodolfo delicato. Meno definita è la Mimì del soprano Maritina Tampakopoulos, dalla gamma cromatica un po’ stretta e timida nell’effusione lirica; il suo meglio è emerso nella composta mestizia di «Donde lieta». Hanno completato il cast come seconde parti Matteo Peirone (veterano nei ruoli di Benoît e Alcindoro), Sabino Gaita (Parpignol), Desaret Lika (Sergente dei doganieri) e Marco Tognozzi (Doganiere). La sala del Regio, non sold out ma assai più colma di pubblico rispetto a quanto si veda in altri teatri d’opera e sale da concerto, traspirava quel senso di libertà e di vita che si possono provare al termine di un forzato digiuno che, per i più, è durato due anni. La sola atmosfera bastava a garantire il grande successo che è arriso allo spettacolo, durante la rappresentazione e al suo termine. Dopo che questa Bohème ha riannodato i fili con il passato remoto e recente del Regio, si auspicano spettacoli che, con la loro unicità artistica, segnino nuove strade di eccellenza per il futuro del teatro.