Tito Schipa, nome d’arte di Raffaele Attilio Amedeo Schipa (Lecce, 27 dicembre 1888 – New York, 16 dicembre 1965)
Sembra strano che Tito Schipa sia giunto al repertorio lirico del tenore di grazia o “leggero”, dopo aver affrontato quello di tenore lirico e perfino del lirico-spinto. Infatti il cantante, nato a Lecce (il 27 dicembre 1888) e allievo dei maestri Gerunda e Piccoli, aveva debuttato nel 1910 in Traviata e alle Sonnambule o alle Mignon aveva alternato per anni Rigoletto, Madama Butterfly e perfino Adriana Lecouvreur, Cavalleria rusticana, Tosca e Zazà. Solo più tardi si stabilì decisamente nel repertorio leggero, pur non disdegnando le suddette opere di Verdi oppure Lucia di Lammermoor e Bohème.
Schipa fu il più grande stilista fra i tenori (e fra i cantanti in genere) collocati tra le due guerre e contribuì in modo determinante a separare gli indirizzi del canto dalle leziosità o dalle violenze verbali del verismo. Va ricordata la singolarità timbrica di una voce fioca nelle note gravi, piuttosto opaca nelle prime note centrali, vivida e lucente, anche se di limitato volume, portata come poche altre a sfumare e assottigliare i suoni. La grazia inimitabile delle sue smorzature, ora istantanee ora sapientemente preparate, entrò addirittura a far parte del timbro, conferendogli un che di alato, trasparente, esotico che poteva di volta in volta esprimere tenerezza e, languore sensuale, malinconia. Il colorito fondamentalmente molto chiaro veniva così ad acquisire una gamma vastissima di sfumature, salvo poi a ad esibire intensificazione del suono che colpivano per il penetrante nitore in zona acuta.Una voce non bellissima in senso tradizionale, ma assolutamente inconfondibile.
L’esecutore emerse per il gusto, la misura e, l’eleganza e, il senso dello stile, il legato, la fluida vocalizzazione; l’interprete per l’espressione estatica e sognante, per l’abbandono elegiaco, per l’affettuosità, per gli slanci patetici e accorati. Schipa ebbe inoltre una straordinaria fantasia nel coordinare gli aerei assottigliamenti con un accento eccezionalmente vario e significativo, frutto anche di una dizione ed un’articolazione carissime. Così le sue famose smorzature, nella Mignon, nella Manon, e nell’ Elisir d’amore erano mantenute nello stretto ambito del canto espressivo, senza alcuna parvenza di esibizione.
Un’altra sua dote fu la facilità vocale. Tenore è relativamente “corto” (agli inizi della carriera toccava il si 3, poi si limitò al si 3 bemolle e, negli ultimi anni, al la 3 bemolle), sosteneva tuttavia tessiture scabrose senza il minimo disagio come testimoniano le registrazioni della “Siciliana” della Cavalleria rusticana, ” Sogno soave e casto…” del Don Pasquale, “Fantasie aux divines mensonges”… della Lakmé e uno sbalorditivo “Parmi veder le lacrime…” del Rigoletto, quasi tutto giocato su emissioni a fior di labbra.
Grande virtuoso, sotto questo aspetto, dava la sensazione di cantare con la facilità di chi parla e gli stessi acuti perdevano ogni parvenza di note particolare, inserendosi con piena limpidezza nella configurazione del disegno melodico. In definitiva, uno dei maggiori tenori del XX° secolo. Popolarissimo in tutto il mondo dal 1925 in poi, attore non eccezionale (anche per la piccola statura) ma garbato, incise dischi anche di arie settecentesche, romanze da salotto, canzoni napoletane e spagnole, ballabili (particolarmente suggestivi sono alcuni tanghi argentini) e, tra il 1928 e il 1943, fu protagonista di numerosi film musicali. Aveva anche studiato composizione e fu autore dell’operetta La principessa Eliana e di numerose canzoni.