“Misericordia” di Emma Dante

Como, Teatro Sociale – Stagione Notte Prosa 2021/22
“MISERICORDIA”
di Emma Dante
Bettina ITALIA CARROCCIO
Nuzza MANUELA LO SICCO
Anna LEONARDA SAFFI
Arturo SIMONE ZAMBELLI
Regia Emma Dante
Luci Cristian Zucaro
Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Biondo di Palermo, Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale
il 03 marzo al Teatro Camploy di Verona; da qui le altre date della tournée.
Como, 12 febbraio 2022
Uno degli ostacoli più insidiosi da affrontare, quando si vuole scrivere una recensione, è rappresentato dal limite stesso della parola: quelli che spesso immodestamente si definiscono “critici”, infatti, molto più umanamente riferiscono delle emozioni, le connessioni intellettuali, le idee e le “intermittenze del cuore” (per dirla con Proust) che un fenomeno artistico provoca in loro, ossia in persone che hanno precedentemente ricevuto una educazione nel settore di quel fenomeno, ma non è detto che una lingua storico-naturale basti per esprimere nero su bianco questi moti interiori. Talvolta una sensazione di totale disgusto o disapprovazione non trova parole abbastanza taglienti, così come la piena meraviglia non ne trova di sufficientemente grandi. Questa premessa è doverosa per spiegare sia le recensioni “severe” che spesso ci troviamo a scrivere, sia quelle entusiastiche, nella speranza è di non essere mai tiepidamente divertiti, o, peggio, indifferentemente (in)trattenuti, da nessuno spettacolo teatrale: per questi esiti che non si spostano di un millimetro dalla mediocrità, tuttavia, occorre ammettere che le parole abbondino, giacché l’ordinarietà rappresenta la gran parte del vivere – e per questo speriamo di poter sempre trovare lo stra-ordinario dietro un sipario chiuso. Tuttavia, questa è la premessa necessaria anche per  “Misericordia” di Emma Dante, che, sia chiaro, ci è piaciuto subito, ma di cui è difficile parlare: il groviglio di emozioni, in alcuni momenti anche contrastanti, che questa pièce riesce a intrecciare, i nervi scoperti che riesce a toccare, i morbidi cuscini in cui ci culla e le atroci scudisciate che infligge, sono di difficilissima espressione, almeno per chi scrive. C’è Arturo, un ragazzo iperattivo e con disabilità psico-fisica (che, in fondo, siamo tutti noi, risucchiati dalla frenesia sociale e incapaci di relazionarci), e ci sono tre madri meridionali amorose e leonesse, armate di ferri da calza e dentini da latte; eppure queste stesse sono anche tre sgualdrine povere e spudorate, tre vajasse, come si direbbe a Napoli, le pezzenti che vivono nei piani umili dei palazzi, tre zoccole miserande, cioè tre topi di fogna, che si litigano un panino come fosse un’eredità milionaria; e con loro c’è il ragazzino, scemo e sconclusionato, vittima della sua stessa natura imperfetta, originata da una violenza nel ventre materno. Questa umanità senza bussola, senza pulizia, senza vergogna, conosce il bruciore delle botte dei clienti, ma ancora sa distinguere l’innocenza dalla corruzione, e celebra la vita ad ogni costo: vive tra spazzatura dai colori fluo, canta e balla, urla e scalcia, ma soprattutto protegge: “Misericordia” è un breve folgorante testo sull’Amore che nutre, oltre tutto e tutti, al di là della povertà, della violenza, della disabilità e dell’infamia, l’unico Amore con la A maiuscola, che non tradisce e non si spegne, ma si moltiplica e dilata all’infinito, l’Amore che non conosce possesso e sa lasciare andare – come le mamme lasciano alla fine andare Arturo in un istituto ove potrà aspirare a condizioni di vita più solide di quelle che le tre prostitute potranno offrirgli mai. La regia è di una semplicità quasi scolastica, se non fosse per alcuni dettagli che tradiscono non solo la professionalità, ma anche la genialità dell’occhio della regista Emma Dante, che sa far trasparire ciò che non si mostra, e sfoggia quello che non c’è veramente: sulla scena francescana (quattro sedie e qualche oggetto di scena), infatti, gli interpreti agiscono con una precisione quasi millimetrica, e soprattutto inter-agiscono con ritmi inappuntabili, tramite una parola bella e sonora, ma soprattutto intensa e – vivaddio – significativa, veicolo di tutta la gamma emozionale che si possa chiedere (rabbia, amore, illusione, sofferenza, allegria, terrore) e che si esprime in due parlate inconfondibilmente musicali e arcane, il pugliese e il siciliano, affascinanti come due registri vocali, contralto e soprano. Certo, un simile risultato si ottiene solo se la regia si innesta su talenti già chiari e maturi, come appaiono quelli di Italia Carroccio (Bettina) e Manuela Lo Sicco (Nuzza), ma soprattutto sulla presenza scenica di Leonarda Saffi (Anna), che accompagna agli spigoli dell’eloquio le curve di una naturalezza disarmante, capace di farci credere a ogni singola parola che esca dalla bocca dell’attrice. E poi c’è Simone Zambelli, Arturo, uno di quei ruoli difficili da scordare, per il pubblico come per il performer: un’ora secca di movimento ininterrotto, corsa, tremolio, salti da terra, dalla sedia, cadute, giravolte, distensioni inattese ed esplosioni coreografiche, fino all’unica, fulminante, struggente parola detta una sola volta: “Mamma”, che lacera e al contempo cura. Rivolta a chi? A Nuzza, ad Anna, a Bettina, o forse ormai anche a noi, che in meno di un’ora abbiamo imparato a tollerarlo, apprezzarlo, e ora già ci preoccupiamo per il suo destino di diverso ad vitam in un mondo che vorrà ad ogni costo normalizzarlo? Su questo interrogativo si rialzano le luci in sala e il pubblico, commosso e attonito, non sa fare altro che applaudire per minuti che vorrebbero essere ore a quattro splendidi interpreti e soprattutto all’esperienza che Emma Dante ha saputo regalargli: un’esperienza di lancinante e rivivificante verità. Foto Masiar Pasquali