Bergamo, Teatro Donizetti: “La fille du régiment”

Bergamo, Teatro Donizetti, Festival Donizetti Opera 2021
“LA FILLE DU RÉGIMENT”
Opéra comique in due atti di Jean-François-Alfred Bayard e Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges
Musica di Gaetano Donizetti
La Marquise de Berkenfield  ADRIANA BIGNAGNI LESCA
Sulpice PAOLO BORDOGNA
Tonio JOHN OSBORN
Marie SARA BLANCH
La Duchesse de Krakenthorp CRISTINA BUGATTY
Hortensius HARIS ANDRIANOS
Un caporal ADOLFO CORRADO
Un paysan ANDREA CIVETTA
Orchestra Donizetti Opera – Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Michele Spotti
Maestro del Coro Salvo Sgrò
Regia Luis Ernesto Doñas
Scene Angelo Sala
Costumi Maykel Martinez
Coreografie Laura Domingo
Lighting design Fiammetta Baldiserri
Bergamo, Teatro G. Donizetti, 3 dicembre 2021
Un trionfo di colori con sotteso un messaggio pacifista e tollerante, queste le cifre dominanti de “La fille du régiment” allestita dal Donizetti Opera Festival in coproduzione co il Teatro Lírico National de Cuba.
Il regista Luis Ernesto Doñas sposta la vicenda dal Tirolo invaso da Napoleone alla Cuba della rivoluzione dei barbudos ma sceglie una lettura non realistica. “La France” diventa il nome del reggimento – un omaggio alla rivoluzione francese – e l’intera vicenda si snoda in un mondo coloratissimo ispirato allo stile di Raúl Martínez il pittore che seppe declinare in chiave cubana i moduli stilistici della pop art. Il tema dell’arte e del colore è il cuore della regia di Doñas in cui i rivoluzionari non portano armi ma pennelli e latte di colore e la contrapposizione è tra il vecchio mondo aristocratico chiuso e grigio, tutto giocato in chiave di bicromia bianco/nero e la colorata gioia della rivoluzione che irrompe in esso. Il regista non da un messaggio politico – mancano infatti riferimenti storici puntuali – ma vuole trasmetterci l’idea che l’unica vera rivoluzione è quella che avviene in nome dell’arte, del colore, della capacità di aprirsi all’altro.
Molto curato è il lavoro sui cantanti e sui personaggi di cui si evidenziano i tratti di più profondamente umani, al riguardo emerge la cura con cui è trattata la Marchesa di Berkenfield tolta da ogni stereotipo caricaturale e particolarmente evidenziata nell’economia dell’opera. Lo spostamento della vicenda ha comportato la riscrittura dei parlati con l’inserimento di alcuni passaggi in spagnolo o di riferimento alla realtà caraibica; sul piano musicale il tamburo militare è stato sostituito da una conga suonata con autentico virtuosismo da Ernesto López Maturell. Lo spettacolo è stato preceduto da una piccola scena recitata e danzata sulla piazza antistante al teatro dove venivano introdotti i temi fondamentali dello spettacolo.
La parte musicale è stata affidata a Michele Spotti direttore neppure trentenne ma già dotato di una maturità interpretativa non trascurabile. Spotti non solo si muove pienamente a suo agio nello stile donizettiano ma ha una profonda sintonia con il mondo francese e con l’opéra comique in modo particolare – fino alle sue espressioni come attestano le sue incursioni in Offenbach – che si traducono in una lettura brillantissima, rutilante di colori, autenticamente trascinante ma con quel sottofondo patetico che è sempre profondamente connaturato alla sensibilità donizettiana. L’ottimo lavoro di preparazione con coro e orchestra si nota nel perfetto amalgama di tutti gli elementi all’interno di una visione perfettamente compita.
La fille du régiment” è anche – e soprattutto – opera per grandi voci e il cast si è mostrato perfettamente all’altezza della partitura. L’opera – anche nell’immaginario collettivo – è legata alla figura di Tonio e ai Do della sua cabaletta e oggi è difficile immaginare Tonio migliore di John Osborn il quale non solo supera con facilità quasi imbarazzante i nove Do acuti – che di fatto diventano undici con la ribattuta dell’ultimo – ma lo fa con una voce piena e robusta, ricca di armonici in tutta la gamma che da ancor maggior risalto agli acuti stessi. Osborn non è però solo virtuosismo, in lui si apprezzano la facilità del canto, la fermezza dell’emissione, la sensibilità espressiva nei cantabili – esemplare al riguardo “Pour me rapprocher a Marie . Il risultato è un personaggio perfettamente compito sotto tutti i punti di vista.Positiva anche la prova di Sara Blanch voce non grande ma squillante e sicura, perfettamente controllata e dotata di un registro acuto di naturale facilità. La Blanch tratteggia un personaggio molto interessante, ottima attrice e fraseggiatrice attenta coglie di Marie sia il lato del “maschiaccio” sia quello più sentimentale e melanconico senza mai eccedere nelle due connotazioni. La sua Marie è un personaggio vero, di sincera schiettezza con la quale è facile identificarsi.
Veterano del ruolo Paolo Bordogna è un Sulpice  centrato. Non si scoprono certo ora le qualità vocali e attoriali di questo cantante, ma ora se ne apprezza il perfetto equilibrio raggiunto nella resa del personaggio. Un Sulpice scevro da macchiettistimi, reso con profondità e ricchezza di sfaccettature. Bordogna trasmette tutta la simpatia del personaggio, diverte e fa divertire  ( spassose le scene con la marchesa) ma fa anche emergere il ritratto di un uomo attento e responsabile, conscio dei propri doveri, portatore di un’autorevolezza bonaria e umana.
Lo spettacolo assegna un peso importante alla Marchesa di Berkenfield: in primo luogo si apprezza la scelta di affidare il ruolo a un vero mezzosoprano dotato di ottime qualità vocali come Adriana Bignagni Lesca e non ha qualche vecchia gloria in disarmo. La cantante gabonese (più che il mondo dell’opera conferma di essere sempre più un fenomeno globale) mostra mezzi vocali interessanti esaltati dall’esecuzione de “El arreglito” di Sebastián Yradier (il brano che ispirò a Bizet l’Habanera di “Carmen”) durante la lezione di canto e si rivela vera mattatrice in scena. Cristina Bugatty affronta con la giusta dose d’istrionismo la Duchessa di Krakenthorpe giustamente sopra le righe ma non ridotta a semplice macchietta. La stessa – insieme a Manuel Ferreira – è protagonista anche della scena recitata che ha preceduto lo spettacolo. Haris Andrianos è un Hortensius ben cantato e misurato sul piano espressivo; bellissima voce Adolfo Corrado nella parte del Caporale e molto buona anche la prova di Andrea Civetta come contadino. Foto Gianfranco Rota