Milano, Teatro alla Scala- Stagione d’Opera e Balletto 2021-2022
“MACBETH”
Melodramma in quattro atti – Libretto di Francesco Maria Piave e Andre Maffei.
Musica di Giuseppe Verdi
Macbeth LUCA SALSI
Banco ILDAR ABDRAZAKOV
Lady Macbeth ANNA NETREBKO
Dama di Lady Macbeth CHIARA ISOTTON
Macduff FRANCESCO MELI
Malcolm IVÁN AYÓN RIVAS
Medico ANDREA PELLEGRINI
Domestico LEONARDO GALEAZZI
Sicario ALBERTO ROTA
Araldo / Prima apparizione COSTANTINO FINUCCI
Seconda apparizione BIANCA CASERTANO
Terza apparizione EVA BLU ZENONI
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Davide Livermore
Scene Giò Forma
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro
Video D-Wok
Nuova produzione Teatro Alla Scala
Milano, 15 dicembre 2021
Dopo le Prime ambrosiane di Giovanna d’Arco (2015) e Attila (2018), con Macbeth si chiude la “trilogia giovanile” di Giuseppe Verdi proposta dal Direttore Musicale scaligero Riccardo Chailly. La produzione è ancora una volta affidata a Davide Livermore e alla sua squadra ormai ampiamente rodata, al suo quarto spettacolo inaugurale: ci si avvale ancora una volta dello studio Giò Forma per la scenografia, di D-Wok per le proiezioni video, di Gianluca Falaschi per i costumi, di Antonio Castro per le luci.Siamo catapultati in un universo distopico, proiezione mentale di Macbeth, raccontato attingendo a piene mani dal linguaggio cinematografico. La citazione più evidente è da Inception, noto thriller fantascientifico del 2010 a firma di Christopher Nolan: un’esplorazione del subconscio, l’insinuarsi nei sogni più intimi e oscuri dell’uomo, qui declinati nella sanguinosa ed accecante sete di potere. Una rappresentazione di un universo onirico e fuori dal tempo dominato da skyline rovesciati, immagini caleidoscopiche che vanno ad intersecarsi e confondersi l’una con l’altra in una costante rotazione che genera un suggestivo effetto di straniamento che ci porta più vicini allo stato confusionale, cupo e corrotto del protagonista. Non mancano altri riferimenti alla Settima Arte, riportandoci alla mente Metropolis di Fritz Lang – da riperscarsi nel 1927 ma così incredibilmente futuristico – o geometrie Art Decò vicine al Grande Gatzby di Baz Luhrmann. Ma nello sfarzoso e contemporaneo disegno del palazzo, dimora della sanguinaria coppia, ci si presenta un’estetica che attinge a piene mani anche dal mondo dell’architettura e del design. Si torna agli anni Venti con i progetti incompiuti di Piero Portaluppi e le sue “Tre Case Strambe” pensate per l’edificio S.T.T.S. in Corso Sempione a Milano (1926): disegni a china ed acquerello di criptiche facciate geometriche che rimandano all’emblema del labirinto, simbolo di perdizione. Grande cura è riservata anche agli interni – in gran parte ispirati al gusto di Mies Van Der Rohe e a Frank Lloyd Wright – come anche agli elementi d’arredo, accuratamente selezionati dal tiranno e dalla consorte. Troviamo arredi razionalisti, miniature in ottone della città, noti oggetti di design come l’iconica James Lounge Chair di Charles e Ray Eames prodotta da Vitra nel ’56 e preziose sculture di vario genere: un gruppo in bronzo nero rappresentante una fiera dantesca che si avventa sulla preda (piuttosto kitsch ma rappresentativa della natura della Lady) e una figura femminile che innalza uno specchio sulla fontana centrale – da cui sgorgherà sangue al primo omicidio – stilisticamente ispirata alle opere di Arno Breker, non a caso artista prediletto di Adolf Hitler. Per il resto la scena è dominata a intermittenza da imponenti strutture metalliche, da un ascensore centrale che sposta virtualmente l’azione da uno spazio all’altro e simboleggia probabilmente l’ascesa e la caduta dei protagonisti, a un’immensa gabbia che imprigiona il popolo durante il solenne coro “Patria oppressa!”. In conclusione, il taglio onirico e distopico di Livermore è un esercizio senza dubbio interessante, l’impianto scenico è curato in ogni dettaglio e l’apporto delle videoproiezioni è di grande suggestione e funzionale alla lettura cinematografica. Tuttavia il risultato in teatro non riesce a dare lo stesso impatto della versione televisiva – forte di una sua regia ad hoc e punti di vista inediti – con effetti di realtà aumentata che in sala per forza si perdono. Su tutte emblematica è la strada trafficata che conferisce quel senso di profondità e vuoto nella scena del Sonnambulismo, ambientata sul cornicione di un grattacielo: va da sé che in teatro non sia pervenuta.Un taglio registico comprensibile e furbo, considerata la trasmissione in mondovisione della Prima, ma che piega ogni scelta allo streaming TV anteponendolo alla realtà del Teatro: operazione sicuramente pop, ma anche pericolosa per la riuscita dello spettacolo dal vivo, che aldilà di qualsiasi motivazione rimane il cuore dell’opera lirica. Assistere allo spettacolo live è in compenso una soddisfazione ben maggiore per l’orecchio, sia per la qualità acustica del Piermarini – che non vedevamo l’ora di ripopolare dopo la lunga attesa pandemica – sia per la prestazione certamente migliore degli artisti rispetto alla Prima, in un clima da replica sicuramente più disteso. Riccardo Chailly scolpisce un Macbeth denso e variegato con una lettura attenta e calibrata, in grado di dare una convincente interpretazione di tutte le profonde passioni umane che innervano la partitura: la brutalità, l’ambizione, il terrore, il rimorso. Il Maestro estrapola dall’Orchestra del Teatro Alla Scala un suono sempre malleabile e centrato, conferendo ad ogni passaggio grande potenza teatrale. Di grande pàthos è la furia esplosiva del concertato che chiude il primo atto (“Schiudi inferno la bocca”), tra i più notevoli interventi del Coro scaligero diretto da Alberto Malazzi. In contrapposizione al gran volume qui impiegato, sono certamente da segnalare alcuni “momenti sospesi” di grande efficacia, come la ripresa del brindisi nel secondo atto: Chailly qui sceglie di non calcare maggiormente sulla potenza orchestrale come siamo stati abituati ad ascoltare in discografia o in altre occasioni, ma al contrario di alleggerire restituendo una sofisticata sensazione di smarrimento e perdita del controllo che in questa scena affligge la coppia di protagonisti. Assai introspettiva è anche la lettura della Scena del Sonnambulismo, in grado di inquadrare perfettamente la scena in un’atmosfera notturna e spettrale: dosando con sapienza il sibilo degli archi in sordina e dando enfasi alle quartine del fagotto, la resa dello straniamento di Lady Macbeth è davvero efficace.È proprio in quest’aria che Anna Netrebko dà il meglio di sé, nel quadro complessivo di una prova di gran livello. I gravi avranno sempre un che di gutturale, come ascoltiamo anche nel resto dell’opera, e il re bemolle finale non sarà immacolato. Ma ci importa poco, come poco sarebbe importato anche a Verdi, che nella famosa lettera a Salvatore Cammarano scrisse: “Io vorrei che Lady non cantasse […] io vorrei in Lady una voce aspra, soffocata, cupa”. Il soprano russo fa suo il personaggio e ne interpreta la complessa psiche con carisma – dal gesto scenico alla danza persino, con un’ottima prova nel ballo infernale nel terzo atto – plasmandola su una vocalità non più cristallina come in passato ma ancora potente, ricca di accenti e personalità. Macbeth è Luca Salsi, più convincente nell’intenzione interpretativa che musicale. Il baritono emiliano tratteggia in modo convincente la natura criminale e al contempo timorosa del tiranno, piegato dal freddo cinismo della moglie. Cesella ogni frase con intelligenza e l’emissione è sempre controllata, ma con qualche opacità nelle parti alte della tessitura e dei declamati di troppo che alla lunga danno una certa sensazione di artificiosità. Ildar Abdrazakov è invece il più convincente del cast sotto il profilo prettamente vocale. Timbro caldo e brunito, sempre corposo su tutta l’estensione, tratteggia un Banco nobile e virile. Memorabile nella sua unica aria “Come dal ciel precipita”. Efficace il Macduff di Francesco Meli, forte di una vocalità solare ben sfruttata nell’aria “Ah, la paterna mano”, ad infondere un barlume di speranza nel coro che lo circonda. Squillante il Malcolm di Iván Ayón Rivas e corretto tutto il folto comprimariato, su tutti la Dama di Chiara Isotton, che svetta con un eccellente do acuto nell’insieme in chiusura dell’atto primo. Al termine quasi dieci minuti di abbondanti applausi anche in replica, con ripetute chiamate alla ribalta per i protagonisti. Si replica il 19, il 22 e il 29 Dicembre (con il subentro di Ekaterina Semenchuk nel ruolo di Lady Macbeth, nell’ultima data). Foto Brescia & Amisano