Elisabeth Schwarzopf (9 dicembre 1915, Jarocin, Polonia – 3 agosto 2006, Schruns, Austria)
Da qualche anno la grande cantante tedesca si dedica ormai quasi esclusivamente alla musica da camera, dopo aver dato tanto al teatro. Ridotte a un meraviglioso ricordo le sue donne Elvire, le sue Fiordiligi, le sue Marescialle, la sua arte non ha seguito la stessa sorte, ma brilla ancora nel breve giro di battute di un lied. Benché riesca difficile immaginare una viennese più viennese della Schwarzkopf, la cantante è nata a Jarocin, presso Poznan in Polonia, il 9 dicembre del 1915, da famiglia tedesca. Suo padre, professore di latino e greco, avrebbe voluto avviarla agli studi di medicina, ma Elizabeth fin da bambina amava trascorrere troppe ore il pianoforte canticchiando, con voce ancora acerba, i lieder di Schubert e le arie di Mozart, una predestinazione che, col trascorrere degli anni, si fece sempre più evidente. I genitori allora la iscrissero al conservatorio di Berlino, dove studiò canto, pianoforte, organo, viola e composizione; come se ciò non bastasse, l’eccezionale studentessa nei momenti d’ozio aveva imparato a suonare per conto proprio la chitarra e su questo strumento si accompagnava cantando con gli amici nelle frequenti serate musicali in famiglia. I suoi esordi come cantante non furono tra i più felici.
“Nonostante fossi stata scelta fra un centinaio di concorrenti per tenere un concerto di lieder”, racconta la Schwarzkopf, “Disgraziatamente i miei maestri mi avevano dato una impostazione sbagliata, facendo di me un contralto. Dovettero passare alcuni anni di studio accanito, di parziali successi seguiti da delusioni, prima che la mia voce trovasse la sua vera strada; per un po’ di tempo, infatti, essa oscillava precariamente tra la tessitura del contralto è quella del soprano leggero: oggi mi pare di sognare quando penso che in quel periodo mi riusciva di cantare (male, naturalmente) tanto la parte di Orfeo come quella di Gilda “. Elisabeth Schwarzkopf esordi sulle scene come una delle Fanciulle-Fiore del Parsifal. Impegno che le giunse improvviso ed inaspettato, e il giovane soprano-contralto, dovette imparare in due giorni la breve ma difficile parte. Poi cominciò un periodo di grigia routine: Elizabeth, durante la guerra, fece il giro di tutti i teatri lirici tedeschi, interpretando parti secondarie, senza distinguersi in modo particolare. “Anni di galera, come li chiamava Giuseppe Verdi”. Ricorda la cantante, “frittata di cipolle e patate lessate nella più vicina a birreria, e poi in scena. Il più delle volte lo spettacolo veniva interrotto da un allarme aereo, e mentre la saracinesca calava sul boccascena, pubblico e contanti in costume e si precipitavano nei rifugi”.
Nel dopoguerra, troviamo Elisabeth Schwarzkopf a Vienna, ancora impegnata in ruoli di da comprimaria. La svolta avvenne a Salisburgo. Nella città di Mozart la cantante interpretò una serie di spettacoli mozartiani Era il 1947, l’anno che segnò l’avvento di una grande cantante, che per anni sarebbe stata l’interprete ideale di donna Elvira, della Contessa, di Fiordiligi, di Pamina. Da allora la fama di Elizabeth sali alle stelle: i pubblici di tutto il mondo impararono presto a riconoscere tra mille quella voce duttile è quasi immateriale, quel canto del fraseggio pieno di misteriose ombreggiature espressive, soave e appassionato. Walter Legge, fondatore della London Philharmonic orchestra e il dirigente di una grande casa discografica, udì per la prima volta quella voce durante una tournée compiuta dall’ormai celebre soprano in Inghilterra, e non la potrei dimenticare. “Alcuni mesi dopo”, racconta la Schwarzkopf, “mentre mi trovavo in Australia mi giunse una telefonata da Londra. Era Walter che con voce commossa mi chiedeva se fossi disposta diventare sua moglie. Anch’io, lo confesso, attendevo quel momento e la voce dell’uomo che amavo, attraverso le migliaia di chilometri che ci dividevano, mi toccò nel profondo del cuore.” La Schwarzkopf abita a Londra in una bella villa circondata da un fitto giardino. I fiori, soprattutto le rose, sono la sua passione, ma per tanti anni le rose del suo giardino non sono fiorite per lei, sempre in giro per il mondo. C’erano quelle che a fasce riempivano tutte le sere suo camerino, al termine di ogni spettacolo. “Ma quei fiori”, ricorda la cantante, “erano per me motivo di pungente nostalgia di altri fiori:dei miei”. Ora che ha lasciato il teatro, venendo incontra un desiderio del marito, la grande cantante può dedicarsi anche alle sue rose.
Benché col tempo il suo repertorio si sia arricchito di alcuni titoli di autori nuovi, Elisabeth Schwarzkopf non è quella che comunemente si dice una cantante “versatile”. lLa sua arte ha fondato le radici, e fiorita in un’area circoscritta, quella principalmente del repertorio mozartiano per l’opera, e del Lied dal Settecento a Strauss per la musica da camera. Anche qui con sensibili sfumature: insuperabile in Schubert o in Wolf lo è forse meno in Beethoven o in Brahms, la cui arte leaderistica, più monocorde e vincolata alle ragioni metriche del verso, sembra condizionare la sua incomparabile capacità di animare la frase con impercettibili ombreggiature espressive che, nulla togliendo alla purezza del canto, lo fanno intimamente partecipe della parola in un’unica realtà poetica. “Spesso” racconta la cantante “mentre sono intenta allo studio dei miei autori prediletti e mi sforzo di cercare per essi nel mio canto l’accento più appropriato, sento che mi commuovo. Allora provo una grande gioia perché credo di aver trovato la strada giusta per giungere al cuore di mi ascolta. Commuovere le persone, renderle migliori. È questo l’ideale candidamente utopistico che la gentile signora intende perseguire attraverso il suo canto. “Arte significa soprattutto, civiltà, bontà e pace. Attraverso il linguaggio universale della musica, vorrei compiere quel miracolo che nessuna politica e nessuna rivoluzione riuscirà mai a fare; vorrei, insomma, non soltanto piacere all’umanità, ma cercare di renderla più buona”. (Estratto da “Elisabeth Schwarzkopf: la signora delle rose” di Giovanni Carli Ballola, Londra, 1967)
Da qualche anno la grande cantante tedesca si dedica ormai quasi esclusivamente alla musica da camera, dopo aver dato tanto al teatro. Ridotte a un meraviglioso ricordo le sue donne Elvire, le sue Fiordiligi, le sue Marescialle, la sua arte non ha seguito la stessa sorte, ma brilla ancora nel breve giro di battute di un lied. Benché riesca difficile immaginare una viennese più viennese della Schwarzkopf, la cantante è nata a Jarocin, presso Poznan in Polonia, il 9 dicembre del 1915, da famiglia tedesca. Suo padre, professore di latino e greco, avrebbe voluto avviarla agli studi di medicina, ma Elizabeth fin da bambina amava trascorrere troppe ore il pianoforte canticchiando, con voce ancora acerba, i lieder di Schubert e le arie di Mozart, una predestinazione che, col trascorrere degli anni, si fece sempre più evidente. I genitori allora la iscrissero al conservatorio di Berlino, dove studiò canto, pianoforte, organo, viola e composizione; come se ciò non bastasse, l’eccezionale studentessa nei momenti d’ozio aveva imparato a suonare per conto proprio la chitarra e su questo strumento si accompagnava cantando con gli amici nelle frequenti serate musicali in famiglia. I suoi esordi come cantante non furono tra i più felici.
“Nonostante fossi stata scelta fra un centinaio di concorrenti per tenere un concerto di lieder”, racconta la Schwarzkopf, “Disgraziatamente i miei maestri mi avevano dato una impostazione sbagliata, facendo di me un contralto. Dovettero passare alcuni anni di studio accanito, di parziali successi seguiti da delusioni, prima che la mia voce trovasse la sua vera strada; per un po’ di tempo, infatti, essa oscillava precariamente tra la tessitura del contralto è quella del soprano leggero: oggi mi pare di sognare quando penso che in quel periodo mi riusciva di cantare (male, naturalmente) tanto la parte di Orfeo come quella di Gilda “. Elisabeth Schwarzkopf esordi sulle scene come una delle Fanciulle-Fiore del Parsifal. Impegno che le giunse improvviso ed inaspettato, e il giovane soprano-contralto, dovette imparare in due giorni la breve ma difficile parte. Poi cominciò un periodo di grigia routine: Elizabeth, durante la guerra, fece il giro di tutti i teatri lirici tedeschi, interpretando parti secondarie, senza distinguersi in modo particolare. “Anni di galera, come li chiamava Giuseppe Verdi”. Ricorda la cantante, “frittata di cipolle e patate lessate nella più vicina a birreria, e poi in scena. Il più delle volte lo spettacolo veniva interrotto da un allarme aereo, e mentre la saracinesca calava sul boccascena, pubblico e contanti in costume e si precipitavano nei rifugi”.
Nel dopoguerra, troviamo Elisabeth Schwarzkopf a Vienna, ancora impegnata in ruoli di da comprimaria. La svolta avvenne a Salisburgo. Nella città di Mozart la cantante interpretò una serie di spettacoli mozartiani Era il 1947, l’anno che segnò l’avvento di una grande cantante, che per anni sarebbe stata l’interprete ideale di donna Elvira, della Contessa, di Fiordiligi, di Pamina. Da allora la fama di Elizabeth sali alle stelle: i pubblici di tutto il mondo impararono presto a riconoscere tra mille quella voce duttile è quasi immateriale, quel canto del fraseggio pieno di misteriose ombreggiature espressive, soave e appassionato. Walter Legge, fondatore della London Philharmonic orchestra e il dirigente di una grande casa discografica, udì per la prima volta quella voce durante una tournée compiuta dall’ormai celebre soprano in Inghilterra, e non la potrei dimenticare. “Alcuni mesi dopo”, racconta la Schwarzkopf, “mentre mi trovavo in Australia mi giunse una telefonata da Londra. Era Walter che con voce commossa mi chiedeva se fossi disposta diventare sua moglie. Anch’io, lo confesso, attendevo quel momento e la voce dell’uomo che amavo, attraverso le migliaia di chilometri che ci dividevano, mi toccò nel profondo del cuore.” La Schwarzkopf abita a Londra in una bella villa circondata da un fitto giardino. I fiori, soprattutto le rose, sono la sua passione, ma per tanti anni le rose del suo giardino non sono fiorite per lei, sempre in giro per il mondo. C’erano quelle che a fasce riempivano tutte le sere suo camerino, al termine di ogni spettacolo. “Ma quei fiori”, ricorda la cantante, “erano per me motivo di pungente nostalgia di altri fiori:dei miei”. Ora che ha lasciato il teatro, venendo incontra un desiderio del marito, la grande cantante può dedicarsi anche alle sue rose.
Benché col tempo il suo repertorio si sia arricchito di alcuni titoli di autori nuovi, Elisabeth Schwarzkopf non è quella che comunemente si dice una cantante “versatile”. lLa sua arte ha fondato le radici, e fiorita in un’area circoscritta, quella principalmente del repertorio mozartiano per l’opera, e del Lied dal Settecento a Strauss per la musica da camera. Anche qui con sensibili sfumature: insuperabile in Schubert o in Wolf lo è forse meno in Beethoven o in Brahms, la cui arte leaderistica, più monocorde e vincolata alle ragioni metriche del verso, sembra condizionare la sua incomparabile capacità di animare la frase con impercettibili ombreggiature espressive che, nulla togliendo alla purezza del canto, lo fanno intimamente partecipe della parola in un’unica realtà poetica. “Spesso” racconta la cantante “mentre sono intenta allo studio dei miei autori prediletti e mi sforzo di cercare per essi nel mio canto l’accento più appropriato, sento che mi commuovo. Allora provo una grande gioia perché credo di aver trovato la strada giusta per giungere al cuore di mi ascolta. Commuovere le persone, renderle migliori. È questo l’ideale candidamente utopistico che la gentile signora intende perseguire attraverso il suo canto. “Arte significa soprattutto, civiltà, bontà e pace. Attraverso il linguaggio universale della musica, vorrei compiere quel miracolo che nessuna politica e nessuna rivoluzione riuscirà mai a fare; vorrei, insomma, non soltanto piacere all’umanità, ma cercare di renderla più buona”. (Estratto da “Elisabeth Schwarzkopf: la signora delle rose” di Giovanni Carli Ballola, Londra, 1967)