Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Sinfonica 2021.
Orchestra della Fondazione Arena di Verona
Direttore Gianna Fratta
Pianoforte Michele Campanella
Ludwig van Beethoven: Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 73 “Imperatore”; Felix Mendelssohn: Sinfonia n. 3 in la minore op. 56 “Scozzese”.
Verona, 12 novembre 2021
A distanza di 41 anni dal suo debutto veronese, e a 34 dal suo ultimo concerto, torna al Filarmonico il pianista Michele Campanella. Allievo della celebre scuola napoletana di Vincenzo Vitale, interprete funambolico di Liszt (peculiarità che gli è valsa per ben tre volte il Gran Prix du Disque e la Medaglia ai meriti lisztiani conferita dal Ministero della Cultura Ungherese), artista versatile nonché autore di deliziosi saggi (tra i quali Il mio Liszt), si è presentato a questo atteso appuntamento con una delle pietre miliari del repertorio concertante pianistico, vale a dire l’Imperatore beethoveniano che sigilla i cinque concerti per pianoforte e orchestra del compositore di Bonn. Omaggio differito per il 250° della nascita (che ricorreva lo scorso anno), il Quinto concerto scardina la struttura classica dei concerti precedenti, perfezionando quel processo evolutivo già visto nel Quarto. La fierezza di Beethoven ed il suo temperamento orgoglioso esplodono già dall’accordo iniziale sul quale si innesta una cadenza del pianoforte che prepara l’allegro; un riferimento alla Terza sinfonia, quell’Eroica (guarda caso scritta nella stessa tonalità di mi bemolle maggiore) inizialmente dedicata a Bonaparte, a cui l’Imperatore sembra voler dar seguito. La tecnica indiscutibile ma soprattutto il pianismo, ora lirico, ora passionale con abbandono, hanno confermato la solida arte di Campanella che vanta una carriera ultra cinquantennale peraltro allargata spesso alla direzione d’orchestra. Va sottolineato comunque che il momento più alto lo si è ascoltato nel secondo movimento dove il dialogo tra solista e orchestra distende una sublime, ampia cantabilità e che Campanella ci ha donato impalpabile, quasi un’esperienza onirica; una sicurezza ristoratrice prima di cedere al granitico Rondò finale eseguito con un certo compiacimento mai autoreferenziale bensì coinvolgente e a favore del pubblico. Le richieste di bis sono state accontentate ma, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare, non è stato concesso un pirotecnico assolo lisztiano bensì la dolcezza trasognata del Momento Musicale n. 3 in fa minore di Schubert. Se cercavamo una conferma alla grandezza di questo grande artista la si è avuta dalla semplicità di questa scelta, vista quasi con gli occhi di un bambino che vuole mostrare il suo giocattolo preferito agli adulti. Ancora una volta l’Orchestra della Fondazione Arena di Verona ha saputo incorniciare degnamente il complesso disegno pianistico del comporre beethoveniano che spesso è pensato sinfonicamente; ben condotta dalla giovane ma già matura Gianna Fratta ha dipanato il tessuto strumentale assecondando per l’appunto il suono sinfonico del pianoforte.
La seconda parte del concerto apriva alle suggestioni dei paesaggi scozzesi con la Sinfonia n. 3 di Mendelssohn che la Fratta ha interpretato con coraggiosa apertura, sfidando ogni difficoltà che questa superba partitura nasconde dietro una tavolozza timbrica e dinamica davvero ricca. Ispirata dal viaggio in Scozia nel 1829 (che porterà anche alla composizione dell’ouverture Die Hebriden) e composta in un arco temporale insolitamente lungo (fu accantonata per circa dieci anni) segna il passo di un nuovo concetto di sinfonia, non più genere di intrattenimento ma devota ad un certo descrittivismo già introdotto da Beethoven. Qui Mendelssohn vuole rievocare l’atmosfera e le impressioni suscitate dal suo viaggio, riuscendo nel suo intento con una creazione dal forte potere evocativo come nel caso del mugghiare impetuoso del mare nel primo movimento, reso eccellentemente dagli archi areniani. In tutto questo, come già detto, la disinvolta e quasi spavalda lettura di Gianna Fratta ha avuto ragione della partitura mendelssohniana; l’orchestra ha risposto con prontezza e spiccato virtuosismo, specie nei movimenti vivaci, in perfetto equilibrio tra le sezioni archi e fiati. Un’esecuzione assolutamente godibile (già di per sé la scrittura di Mendelssohn risulta elegante ed aristocratica) e meritevole di consensi che sono arrivati puntuali da parte di un pubblico più numeroso dell’appuntamento precedente e che annoverava (grazie al cielo!) anche ragazzi e bambini. Foto Ennevi per Fondazione Arena