Reggio Emilia, Teatro Municipale Valli, Stagione d’opera 2021
“WERTHER”
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Édouard Blau, Paul Milliet et Georges Hartmann, tratto dal romanzo “I dolori del giovane Werther” di Johann Wolfgang Goethe.
Musica di Jules Massenet
Werther FRANCESCO DEMURO
Le Bailli ALBERTO COMES
Charlotte SONIA GANASSI
Albert GUIDO DAZZINI
Schmidt NICOLA DI FILIPPO
Johann FILIPPO ROTONDO
Sophie MARIA RITA COMBATTELLI
Brühlmann ANDREA GERVASONI
Kätchen LUISA BERTOLI
Orchestra Filarmonica dell’Opera Italiana “Bruno Bartoletti”
Solisti della scuola voci bianche della Fondazione Teatro Comunale di Modena, Coro voci bianche della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Direttore Francesco Pasqualetti
Maestri dei cori delle voci bianche Paolo Gattolin, Costanza Gallo
Regia Stefano Vizioli
Scene Emanuele Sinisi
Costumi Anna Maria Heinreich
Luci Vincenzo Raponi
Visual Imaginarium Creative Studio
Reggio Emilia, 12 dicembre 2021
Lo scopo della regia teatrale è sovente quello di portare alla luce ciò che sembra sepolto nel testo, nel contesto o nel metatesto dell’opera; Stefano Vizioli deve aver interpretato un po’ troppo alla lettera questa vocazione registica, giacché ci propone un “Werther” senz’altro dalla direzione curata e dalla scena ragionata, ma sostanzialmente estraneo al modello goethiano. Senza bisogno di scomodare Dahlhaus – che ha scritto pagine memorabili sull’argomento – per sostenere la nostra tesi, sembra naturale che nel costruire una regia di literaturoper sia necessario confrontarsi in primo luogo con la fonte letteraria, e non accoglierne la vicenda in maniera acritica; Vizioli, invece, sembra approcciarsi a Goethe con superficialità, limitandosi all’aspetto epistolografico, creando una scena di carta, percorsa da scritte più o meno calligrafiche, richiamata alla mente dall’anziana Charlotte, che, dalla sua sedia a rotelle sulla quale è intabarrata come la vecchina del cacao, rilegge le vecchie lettere di Werther e soffre. Non c’è molto Goethe, c’è forse uno spruzzo di Thomas Mann (autore dell’ipotetico sequel letterario, “Lotte in Weimar”, pubblicato comunque alcuni decenni dopo l’opera di Massenet), ma c’è soprattutto il travagliato libretto di Blau, Milliet e Hartmann, una presenza insufficiente affinché il “Werther” si porti in scena. Mi spiego meglio: lo spettatore di Massenet conosceva benissimo l’opera giovanile di Goethe, poiché aveva rappresentato una vera moda fino al principio del XX secolo – tanto da far parlare di “wertherismo” per definire il fenomeno del suicidio giovanile influenzato (a dire dell’opinione pubblica) da letture poco edificanti. Massenet stesso era consapevole di ciò, e nella partitura spesso inserisce ciò che nel libretto non c’è – e può benissimo non esserci, tanto lo si conosceva già. Tuttavia dallo spettatore del 2021 non possiamo aspettarci la stessa contezza del romanzo, dobbiamo anzi accompagnarlo alla scoperta del mondo goethiano, prima ancora che massenetiano. In una parola, all’assetto scenico-registico di questo “Werther” manca la giusta atmosfera, che le suggestive luci di Vincenzo Raponi non possono da sole ricreare, giacché né il minimalismo delle scene di Emanuele Sinisi, né l’anonimato dei costumi di Anna Maria Heinreich danno appigli per cogliere il contesto. Solo il talento degli interpreti può riscattare questa produzione: e infatti la coppia di protagonisti, Demuro e Ganassi, quando slegata dalle arbitrarie trovate della regia, riesce a comunicarci appieno la contenuta, e per questo vibrante, passione Sturm und Drang che li travolge, comunicando qualcosa di molto prossimo al trasporto preromantico. Per il resto, il cast si serve senza dubio di bravi professionisti, ma che non ci conducono davvero alla scoperta dei loro personaggi, rimanendo alla superficie dei loro ruoli – talvolta cantati comunque mirabilmente, come il Bailli di Alberto Comes, l’Albert di Guido Dazzini o la Sophie di Maria Rita Combattelli; in altri casi fornendo performance più opache, come Nicola di Filippo e Filippo Rotondo nei ruoli di Schmidt e Johann. Sonia Ganassi – chiamata a sostituire la collega indisposta – parte cauta con Charlotte, scivolando in qualche manierismo, cauta anche nel fraseggio; nel terzo atto però diviene un fiume in piena di emozione, tutto espresso in una vocalità naturale, aperta, spesso anche arditamente sfogata; è impossibile non seguirne ogni parola, ogni gesto, e non godere della ricca gamma tecnico-coloristica alla quale attinge con sicurezza. Francesco Demuro, dal canto suo, invece, compie un percorso inverso: pare un Werther quasi troppo vocalmente disinvolto nei primi atti, a tratti fin compiaciuto delle grandi possibilità vocali ed espressive che il tenore sardo sa sfoggiare con facilità; poi, dall’incontro fatale con Charlotte del terzo atto, qualcosa scatta in lui, e ci regala una cura maggiore nelle mezzevoci e un fraseggio molto più consapevole. La direzione del maestro Francesco Pasqualetti ha senz’altro saputo valorizzare gli interpreti, anche se l’energico gesto talvolta appare soverchiante (in particolare i Solisti della Scuola voci bianche della Fondazione Teatro Comunale di Modena); tuttavia il ricchissimo sinfonismo del “Werther” – e più in generale dell’opera francese ad esso contemporanea – non può certamente essere ridimensionato senza perdere la sua specificità, e la scelta filologica di Pasqualetti in tal senso può venire facilmente compresa, tanto più se in fin dei conti non si presentano vistosi ritardi tra buca e scena. Suggestivo, per quanto limitato, infine, l’apporto del Coro voci bianche della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, specialmente nello straniante contrappunto natalizio durante la morte del protagonista.