Milano, Teatro alla Scala, stagione d’opera e balletto 2021/22
“THAÏS”
Comédie lyrique in tre atti su libretto di Louis Gallet dall’omonimo romanzo di Anatole France
Musica di Jules Massenet
Thaïs MARINA REBEKA
Athanaël LUCAS MEACHEM
Nicias GIOVANNI SALA
Crobyle CATERINA SALA
Myrtale ANNA-DORIS CAPITELLI
Albine VALENTINA PLUZHNIKOVA
Charmeuse FEDERICA GUIDA
Palemon INSUNG SIM
Un servitore JORGE MARTINEZ
Cenobiti LUIGI ALBANI, DENIS HYKA, ANDREA SEMERARO, MASSIMO PAGANO, GIORGIO VALERIO
Ballerini solisti EMANUELA MONTANARI, MASSIMO GARON
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Direttore Lorenzo Viotti
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Olivier Py
Scene e costumi Pierre André Weitz
Luci Bertrand Killy
Coreografie Ivo Bauchiero
Milano,19 febbraio 2022
La stagione scaligera dopo due allestimenti interessanti ma non esenti da carenze prende decisamente il volo con la nuova, sontuosa, produzione di “Thaïs” opera assente dal palcoscenico scaligero dal 1942 e che vi è ritornato con uno spettacolo destinato a rimanere nella memoria dei presenti e nella storia esecutiva dell’opera.
Vertice di tutta una serie di tematiche esotiche e mistico-sensuali cui il compositore si era avvicinato già a partire da “Hérodiade” del 1881 e che trovano in “Thaïs” il loro punto di arrivo dopo i tasselli preparatori di “Esclarmonde” e “Le mage” e che non troveranno più un così perfetto equilibrio nei lavori successivi soprattutto per carenze sul piano teatrale.
Le tematiche di “Thaïs” sono uno dei grandi temi conduttori della cultura francese del XIX secolo già a partire dalla stagione romantica e sempre più con il declinare di questi verso il decadentismo e il simbolismo ambiti espressivi in cui l’opera di Massenet s’inserisce pienamente a differenza del romanzo di France dove l’ironia al vetriolo contrasta e quasi irride le suggestioni edonistiche, le lussurie della carne e quelle ancora più abbiette dello spirito.
La scrittura di Massenet è tutto questo e molto di più, con una sincerità umana che manca al romanzo e che nell’opera permea le musiche della protagonista e in parte di Nicias, l’altra figura sostanzialmente positiva dell’opera con il suo scetticismo edonistico ma non vacuo, l’unico capace di sacrificare il proprio interesse per il bene altrui. Daniele Viotti ha tra le mani un magma incandescente e nonostante la giovanissima età lo modella con l’esperienza di un veterano. I colori orchestrali sono splendidi, carichi di tutta la ricchezza di un dipinto di Moreau, il suono è pieno, ricco, tornito ma mai eccessivo, mai coprente e sempre perfettamente inserito nella visione del dramma. Viotti lavora sui contrasti, valorizza la trasparenza delle linee, l’espressività di pianissimi che si fanno alito di suono e che non scompaiono ma si esaltano nella ricchezza dell’arazzo sonoro. Esplora tutte le sfumature dell’erotismo musicale dalla fragilità indifesa al furore esplosivo ma riesce a non essere mai retorico o stucchevole, senza mai cedere a un certo sentimentalismo cui la musica potrebbe far indulgere ma mantenendo sempre una lucidità e un rigore esemplari. Autenticamente ispirati dal direttore coro e orchestra della Scala sono protagonisti di una prestazione magistrale con una giusta segnalazione per il solista al violino nella celebre “Meditation” purtroppo non indicato in locandina.
La compagnia di canto è perfettamente all’altezza della direzione orchestrale. La parte di Thaïs presenta una tessitura al limite dell’impossibile dal si grave al re sovracuto oltre a richiedere personalità e doti interpretative non comuni. Marina Rebeka domina la parte con assoluta naturalezza, la tessitura acutissima è o affrontata con una facilità e con un’omogeneità di assoluta perfezione. La voce è ricca di armonici, potente e compatta, il colore molto bello ed esemplare il controllo sul fiato in cui emerge la lunga militanza belcantista che trova autentiche gemme come il Sol acuto in piano di “réponds-moi”. La Rebeka non è però solo una cantante di qualità ma una grandissima artista capace di trovare sempre i giusti colori e il giusto tono espressivo: leggera ma non frivola nelle scene con Nicias; di una sincerità espressiva totale in quella dello specchio, capace di dar risalto a tutti i tormenti che lacerano l’anima della cortigiana così come al radioso abbandono alla dolcezza della morte liberatrice. L’innegabile fascino scenico è il perfetto completamento del ruolo.
Subentrato al previsto Ludovic Tézier ancora convalescente il baritono americano Lucas Meachem è stato la vera rivelazione della produzione. Praticamente sconosciuto al pubblico italiano si è mostrato in possesso di una voce ragguardevole per presenza e colore, capace di reggere senza cedimenti una scrittura non meno complessa di quella della prima donna e mostrandosi ottimo interprete capace di dar risalto alle crepe che spezzano le granitiche certezze dell’anacoreta fino a farlo sprofondare nel gorgo della perdizione.
Gli altri personaggi vivono come di riflesso rispetto alla coppia protagonista. Giovanni Sala forse è un po’ al limite sugli acuti ma è esemplare nel cogliere il nostalgico cinismo di Nicias, la sua umanità dietro la maschera del gaudente epicureo. Caterina Guida e Anna-Doris Capitelli gorgheggiano sicure nelle vesti delle ancelle Crobyle e Myrtale; un plauso a Federica Guida molto brava nella breve ma impervia parte della Charmeuse chiamata a spingersi fino al Re sovracuto. Valentina Pluzhnikova ancora allieva dell’accademia scaligera ha già il timbro profondo e la serena autorevolezza richieste da Albine.
Lo spettacolo di Olivier Py si distingue per coerenza e forza visiva. La vicenda è spostata dall’Egitto tardo-antico a una contemporaneità non definita. Il monastero è simile alle comunità di certe sette protestanti nord-americane e appare come una struttura oppressiva dominata da pareti di mattoni neri mentre Alessandria è un cabaret popolato da ragazze discinte e frequentatori ambigui la cui estetica ricorda i cabaret della Repubblica di Weimar mente sulle pareti scorrono versi danteschi la identificano come la via che porta alla perdizione. Nonostante la particolarità delle scelte la vicenda si svolge con grande chiarezza e nulla risulta forzato. Molti i momenti di grande forza visiva. L’apparizione di Thaïs colpisce nel segno. Si apre il sipario sul palco che domina la struttura e su un fondale di fiamme infernali la cortigiana appare come un angelo demoniaco dalle grandi ali scarlatte. I colori hanno un ruolo fondamentale nello spettacolo che molto gioca sulla contrapposizione cromatica tra il nero/bianco del cenobio e il rosso/oro della città del peccato.
Tratto molto presente è il richiamo iconografico e simbolico a culture differenti. Le scene della visione ispirate per diretta affermazione a “Le tentazioni di Sant’Antonio” di Grunenwald e Rops hanno una forza visiva innegabile e qualche polemica al riguardo sulle nudità presenti ci appare puramente pretestuosa. Una delle cifre dello spettacolo è il sincretismo simbolico e culturale elemento che coglie bene una natura profonda della realtà egiziana fin dal periodo ellenistico pur declinandola in forme libere e autonome svincolate da contesti precisi. Esempio di questo modo di procedere è l’identificazione della Charmeuse con la Santa Muerte di cui non solo indossa il costume ma con cui si fonde completamente comparendo al fianco del letto di morte di Thaïs ad aprire per lei una serenità extra-mondana.
Le coreografie di Ivo Bauchiero accompagnano tutta l’opera accompagnano tutta l’opera divenendone uno degli assi portanti quasi a ricreare in chiave contemporanea un genere profondamente francese come l’opéra-ballet.
Successo trionfale per tutti con punte di autentica ovazione per Viotti e Rebeka tanto più significativo per l’età media decisamente bassa del pubblico – la recita rientrava nel progetto OperUnder30 – con una sala gremita di giovani appassionati e partecipi. Foto Brescia e Amisano