Variazioni sinfoniche (Variations symphoniques) per pianoforte e orchestra
Composte tra l’estate e il 12 dicembre del 1885, le Variations symphoniques (Variazioni sinfoniche) per pianoforte e orchestra assicurarono a César Franck quella fama spesso cercata ma fino a quel momento mai raggiunta presso un largo pubblico; già alla prima esecuzione avvenuta alla Société Nationale de Musique di Parigi il 1° maggio 1886 sotto la direzione dello stesso Franck e con Louis Diémer al pianoforte, il successo era stato notevole. La composizione fu dedicata proprio a Diémer che, pochi mesi prima, il 15 marzo 1885, aveva eseguito, per la prima volta, in qualità di solista presso la stessa Société Nationale de Musique di Parigi Les Djinns di Franck, un poema sinfonico per pianoforte e orchestra, contribuendo in modo determinante ad uno dei più importanti successi della carriera del compositore belga. In quell’occasione Franck promise a Diémer di scrivere una composizione a lui dedicata; così nacquero le Variations symphoniques con le quali il compositore ottenne all’età di 63 anni la sua definitiva consacrazione che si manifestò anche negli apprezzamenti del pubblico e della critica.
Nonostante il titolo faccia pensare alla forma classica del tema e variazioni, questa composizione è in realtà un lavoro ciclico fondato sul principio compositivo della variazione; come è stato notato dal musicologo britannico Donald Francis Tovey, la composizione, per il suo carattere rapsodico, può essere definita una fantasia strutturata liberamente e in modo ricercato con un importante episodio in forma di variazione. Dal punto di vista formale le Variations symphoniques si possono dividere in tre importanti sezioni: un’introduzione caratterizzata da un tema che si richiama al secondo movimento del Quarto concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven; sette variazioni su un tema molto semplice e di carattere popolare esposto dal solista; il brillante Finale collegato alla precedente sezione dalla settima variazione che funge da vero e proprio ponte. Il passaggio tra la settima variazione e il Finale è molto suggestivo anche se particolarmente difficile in quanto al solista, che conclude la sezione precedente, risponde il direttore d’orchestra che stacca il tempo della parte conclusiva. In questo punto alla seconda esecuzione avvenuta il 30 gennaio 1887 con Diémer al pianoforte, il direttore d’orchestra Jules Pasdeloup sbagliò l’attacco causando un’enorme confusione nella parte riservata all’orchestra che concluse l’esecuzione in modo disastroso. Si racconta che alcuni amici, dispiaciuti per quanto era avvenuto, si recarono dal compositore che, del tutto indifferente per l’increscioso episodio, si mostrò raggiante e felice per il successo ottenuto.
Sinfonia in re minore
Lento, Allegro non troppo- Allegretto-Finale: Allegro non troppo
Completata il 22 agosto del 1888 dopo due anni di lavoro ed eseguita, per la prima volta, presso la Societé Nationale di Parigi il 17 febbraio 1889, la Sinfonia in re minore è uno degli ultimi lavori di César Franck. Non si conoscono con precisione le ragioni che indussero il compositore a cimentarsi nel genere sinfonico, poco apprezzato nell’Ottocento in Francia, ma è probabile che egli abbia effettuato questa scelta formale dopo il successo delle sue Variazioni sinfoniche per pianoforte e orchestra composte nell’estate del 1885. La Sinfonia in re minore non ebbe, però, immediatamente un’accoglienza favorevole da parte del pubblico, nonostante il genere sinfonico, in quello stesso periodo, fosse ritornato in auge in Francia grazie alla Sinfonia su un canto di Montagna di Vincent D’Indy e alla Sinfonia n. 3 in do minore op. 78 di Saint-Saëns, composte entrambe nel 1886, che godettero di enorme popolarità. Questi due lavori sembrano i modelli a cui Franck si ispirò direttamente soprattutto per la struttura ciclica, anche se decise di non introdurre, come avevano fatto Saint-Saëns e D’Indy, degli elementi tematici nazionalistici. Questa scelta, unita ad una scrittura armonica estremamente complessa per l’uso del cromatismo di ascendenza wagneriana, fu la causa dell’accoglienza piuttosto fredda del pubblico che ebbe modo di ascoltare un’opera nella quale confluivano e si fondevano la tradizione francese con la sua struttura ciclica e quella romantica di origine tedesca. Nel periodo in cui la Sinfonia fu eseguita per la prima volta era, inoltre, molto forte la polemica accesa dai sostenitori della musica francese, che avevano contestato la decisione presa nel 1886 dalla Societé Nationale di eseguire anche musica straniera, soprattutto tedesca. Il clima non certo favorevole, oltre a determinare la fredda accoglienza della sinfonia, probabilmente ispirò anche i primi giudizi su questo lavoro, tra i quali spicca quello dell’autorevole critico Camille Bellaigue che considerò alcuni passi aridi e monotoni senza grazia e fascino, aggiungendo che i temi principali sui quali era costruita l’intera sinfonia erano appena superiori di livello a quelli dati agli studenti del Conservatorio. Non meno dura fu la stroncatura della rivista «Le Ménestrel», dove si legge: Franck aveva molto poco da dire qui. Nonostante le violenti stroncature tra le quali spicca quella di Charles Gounod che la definì come l’affermazione dell’incompetenza spinta fino al dogmatismo, la Sinfonia si affermò presto in Europa e nel mondo e fu eseguita con successo, per la prima volta, in America, a Boston, il 16 gennaio 1899 sotto la direzione di Wilhelm Gericke.
Il primo movimento, Lento, Allegro non troppo, si apre con un’introduzione lenta, dove appare il celebre tema, affidato alle viole, ai violoncelli e ai contrabbassi, costituito da un semitono discendente seguito da un salto di quarta ascendente, sul quale si fonda tutta l’opera. Un poderoso crescendo porta all’esposizione in forma-sonata con un primo tema, derivato da quello iniziale, che contrasta con il secondo tema, dolce e cantabile, intonato dai violini. Molto particolare, dal punto di vista formale, è il secondo movimento, Allegretto, che si presenta come una fusione dell’Adagio e dello Scherzo, i due tempi centrali classici delle sinfonie in quattro movimenti. Questo movimento, nel quale passi di carattere danzante si alternano ad altri lirici e melodici, si apre con un suggestivo e cantabile tema affidato al corno inglese, la cui presenza in orchestra aveva scandalizzato il tradizionalista direttore del Conservatorio di Parigi Ambrosie Thomas che, secondo un aneddoto riferito da Vincent D’Indy nella sua monografia dedicata a Franck, suo maestro, esclamò durante le prove: il nome di una sinfonia di Haydn o di Beethoven in cui è usato il corno inglese, dimenticandosi che proprio Haydn aveva introdotto ben due corni inglesi nella sua Sinfonia n. 22 “Il filosofo”. Nel terzo movimento, Finale: Allegro non troppo, che si apre con cinque secchi accordi orchestrali, vengono ripresi tutti gli elementi tematici dei due movimenti precedenti in una scrittura ricca di invenzione culminante nella grandiosa e suggestiva coda conclusiva.