San Daniele del Friuli, Auditorium alla Fratta – Stagione 2021-22
“NOTA STONATA”
di Didier Caron, traduzione di Carlo Greco
Hans Peter Miller CARLO GRECO
Leon Dinkel GIUSEPPE PAMBIERI
regia Moni Ovadia
scene Eleonora Scarponi
costumi Elisa Savi
Luci Daniele Savi
Produzione Golden Show, Teatro della Città Catania, Festival Teatrale Borgo Verezzi
San Daniele del Friuli, 17 febbraio 2022
Da qui il calendario delle repliche
Nota Stonata, è un intenso testo di Didier Caron, ambientato nei primi anni Novanta ed inserito nella stagione di prosa di San Daniele del Friuli dall’ERT, ente regionale teatrale del Friuli Venezia Giulia, realtà che coinvolge quasi trenta teatri, la maggior parte dei quali di ridotte dimensioni, disseminati nel territorio della regione e che permette una proposta culturale di qualità anche per i centri minori, ottimizzando i costi di gestione e coinvolgendo comunque ogni comunità nella programmazione. La scena, di Eleonora Scarponi, semplice e funzionale , ci mostra il camerino di Hans Peter Miller, il famoso direttore della Filarmonica di Ginevra.
Il Maestro arriva, stanco e stizzito, dopo aver diretto un concerto che non l’ha soddisfatto. È in fibrillazione perché gli hanno offerto un incarico importante a Berlino: prendere il posto che era stato di von Karajan. Il tempo di un paio di telefonate e bussano alla porta: è un ammiratore, Leon Dinkel, che si infila ripetutamente nella stanza e comincia a tempestarlo di domande. Racconta di essere arrivato dal Belgio appositamente per ascoltarlo, ma di li a poco si capisce che più che per la musica, è andato là per incontrarlo. La vicenda comincia a mostrare un caleidoscopio di sfaccettature e di imprevedibili vicende, che si dipanano nel corso di una serata allucinante e spietata, nella quale un passato drammatico viene visto da tante angolature e si ricorrono odio, rimorso, rimpianto, egoismo, vendetta, verità, pietas, finzione , affetti presenti e perduti.
Il regista Moni Ovadia riesce a scavare il testo, trovando ritmi, cadenze, pause in un continuo crescendo narrativo, nel quale la musica, evocata o realmente ascoltata, ha un ruolo da coprotagonista. Quello che compie lo spettatore è un viaggio nell’animo umano, del quale si indagano aspetti terrificanti e momenti patetici e la cui conclusione diviene momento liberatorio collettivo. Il lavoro è molto impegnativo per i due protagonisti: Giuseppe Pambieri e Carlo Greco. Greco è il direttore d’orchestra. Attore dal vasto curriculum e dalle moltissime esperienze, riesce a costruire un personaggio complesso e credibile, giocato su più registri, ricco di sfumature e con una attenzione raffinata alla gestualità, che mescola sofferenza umana e nevrosi professionale.
I silenzi, gli sguardi, qualche smorfia, si fanno racconto muto che rende ancora più personale la sua interpretazione, che si carica emotivamente nel corso della serata fino ad un finale straziante che chiude lo spettacolo con un urlo sporcato di pianto che commuove la platea. Giuseppe Pambieri, che annovera un passato da protagonista di sceneggiati televisivi di grande successo, vanta una carriera teatrale di mezzo secolo, che gli ha permesso di lavorare con i più grandi della scena italiana. Tanta esperienza ha distillato le sue capacita espressive, che gli consentono, anche grazie all’uso sapiente della voce, di modellare una figura al tempo stesso cinica e fragile, che cerca di dare pace ad un passato traumatico e che solo attraverso un viaggio iniziatico che lo porta a vestire i ruoli di vittima, di carnefice, di giudice e di vendicatore, riesce a recuperare la propria dimensione umana autentica ed a scoprire il potere liberatorio della pietas. Lo scorrere della vicenda viene accompagnata dal silenzio, rispettoso e quasi wagneriano, del pubblico, che si trasforma, qualche secondo dopo la chiusura del sipario, in un lunghissimo applauso per entrambi gli interpreti, che sembrano commossi dalle ripetute chiamate in scena.