Livorno, Teatro Goldoni – Stagione lirica 2021/22
“IL PICCOLO MARAT”
Dramma in tre atti su libretto di Giovacchino Forzano.
Musica di Pietro Mascagni
L’Orco ANDREA SILVESTRELLI
Mariella VALENTINA BOI
Il piccolo Marat SAMUELE SIMONCINI
La mamma SILVIA PANTANI
Il soldato STEFANO MARCHISIO
La spia ALESSANDRO MARTINELLO
Il ladro PEDRO CARRILLO
La tigre MICHELE PIERLEONI
Il carpentiere ALBERTO MASTROMARINO
Il capitano dei “Marats” CARLO MORINI
Il portatore d’ordini LUIS JAVIER JIMÉNEZ GARCÍA
Prima voce MARCO MUSTARO
Seconda voce SIMONE REBOLA
Il vescovo PAOLO MORELLI
Orchestra della Toscana e Coro del Teatro Goldoni di Livorno
Direttore Mario Menicagli
Maestro del coro Maurizio Preziosi
Regia Sarah Schinasi
Scene e costumi William Orlandi
Assistente ai costumi Maria Vittoria Benedetti
Light designer Christian Rivero
Nuovo allestimento – Produzione della Fondazione Teatro Goldoni Livorno
Dedicato alla memoria del Maestro Antonio Bacchelli
Livorno, 10 dicembre 2021
A cent’anni dal suo esordio a Roma, “Il piccolo Marat” torna su un cartellone italiano, giusto pochi giorni dopo l’anniversario della nascita di Mascagni. È noto che l’opera trovò un immediato consenso tra il pubblico italiano ed estero, con un tentativo di esportazione negli USA a pochi anni dalla prima, annoverando negli anni ’20 più di 90 produzioni. Del resto il soggetto trattato ha un suo potenziale (siamo negli “anni del terrore” della Rivoluzione Francese), eppure si tratta di una delle composizioni meno rappresentate tra quelle del compositore livornese. Riproposta a distanza di anni, si può intuire come la ragione della sua scarsa presenza sulle scene odierne possa essere dovuta al fatto che la scrittura non presenti una sua particolare cifra stilistica, entro un libretto tutt’altro che memorabile e dove lo stile eclettico del maestro si fonde con alcune influenze pucciniane, piuttosto evidenti in alcune messe di voce del soprano, nonché da diverse frasi ascensionali all’ “Andrea Chénier”, fra cui non si può fare a meno di notare la convergenza al momento del duetto tra tenore e soprano del secondo atto, che inneggia alla morte insieme (“Insieme nell’amore! Insieme nella morte!”). A tale proposito è fino l’approfondimento di Mario Menicagli, che guida l’Orchestra della Toscana risaltando i numerosi elementi musicali a supporto della vicenda, come i frequenti ritmi di marcia che scandiscono l’operare dei “Marats”, senza al contempo sottovalutare gli spunti più lirici o la pronta restituzione dei subitanei zampilli ritmici che muovono i vari caratteri. Un’interpretazione che trova la sua maggiore espressione nella scura coltre delle frasi più malinconiche e che, passando per sensibili dissolvenze, sigilla l’esecuzione musicale con chiusure d’atto d’effetto. Più sullo sfondo, invece, l’apporto del coro del Teatro Goldoni, diretto da Maurizio Preziosi, un po’ incerto negli attacchi accusatori del coro di sortita, ma più slanciato e compatto nei rimarchi del giuramento e sempre dedito a una sentita interpretazione scenica. Rimanendo sul palco, la regia di Sarah Schinasi sembra fare del rapporto con le rispettive madri il trait d’union tra i due protagonisti. Se, infatti, Mariella non riuscì a salvare la propria madre, qualcosa si può ancora fare per trarre in salvo la principessa di Fleury, genitrice del piccolo Marat. Sarà proprio questa la missione catalizzatrice dell’intera trama, restituita dalla regista attraverso un disegno guidato dal destino, che stordendo a poco a poco l’antagonista concorre al verificarsi del lieto fine. Per il resto il piano registico rimane piuttosto statico e molto è demandato alle interpretazioni personali dei vari artisti e all’allestimento di William Orlandi, che compone la scena con semplici moduli grigiastri di torri, ponti e scale, amalgamati da un’atmosfera carceraria, su cui i riflessi argentei delle luci di Christian Rivero segnano le diverse fasi di notti al lume di candela. Curiosa anche la scelta dei costumi, che con l’assistenza di Maria Vittoria Benedetti avvicinano idealmente la vicenda schierando abiti quasi ripresi dal secondo dopoguerra italiano, aperti tra il tradizionale e il casual, in cui comunque si ritrovano gli elementi distintivi dei vari personaggi.
Venendo alle parti vocali un plauso va di default a tenore e soprano, per aver sostenuto con tenacia parti tanto rare quanto impegnative. Nello specifico, Valentina Boi tratteggia una Mariella dai declamati scuri e drammatici, ben preparata sulle repentine tenute acute che costellano la parte, a meno di qualche portamento nella fase di discesa dagli acuti. Il taglio interpretativo può contare su una vocalità pronta ad appoggiarsi sulle inflessioni più gravi, funzionali a trasmettere l’afflizione del personaggio, mentre il buon sostegno del registro di centro le consente di abbandonarsi con passione alle messe di voce che sensibilizzano il fraseggio. Agli stessi espedienti faceva ricorso il tenore Samuele Simoncini per compensare le insidie di una tessitura che insiste sul passaggio e che prevede acuti di forza su posizioni fonetiche non troppo comode. Con fare partecipativo e accorto il suo piccolo Marat ha il timbro chiaro di un tenero giovane, ma anche la determinazione d’accento di chi fa della finzione la sua principale arma, proposito che emergeva nell’enfasi data ai numerosi sfoghi acuti. Tra i personaggi principali non poteva ovviamente mancare l’antagonista, restituito dal basso Andrea Silvestrelli, con cui il pubblico ha dimostrato grande empatia. La sua interpretazione è quella di un tiranno dei nostri tempi, particolarmente a suo agio e scuro sulle severe discese alle note gravi e dotato di quella reboanza di centro che ben si confà a chi deve continuamente prevaricare chi lo circonda, a costo di dover doppiare i comprimari con perentori slanci acuti. Gli teneva testa il convincente soldato di Stefano Marchisio, che pur non esente da qualche disomogeneità risolveva la parte con cipiglio e senso dell’onore, a fronte di un timbro baritonale dall’emissione tanto più incisiva quanto più acuta. Al pari di lui, seppure avendo salva la vita, anche il carpentiere di Alberto Mastromarino era vittima del regime, a cui si ribella trovando una bella lama nell’esposto acuto del primo atto. Dopo anni di esercizio, il baritono vanta sempre una grande centratura attoriale, dove i tratti più sensibili del personaggio trovano una loro naturale soluzione grazie alla nitida proiezione dei centri su cui s’innesta uno scaltro fraseggio. Breve, ma nondimeno rilevante, l’accorata parentesi di Silvia Pantani come principessa di Fleury (madre del piccolo Marat), che dall’alto della torre carceraria proietta per la sala frasi di assoluta morbidezza e rotondità emissiva. Al cospetto dell’Orco, Alessandro Martinello era una spia risolta prevalentemente grazie alla presenza scenica, in compagnia dei partecipativi interventi di Pedro Carrillo (ladro) e Michele Pierleoni (tigre), mentre un po’ ingolati risuonavano gli interventi di Carlo Morini, capitano dei “Marats”. Completavano professionalmente il cast Luis Javier Jiménez García (portatore d’ordini), Marco Mustaro (prima voce), Simone Rebola (seconda voce) e il vescovo di Paolo Morelli. Entusiastica, infine, la reazione del Teatro Goldoni di Livorno, che riserva un lungo applauso verso tutti gli artisti di quest’inedita rappresentazione. Foto Augusto Bizzi