Torino, Auditorium RAI “A.Toscanini”, Concerti d’autunno 2021.
Orchestra Sinfonica Nazionale RAI
Direttore Daniele Gatti
Robert Schumann: Sinfonia No. 1 in Si bemolle maggiore Op. 38 (denominata Primavera); Sinfonia n. 3 in Mib Maggiore Op. 97 detta Renana.
Sinfonia n. 2 in Do maggiore, op. 61; Sinfonia n. 4 in Re minore Op.120
Torino, 9 e 17 dicembre 2021
Non facile tour de force per esecutori e ascoltatori, dato il non facilissimo rapporto tra Schumann e la sinfonia e quindi gli esiti un poco problematici che ne hanno condizionato, nel tempo, il giudizio critico e spinto alcuni esecutori, ad esempio Mahler, ad intervenire con “correzioni” dell’orchestrazione. Schumann, reduce da un quindicennio di indiscussi successi come autore di musica pianistica e di lieder, coronato il sogno di una vita con il contrastato matrimonio con Clara, si assunse l’onere di diventare il compositore tedesco di riferimento. Viveva a Lipsia dove era in residenza, presso l’ex mercato dell’abbigliamento (Gewandhaus) la più antica e rinomata Orchestra Sinfonica Stabile d’Europa, quindi scrivere sinfonie era ormai per lui divenuto un impegno inevitabile. Da grande critico, tra i primi rivelò la grandezza di Chopin e Schubert, e studioso navigato individuò in Bach e Beethoven i modelli tedeschi a cui riferirsi: il primo per il trattamento dei “temi” e l’altro per la formalizzazione della “forma” sinfonica.
I “temi” adottati nelle 4 sinfonie sono, alla maniera di Bach, brevi e semplici, tali da permettere i successivi sviluppi, sono però poco orecchiabili, non si esce dall’ascolto di una sinfonia di Schumann con il motivetto che ti frulla in testa. Il “motto tematico” lo trovi all’inizio ed elaborato si inserisce come ansa e nodo di una intricatissima filigrana che percorre l’intera sinfonia, ti ricompare ovunque a legare il discorso, pur se non sempre facilmente riconoscibile all’ascolto.
Berlioz e la sua sinfonia Fantastica avevano, una decina d’anni prima, sdoganato un’articolazione più fantasiosa dei movimenti variandone il numero e derogando alla sequenza classica “allegro – lento – vivace – allegro” dei classici 4 movimenti. Schumann fu pure tentato dall’impulso di uscire dagli schemi, se nella 2° e nella 3° inverte i due movimenti centrali, rimane però sostanzialmente fedele allo schema beethoveniano.
Questi impegni costruttivi, l’elaborazione tematica e lo schematismo della forma, penalizzano aspetti peculiari caratterizzanti il romanticismo in musica: il richiamo alla natura e il coinvolgimento psicologico-sentimentale. Si canta poco, quindi pochi sono gli interventi solistici, e si impone un’orchestrazione compatta con predominanza, non sempre piacevolissima, del “tutti” degli archi che a tratti si materializza in un vero rullo compressore che tutto porta sotto di sé.
Affascinante constatare come Daniele Gatti e con lui l’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI, siano riusciti ad affrontare e a vincere la non facile sfida di questa integrale.
Il direttore, scevro da qualsiasi atteggiamento divistico, ha condotto l’orchestra guardandola negli occhi: niente leggio, niente partitura, tutto a memoria, gesto morbido essenziale e chiaro. L’attenzione e la tensione tenute costanti hanno contribuito a districare e ad esplicitare quanto imprigionava il filo della filigrana, di cui sopra. Un’attenta lettura “mediana”, senza le estasi di Celibidache e le furie di Czell, lontana pure dagli affascinanti languori dell’ultimo Bernstein e dai dolorosi ripiegamenti di Abbado. I tempi “giusti” e l’orchestra con sonorità moderate portano ad una lettura classica da grande ed affidabile maestro alla tedesca e a noi fa ricordare Sawallisch. Il gesto e lo scrupolo con cui il direttore milanese conduce a termine la prova manifestano chiaramente l’affetto e la comprensione per l’autore e per la sua terribile vicenda umana e testimoniano un grandissimo impegno ad onorarne l’opera e la memoria.
L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai è stato uno strumento perfetto per ottenere l’ottimo risultato conseguito, se qualche sbavatura e qualche disallineamento ci sono stati non hanno minimamente compromesso il successo della prestazione.
Sono radi gli interventi strumentali solistici richiesti da queste partiture pur qui vanno ricordati, a conferma dell’ottimo livello complessivo, le squillanti fanfare degli ottoni, le suadenti melopee dei legni, la fisicità ritmica dei timpani.
I violini, con le file molto ringiovanite, si confermano compagine compatta e trainante. Il gruppo degli archi gravi, viole violoncelli e contrabbassi, continuano poi a stupirci per l’incanto di un timbro di velluto.
Il pubblico che purtroppo, al richiamo di tale evento, non accorre numeroso, mostra comunque di apprezzarne gli esiti. Gli applausi piovono sonori e convinti e per Gatti, a quelli del pubblico, si uniscono scroscianti e lunghissimi quelli degli orchestrali che così ricambiano gli altrettanto calorosi ringraziamenti del direttore. Covid permettendolo, ritornerà Gatti e a breve, agli inizi di gennaio, con Wagner e Bruckner. I concerti rimangono ascoltabili e visibili in rete nei siti dell’Orchestra e di Raicultura.