Opéra-comique in tre atti su libretto di Jules Barbier e Michel Carré, da Molière. Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre Lyrique, 15 gennaio 1858.
” Nel 1856, feci conoscenza di Jules Barbier e di Mechel Carré. Chiesi loro se fossero disposti a lavorare con me e ad affidarmi un libretto; vi acconsentirono con molta cortesia. La prima idea sulla quale attirai la loro collaborazione fu Faust. Questa idea piacque molto: andammo a trovare Monsieurkk Carvalho, che era allora direttore del Théâtre-Lyrique, situato in boulevard du Temple, e che aveva da poco messo in scena La Reine Topaze, opera di Victor Massé, nella quale Madame Miolan-Carvalho aveva riscosso un grande successo.
Il nostro progetto arrise a Carvalho, e subito i miei due collaboratori si misero all’opera. Ero giunto all’incirca a metà del mio lavoro, quando Carvalho mi annunciò che il teatro della Porte-Saint-Martin preparava un grande melodramma intitolato Faust, e che questa circostanza capovolgeva tutte le sue combinazioni in merito alla nostra opera. Considerava, a ragione, che noi fossimo pronti prima di la Porte-Saint-Martin; e, d’altra parte, giudicava imprudente, dal punto di vista del successo, ingaggiare, sullo stesso soggetto, una lotta con un teatro la cui messa in scena lussuosa avrebbe già fatto correre tutta Parigi nel momento in cui la nostra opera avrebbe visto la luce.
Ci invitò dunque a cercare un altro soggetto; ma questo improvviso inconveniente mi aveva reso incapace di qualunque diversivo, e rimasi fermo 8 giorni senza riuscire a dedicarmi ad un altro lavoro.
Infine Carvalho mi chiese di scrivere un’opera comica e di cercarne l’argomento nel teatro di Molière. Fu quella l’origine del Médecin malgé lui, che fu rappresentato al Théâtre-Lyrique il 15 gennaio 1858, anniversario della nascita di Molière. L’annuncio di un’opera comica scritta da un musicista i cui tre primi saggi sembravano indicare tendenze completamente diverse, fece temere e presagire un fiasco. L’evento eluse questi timori, dei quali alcuni erano forse delle speranze, e il Médecin malgré lui fu, malgrado ciò, il mio primo successo di pubblico al teatro. Il piacere sarebbe stato avvelenato dalla morte della mia povera madre che, malata da mesi e completamente cieca da due anni, spirava il giorno seguente della prima, il 16 gennaio 1858, all’età di 77 anni e mezzo. Non mi è stato concesso di apportare ai suoi ultimi giorni questo frutto e questa ricompensa di una vita interamente dedicata all’avvenire dei suoi figli! Spero, almeno, che abbia portato con sé la speranza e il presentimento che le sue cure non sarebbero state sterili e che i suoi sacrifici sarebbero stati benedetti”. (C. Gounod, Memorie di un artista & altri scritti, a cura di R. Viagrande, Manzoni, Merone 2018, pp. 142-143).
Così, nei suoi Mémoires, lo stesso Gounod ricordò la genesi e la prima rappresentazione del Médecin malgré lui, tacendo, però, dell’incidente diplomatico che ne nacque con la Comédie-Française che aveva giudicato la scelta di utilizzare un soggetto di Molière “uno sconfinamento nel suo dominio”. La risposta di Gounod non si fece attendere e fu consegnata ad una lettera indirizzata ad Achille Fould, direttore delle Belle Arti, nella quale il compositore giustificava la scelta del soggetto con la volontà di creare un’opera buffa specificamente francese. La lettera di Gounod sarebbe probabilmente caduta nel vuoto se la principessa Matilde, figlia di Girolamo Bonaparte e cugina di Napoleone III, non fosse intervenuta presso Fould il quale chiese al famoso attore della Comédie-Française, Edmond Got di supervisionare la messa in scena con importanti suggerimenti in merito alla regia e alla declamazione dei dialoghi parlati. La rappresentazione, che ebbe dunque luogo il 15 gennaio 1858 sotto la direzione di Adolphe Deloffre e con Auguste Meillet (Sganarelle), Fromont (Léandre), Amélie Faivre (Martine), Caroline Girard (Jacqueline), Esther Caye (Lucinde), Lesage (Géronte), Émile Wartel (Valère), Adolphe Girardot (Lucas) ed Ernest Leroy (Monsieur Robert), vide la partecipazione di Madame Carvalho che alla fine, vestita da Musa e in una scenografia che raffigurava una sorta di Olimpo, cantò la mélodie Fille d’Apollon, adattata dalla Sapho sempre dello stesso Gounod, prima che il busto di Molière fosse coronato con l’alloro. Le qualità dell’opera non sfuggirono alla critica che, però, manifestò qualche perplessità. Scudo sulla “Revue des deux Mondes” criticò la scelta degli autori di restare troppo legati alla prosa di Molière:
“Attaccandosi alla prosa di Molière, Gounod si è messo nell’alternativa o di fare un capolavoro capace di assorbire e far dimenticare il testo originale, oppure di ingaggiare una lotta tra lo spirito di Molière e quello del compositore, costretto ad esprimersi in una lingua nella quale lo spirito delle parole e i sottintesi non esistono. È evidente che ci sono grandi qualità di fattura nella partitura che abbiamo appena analizzato, ma non si trova in essa ciò che era assolutamente necessario perché il tentativo di Gounod avesse pieno successo: originalità e soprattutto gaiezza. Gounod è un compositore di un raro merito che non è riuscito a superare per mezzo dell’ispirazione della sua Musa, il formidabile genio contro il quale si è imprudentemente misurato”.
Di diverso avviso fu, invece, Jouvin che su “Le Figaro” del 4 febbraio scrisse:
“Ci sono delle persone che hanno rimproverato alla musica del Médecin malgrè lui di mancare di gaiezza; temo che la gaiezza di quelle persone sia quella delle barzellette, e dal momento queste specie di buffonate si vendono a tutti gli incroci, mi meraviglio che si venga a rivolgersi a Gounod per averle, in quanto ci sono tanti altri menestrelli sotto le mani”.
Ad apprezzare l’opera furono anche alcuni illustri “colleghi” di Gounod, come Reynaldo Hahn che giudicò l’opera come “un modello assoluto di opera buffa” e Berlioz, il quale non solo sul “Journal des Débats” raccomandò la lettura di questa partitura ad Hans von Bülow, ma in una lettera scritta alla sorella Adèle scrisse:
“Un vero piccolo capolavoro di gusto, di spirito, di verve e di atticismo musicale”.
Il successo fu confermato dalle 58 repliche, anche se l’opera ebbe più estimatori presso gli amatori della buona musica che presso il largo pubblico.
La trama segue fedelmente quella della commedia di Molière il cui protagonista è il venditore di fascine Sganarelle (baritono), un ubriacone che, anzi,dice di essere saggio solo quando beve e che picchia spesso la moglie Martine (soprano). La donna medita, allora, nei confronti del marito una vendetta la cui idea le viene offerta dal fortuito incontro con i servitori di Geronte (basso), Valerio (basso) e Luca (tenore), i quali alla ricerca di un medico che possa guarire dall’improvviso mutismo la figlia Lucinde (soprano). Fa passare il marito per medico, ma dice loro che, per fargli svolgere la sua professione, devono bastonarlo. I due servitori eseguono e Sganarelle, riempito di botte e costretto a confessarsi medico, si reca nella casa di Geronte dove apprende la verità: Lucinde si è finta muta perché non vuole sposare l’uomo che il padre le ha destinato, ma il giovane Leandro (tenore) che viene nominato da Sganarelle suo farmacista in modo che questi possa avere libero accesso alla casa di Geronte. La ragazza, visto l’amato Leandro, recupera la parola e dice di volerlo sposare contro la volontà paterna che si ammorbidisce nel momento in cui il giovane diventa destinatario di un’imprevista eredità.
Dal punto di vista musicale l’opera è costituita da un’ouverture e da 13 numeri. L’ouverture, abbastanza ampia e di matrice berlioziana e weberiana, dal punto di vista formale si presenta come una “contaminazione” tra la forma-sonata, di ascendenza rossiniana, con il modello poutpourri, in quanto in essa è possibile ascoltare ben 6 temi tratti dall’opera. In apertura troviamo, infatti, un’ampia introduzione nella quale Gounod riprende il tema della Marche ds garçons tailleurs dalle musiche di scena del Borghese Gentiluomo e che utilizzerà alla fine del secondo atto per il coro dei medici. Ad esso seguono una transizione abbastanza sviluppata che, basata sul tema della consultazione dei contadini (atto III) e su un pedale il cui spiccato proviene dal sestetto dell’atto secondo, conduce all’Allegro in forma-sonata, ma senza sviluppo, il cui primo gruppo tematico è costituito dal tema del sestetto (Ah! l’habile homme) e da quello del pezzo d’insieme dell’atto secondo (Eh! Vite donne-lui), mentre il secondo (alla dominante) è tratto dall’atto terzo.
Contravvenendo alla tradizione dell’opera buffa che prescriverebbe all’inizio la presenza di un coro, ma seguendo l’esempio del Fidelio di Beethoven, l’opera si apre con un brioso e ironico duetto tra Sganarelle e la moglie Martine, protagonista quest’ultima dei due successivi couplets, nei quali sono ben rappresentati il carattere risoluto della donna, nei salti anche d’ottava, e la sua civetteria nei sillabati. Seguono gli ironici couplets di Sganarelle (Qu’ils sont doux), nel quale il compositore calca la mano sull’ubriachezza, e il Terzetto, del quale sono protagonisti Luca, Sganarelle e Valére e la cui struttura si presenta estremamente libera e ben ispirata dal testo. Il primo atto si conclude con il Choeur des fagotiers et des fagotières (fascinai e fascinaie). Il primo numero del secondo atto è la dolce e lirica Serenade di Léandre, preceduta da un preludio nel quale i pizzicati degli archi imitano il suono di uno strumento a plettro. Seguono i Couplets di Jacqueline, balia in casa di Geronte, e un complesso Sestetto, cantato da Lucinde, Jacqueline, Valère, Luca, Sganarelle e Geronte, nel quale si possono sentire echi da Così fan tutte di Mozart. L’atto si chiude con l’elaborato Finale. Come nel secondo atto, anche il preludio del terzo anticipa la successiva aria di Sganarelle (Vive la médecine). Ad essa seguono la scena del consulto nella quale si possono trovare elementi buffoneschi, il duetto di Sganarelle con la Nutrice, i Couplets di Lucinde che ritrova la parola e infine la ripresa del Choeur des fagotiers et des fagotières.