Torino, Auditorium RAI “A.Toscanini”, Stagione Sinfonica 2022.
Orchestra Sinfonica Nazionale RAI
Direttore Gergely Madaras
Mezzosoprano Mihoko Fujimura
Baritono Matthias Goerne
Richard Wagner: “Idillio di Sigfrido” (1870), “Wesendonck-Lieder” (1857-58 orch. F.Mottl); Johannes Brahms: “Vier ernste Gesänge” op.121 (1896 orch. A.Schmalcz), Variazioni su un tema di Haydn, op.56° (1873)
Torino, 18 Febbraio 2022
Questo, che è il quinto concerto della stagione, ha subito una programmazione travagliata: originariamente prevista in locandina l’opera di Bartòk Il castello del Principe Barbablu, si è abbandonata perché, per Torino, nel frattempo entrata in zona arancione, i regolamenti di sicurezza impedivano l’ammassamento sul palco di tutti gli orchestrali richiesto dalla partitura (sic). In sostituzione dell’opera di Bartòk, con i solisti previsti a cartellone, un brano orchestrale e un ciclo liederistico rispettivamente di Wagner e di Brahms. Non son finiti gli inconvenienti, al posto della prevista Angela Denoke, ammalatasi nel frattempo, si è inserito il Mezzosoprano nipponico, già abituale interprete bayreuthiana, Mihoko Fujimura. Rimane fisso il celebrato baritono tedesco Matthias Goerne che, dismessi i panni di Herzog Kekschakalu (Barbablu), si immerge nella triste meditazione di un estremo Brahms. L’ungherese, eroicamente adattatosi alla situazione, ha mantenuto in pugno la bacchetta e l’orchestra.
Nel 1869, mentre Wagner sta lavorando al Siegfried, terza opera dal Ring dei Nibelunghi, la moglie Cosima partorisce il loro primo figlio, non casualmente chiamato Siegfried. L’anno successivo per celebrare l’evento, a sorpresa, Richard fa suonare sotto la finestra della moglie questo Idillio. Il brano ripesca temi dall’opera ancorché commisti con una ninnananna tradizionale e ha tutti i colori di un tenero intimo dono. Madaras, serio e professionale, ha evitato di affogarlo nella melassa e ce l’ha restituito nella sua sincera freschezza.
Dieci anni avanti, 1859, è il tempo di Tristan und Isolde e la tosta Cosima è ancora moglie di un altro, Richard quarantaseienne, svolazza quasi libero e si incapriccia di Matilde Wesendonck, trentunenne moglie di ricco mercante, appassionato wagneriano. Matilde, per diletto versifica, e non vede l’ora di mandare al musicista 5 suoi testi perché li sublimi con note immortali, Richard se ne sente obbligato e li stende su un letto di melodie che pescano e anticipano alcuni temi del secondo atto del gran lavoro in corso. Le cinque canzoni nascono per canto e pianoforte, in seguito Wagner stesso orchestrò il quinto: Träume (Sogni) perché venisse eseguito sotto la finestra (era evidentemente un vezzo ripetitivo) di Matilde per festeggiarne il compleanno; all’ottima elaborazione orchestrale dei rimanenti quattro ci pensò il direttore Felix Mottl. Qui la prestazione di Mihoko Fujimura ha fatto valere la sua consumata esperienza di cantante wagneriana. Splendente per l’elegantissima figura, non lo è meno per la voce. Notiamo un vibratino stretto poco gradevole e un registro acuto che tende a suonare alquanto “indietro”.
Pure Brahms trentaduenne ebbe a che fare, a partire dal 1865, con l’appassionata Matilde, ma pare che i rapporti non fossero così arditi e non giunse a ricevere e a musicarne versi per cantarglieli poi sotto le finestre. Le quattro Canzoni Serie (seriose) op 121 sono le ultime musicate da Brahms prima di morire e sono, tranne l’ultima, di una abissale tristezza. Brahms, nella sua opera, non è mai brillato per euforica vivacità, e qui men che meno. I testi dei primi 3 canti sono tratti dall’Ecclesiaste ( 1°-2°) e dal Siracide (3°) e trattano di tribolazione per tutti gli esseri che stanno sotto il sole e sulla terra e vi si invoca la morte pur temendola. L’ultima canzone, da una lettera di San Paolo ai Corinzi, in modo un poco forzato, tenta un improbabile happy end cui neppure l’autore, visti i precedenti, par credere. Le quattro canzoni serie sono nate per voce di basso e pianoforte, Matthias Goerne le ha fatte orchestrare, per noi inopportunamente, dal suo abituale pianista accompagnatore, Alexander Schmalcz. Il baritono tedesco è da anni uno dei liederisti più apprezzati, anche questa sera si è dimostrato formidabile nel porgere le frasi e nel valorizzare ogni parola fin nel colore di ogni singola sillaba. La voce, purtroppo, questa sera non è parsa omogenea come d’abitudine: sbiancata nel registro acuto e nei pianissimi, con opacità nella zona bassa. Quasi sicuramente il cantante non è era in forma fisica. Madaras non ha distrutto il fascino della composizione a nostro parere gravemente compromessa da un’orchestrazione che annulla la discreta visione “intima” dell’originale accompagnamento pianistico. La serata si conclude poi col Brahms delle “Variazioni sul corale di S.Antonio di Haydn”. La questione circa l’origine del tema da Haydn è controversa, di certo c’è che si rifà ad un canto popolare austriaco per la festa di S. Antonio. Le 8 variazioni sono inquadrate tra un iniziale Tema e una Passacaglia Finale. Opera del 1873 di un Brahms quarantenne che qui dimostra grande ed elaboratissima maestria. Difficile non farsi entusiasmare dalla trionfale fanfara finale, dopo un percorso concentrato su raffinati trattamenti del tema che testimoniano l’adesione dell’autore alla tradizione barocca dei Bach e degli Handel. Madaras, a mani nude, nella pura tradizione degli allievi di Boulez, ha rasentato la perfezione disvelando tutto il fascino che una partitura studiatissima ed elaboratissima può rinchiudere. La matassa viene sbrogliata con la stessa destrezza con cui il matematico di vaglia risolve le equazioni più complesse. Reiterati applausi dal rado pubblico, reiterati ringraziamenti dal maestro agli orchestrali, ripetutamente ricambiati. Si raccomandano i consueti canali RAI per rivedere e riascoltare, arricchiti anche da commenti e da interviste dell’ottima Susanna Franchi. Foto PiùLuce/OSN Rai