Milano, Museo Poldi Pezzoli
GIORNO PER GIORNO NELLA PITTURA. FEDERICO ZERI E MILANO
Dall’11 novembre 2021 al 7 marzo 2022
Orari: dal mercoledì al lunedì: 10 – 13 e 14 – 18 / Martedì chiuso
Biglietti: Intero 14 € / Ridotto 10€
Per gli abbonati MuseiLombardia è visitabile gratuitamente.
Federico Zeri è stato lo storico dell’arte che della connoisseurship ha eretto un monumento: la sua fototeca. È questa l’impronta della sua memoria, dote di cui uno storico dell’arte deve ancora oggi essere fornito: un grandissimo database ante litteram con cui interfacciarsi per affrontare la spinosa questione delle attribuzioni. Questa mostra, allestita in un museo con cui Zeri ha avuto parecchio a che fare, permette di vedere opere in collezioni private milanesi, coinvolte in dibattiti attributivi in cui Zeri intervenne. L’esposizione si articola nelle due sale del pian terreno del museo, con quasi 30 dipinti, che coprono un arco temporale che va dalla pittura tardogotica fino al Settecento. Purtroppo, nella prima sala talvolta non sono presenti quelle opere necessarie per un confronto fisico, fondamentale ai fini di un’attribuzione. Ad esempio, per il Ratto delle sabine, ricondotto al Lissandrino (al secolo Alessandro Magnasco) in maniera convincente da Zeri. In questa occasione viene infatti sottolineato che Sebastiano Ricci, a cui venne in prima battuta attribuito il quadro, aveva in parte fatto suo il modo del più giovane Magnasco, conosciuto a Milano sul finire del Seicento. Fare un confronto con qualche altra opera dipinta in quel periodo da questi due pittori avrebbe quindi aiutato gli studiosi a sciogliere meglio la questione attributiva (come l’autore della nota critica del quadro nel catalogo della mostra si auspica che possa avvenire in futuro). Viceversa, per le nature morte e la cosiddetta Allegoria della Primavera del non meglio identificato Maestro di Hartford sentiamo meno questa esigenza, essendo oggi la questione (seppure non risolta) abbastanza chiara in merito all’intervento di Zeri. Infatti, l’ipotesi che avanzò sulla base dell’interpretazione di alcuni documenti – sorprendente e a tratti sconcertante – di identificare in questo Maestro un giovane Caravaggio ancora al servizio del Cavalier d’Arpino, nei suoi primi anni romani, è stata oggetto di molti interventi, e messa da parte dalla maggioranza degli studiosi, anche a causa dell’evidente scarto stilistico con quei quadri che si ritengono più sicuramente autografi del Caravaggio in quel periodo. E questo ci permette anche di sottolineare lo spirito controcorrente che animò questo studioso, il quale aiutò a stimolare il discorso critico – come avvenne, ad esempio, per la questione giottesca – ma arrivando a volte a risultati molto arditi. Tra gli altri quadri presenti in mostra citiamo qui solo la Natura morta di Simone del Tintore, nella rilevante collezione Saibene, poiché simbolica dell’importanza di effettuare mostre scientifiche: è proprio in una di queste sulla natura morta, del 1964, che Mina Gregori individuò la vera identità dell’artista, firmatosi con la sigla S.T. sul cesto di vimini, ribaltando l’attribuzione avallata anche da Zeri a Tommaso Salini. Ma ricordiamo anche la Pietà di Giovanni de’ Vecchi, che, forse proprio per il suo “misticismo pittorico”, era stato collocata da Zeri nella propria camera da letto (ed è poi giunta nelle collezioni del Poldi Pezzoli per legato testamentario). Nella seconda e ultima sala, infine, c’è forse il nucleo di opere più interessante. In primis, quelle attribuite a Donato de’ Bardi, pittore pavese documentato in Liguria a cui Zeri si dedicò molto, identificandolo come precursore del rinascimento lombardo foppesco. Citiamo qui alcuni dipinti, alcuni esposti dopo un recente restauro: la Presentazione di Gesù al tempio e, per la prima volta riunite, quelle appartenenti a un polittico riconosciuto da Zeri in base alle foto in suo possesso. Ma c’è un grande assente: la Crocifissione della Pinacoteca civica di Savona, unica opera firmata di questo pittore, e quindi certa, utilizzata anche da Zeri come riferimento per l’attribuzione. Nella stessa sala è presente anche un nucleo di opere riferite ad uno sfuggente Iohannes Hispanus, pittore che così si firma nella Deposizione del corpo di Cristo nel sepolcro. È forse la perla della mostra, per la prima volta esposta pubblicamente a Milano, pur stando di casa in Via Palestro, proviene anch’essa dalla collezione Saibene, la stessa a cui appartiene la Natura morta di Simone del Tintore, e di cui sono qui presenti degli altri dipinti. Rappresentò per Zeri una delle questioni critiche che lo vide coinvolto già appena venticinquenne, quando aveva identificato un primo nucleo di opere attribuibili a questo pittore, e ancora Longhi lo annoverava “quasi un mio allievo”, prima che i rapporti tra i due si deteriorassero. Ora viene esposta con una coppia di tele il cui soggetto è stato identificato con due episodi della storia di Cimone (la cui attribuzione risale sempre a Zeri negli anni ’70); ma soprattutto la vediamo per la prima volta a fianco di un’altra deposizione di piccolo formato, con la quale sempre Zeri si era imbattuto nel 1944 (attribuita al Boccaccino), poi svanita nei meandri burrascosi del mercato antiquario, e riapparsa solo cinque anni fa. In questa sede non solo si è cercata la conferma di un’attribuzione a Iohannes, ma la nota critica del catalogo propone anche di collocare la piccola deposizione in una fase successiva del pittore rispetto alla tavola Saibene, contrariamente a quanto proposto da Stefania Castellana in una monografia su questo pittore pubblicata nel 2017. Detto ciò, per chi non conoscesse le vicende collezionistiche, il percorso della mostra svolto in autonomia potrebbe essere difficilmente godibile appieno: forse sarebbe stato necessario raccontare meglio le relazioni che possono intercorrere tra uno storico dell’arte come Zeri e i collezionisti, tema su cui verte la mostra – ad esempio con il Saibene, che più volte si incontra nell’itinerario, e che rappresenta uno dei più importanti collezionisti del Novecento milanese. Voglio quindi qui rimandare a questo video, per chi dovesse essere interessato, dove un nipote del Saibene racconta in maniera eloquente qualcosa di queste vicende. Possiamo comunque concludere che “Giorno per giorno nella pittura” sia una mostra dai caratteri scientifici, un po’ difficile da visitare per chi non conosca certe dinamiche, ma comunque efficace per stimolare la curiosità degli studiosi e dei conoscitori d’oggi, già navigati oppure novizi; ma è anche l’occasione per ricordare un personaggio come quello di Federico Zeri, a cento anni dalla nascita, per cui si potrà provare ammirazione per il suo acume, essere sconcertati per le scelte a volte ardite (come per il caso citato del Maestro di Hartford), ma dalla cui conoscenza non si può prescindere.