Gioachino Rossini (1792-1868): “Maometto II(1820)

Dramma in due atti su libretto di Cesare della Valle, duca di Ventignano. Prima rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 3 dicembre 1820.
Primi interpreti:
Filippo Galli (Maometto)
Isabella Colbran (Anna Erisso)
Adelaide Comelli (Calbo)
Andrea Nozzari (Paolo Erisso)
Giuseppe Ciccimarra (Condulmiero)
Gaetano Chizzola (Selimo)
Il velo dell’oblio che, fino a non molto tempo fa, ricopriva la quasi totalità dei melodrammi rossiniani, fatalmente pare infittirsi proprio sulle due opere italiane, Mosè in Egitto, e Maometto II, riciclate dell’autore in corrispostive “tragédies lyriques” per le scene di Parigi. Il perché, tradotto in termini di teologia morale, sa di giudizio temerario: se Rossini, dovendo por mano a due  rimaneggiamenti secondo l’uso francese, aveva scelto quelle due opere e non altre, era segno che le  considerava lavori per qualche verso insoddisfacenti e quindi suscettibili di ripensamenti più o meno drastici. (…)
L’attuale ritorno del Maometto ripropone i termini della questione, gravati dalle ipoteche dell’insuccesso dell’opera alla sua “prima” napoletana del 3 dicembre 1820 e dei precipitosi rabberci  (culminati nella interpolazione del rondò “Tanti affetti” della donna del lago, al posto dell’originale “finale secondo” tragico) operati, con l’intento di porvi riparo, da Rossini in occasione della ripresa veneziana del 1823. Senonché, rispetto al Moïse et Pharaon (1827), sul quale maggiormente incide la poetica dell’Opera francese, con il  suo privilegiare  l’edonismo e il “décor” spettacolare., in una parola, con quel, “qualche cosa di più, qualche cosa di meno “e quella “fatale atmosfera dell’Opéra” che il fiuto inesorabile dei Verdi avvertiva, con dispetto, perfino del Guillaume Tell, rispetto al Moïse, ripetiamo, le Siège de Corinthe (1826) suona come la meno intimamente “infrancesizzata” tra le opere francesi di Rossini. (…)
La verifica dell’eccezionale specificità di Maometto II non può non  non partire dal libretto, dovuto parentesi (come ormai tutti sanno, dopo che Bruno Cagli ne individuò la vera fonte, ponendo fine all’equivoco della falsa attribuzione Voltairiana) a un caso più unico che raro di autorielaborazione letteraria. L’autore, Cesare della Valle, duca di Ventignano (1777 1860) l’aveva ricavato da una propria tragedia, Anna Erizio, scritta in quello stesso 1820 che vedrà la prima rappresentazione dell’opera al San Carlo.
Un’oparazione cui il della Valle si era adattato verosimilmente dall’opportunità di vedere in qualche modo  rappresentato un proprio lavoro, altrimenti destinato all’oblio. Ma tanta degnazione doveva tradursi in esiti altamente positivi. Forse senza volerlo, certo senza neppure sospettarlo, il della Valle aveva fornito a Rossini uno dei migliori libretti seri mai avuti insorte dal musicista. Il testo del duca di Ventignano sorprende per la spregiudicatezza del taglio scenico, dove ogni struttura convenzionale riferibile al melodramma coevo viene rivisitata da uno spirito di libertà e con un vivo e non di rado audacissimo senso della dinamica drammatica. (…)
In Maometto II nulla propriamente può dirsi paradigmatico. L’artista che, prossimo alla morte, scriverà a Tito Ricordi di non essere stato mai un “gambaro”, precisando: “Non crediate che io faccia la guerra gli innovatori! Desidero solo che non si faccia in un giorno ciò che solo si può far ottenere in parecchi” anni” non ricordava o forse fingeva di non ricordare che dal Demetrio e Polibio al Maometto II non erano trascorsi “parecchi”, ma meno di una decina d’anni.
Vediamo che in  Maometto  Rossini si mostra come uno tra i massimi creatori di forme musicali, assillato da un’ansia di moderna “verità” drammatica che lo  induce a forzare la mano, sorpassando il librettista nelle stesse sue proposte più audaci. (…)
Maometto II, ad onta della corazza guerresca che tutto lo rinserra e del clima di eroica catastrofe, che lo percorre, spicca come dramma d’anime. Il suo posto ipotetico, nell’Olimpo dell’opera italiana non lo vedremmo tanto accanto a Nabucco o ai Lombardi, ma assai più in là dove Il Doge Boccanegra, lacerato nell’intimo. tiene consiglio di Stato. (Estratto da “La Sinfonia eroica di Rossini” di Giovanni Carli Ballola, Pesaro, 1985)