Teatro Comunale di Sassari: “Il Telefono” & “La serva padrona”

Teatro Comunale – Stagione Lirica 2021
“IL TELEFONO” (The Telephone)
Opera buffa in un atto  di Giancarlo Menotti.
Musica di Giancarlo Menotti
Lucy ALEKSANDRA KUBAS-KRUK
Ben FILIPPO POLINELLI
LA SERVA PADRONA”
Intermezzo per musica in due parti di Gennarantonio Federico.
Musica di Giovanni Battista Pergolesi
Serpina ALEKSANDRA KUBAS-KRUK
Uberto FILIPPO POLINELLI
Vespone SALVATORE CARUSO
Orchestra dell’Ente concerti Marialisa De Carolis
Direttore Alessandro Palumbo
Regia, scene e costumi Jacopo Fo
Regia ripresa da Matteo Mazzoni
Light designer Marco Scattolini
Allestimento dell’Ente concerti Marialisa De Carolis in coproduzione con la Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi
Sassari, 12 novembre 2021
Si può apprezzare un confronto tra due opere così distanti nel tempo? Certamente si, ed è stimolante l’idea di un connubio tra il primo esempio di opera buffa storicamente accertata, evasa dal suo ruolo secondario come intermezzo di un’opera “seria”, e uno degli ultimi tentativi moderni di un certo successo per ridare vita al genere. La Serva Padrona e The telephone hanno tra l’altro (quasi) lo stesso organico vocale, una sarcastica visione delle proprie rispettive contemporaneità borghesi e un linguaggio musicale comunicativo ed estroverso. Facile anche riscontrarvi comuni connessioni musicali, atteggiamenti vocali, agile sintesi drammaturgica ma anche un sano scetticismo sull’eterna difficoltà nei rapporti uomo-donna. Il terzo appuntamento della stagione lirica di Sassari, proposto dall’Ente concerti Marialisa De Carolis, ha quindi più di un motivo di interesse nonostante tale confronto sia evidentemente sbilanciato: da una parte c’è uno dei grandi lutti della musica, il compositore italiano che, se avesse superato la giovine età, sarebbe potuto diventare un riferimento assoluto (unico autore del repertorio antico a essere regolarmente eseguito e apprezzato anche nella Vienna di Mozart e Beethoven…) Dall’altra c’è Gian Carlo Menotti, grande organizzatore e ideatore, ottimo uomo  di teatro, ma compositore lontano  per valore e originalità non solo da Pergolesi, ma anche dal coevo Benjamin Britten, per rimanere a una scrittura lontana dalle avanguardie del 900. Comunque il talento scenico dell’autore italo-americano, autore anche del libretto, rende la sua operina gradevole e spiritosa, sorprendentemente attuale nell’argomento dopo quasi ottant’anni, ma senza che decolli musicalmente oltre un dignitoso mestiere zeppo di citazioni stilistiche. L’idea produttiva funziona ed è coerente fondamentalmente per due aspetti, il primo è la deliziosa regia di Jacopo Fo, ripresa da Matteo Mazzoni, che sfrutta nell’allestimento il tagliente talento visivo del suo ideatore. Le due vicende di coppia si svolgono nel medesimo “teatrino” contornato da colorazioni vivaci, false prospettive e arredi che definiscono un’area fondamentalmente bidimensionale, da fumetto, anche grazie ai tagli luce di Marco Scattolini. I due secoli di distanza tra le opere sono appena sottolineati dai costumi di scena e da alcuni dettagli decorativi, ma è evidente il desiderio di unificare sotto lo stesso sguardo ironico due situazioni grottesche, ben più vicine della loro superficie, figlie di convenzioni e convinzioni sociali in cui si può rispecchiare lo spettatore di qualunque epoca. L’eterno duello tra maschio e femmina è sottolineato da curatissimi movimenti e geometrie sceniche cui collaborano anche alcune figure e interventi di sfondo, tra cui il bravissimo mimo Salvatore Caruso, “servo che non parla” nell’opera di Pergolesi ma abilmente utilizzato anche in esilaranti siparietti per The telephone. Il secondo aspetto è relativo alle ottime maschere portate in scena dai due interpreti, validi e credibili sia sotto l’aspetto scenico che vocale in ambedue i titoli. Considerando la grande differenza della scrittura musicale, pur considerando che i miracoli non li fa nessuno, ciò era tutt’altro che scontato e va sottolineata, oltre l’aspetto tecnico, l’adattabilità stilistica dei protagonisti. Il talento di Aleksandra Kubas-Kruk ha probabilmente il compito più semplice nel destreggiarsi tra le tessiture vocali di Lucy e Serpina, riuscendo a dipingere due figure caratterizzate anche sul piano timbrico e dinamico; forse più a suo agio nelle celeberrime arie de La serva Padrona rispetto ai frequenti affondi di Lucy, è da notare anche la buona differenziazione scenica dei due personaggi. Evidente anche la qualità del legato ed è stata sicuramente apprezzabile per la varietà di sfumature dinamiche, specialmente nel registro acuto. Più complessa la resa vocale delle figure di Ben e Uberto, comunque solidamente realizzate da Filippo Polinelli, perché se il personaggio di Menotti si muove fondamentalmente in una tradizionale estensione basso-baritonale, il maturo burbero pergolesiano è parte da specialisti, per quei bassi buffi dagli acuti facili ma con gravi sonori di cui c’è penuria in ogni dove. Bisogna dire che Polinelli, dotato di un’eccellente timbrica grazie a una ricchezza armonica rara, pur non essendo uno specialista riesce a realizzare un personaggio credibile e vocalmente centrato anche nelle incursioni del registro grave, vocalmente proibitivo per la maggior parte dei bassi baritoni attuali. Le chiuse sui fa e mi bemolle profondi sono prudentemente evitate, però la bella vocalità, la discreta agilità e la notevole presenza scenica collaborano senza dubbio ad una prestazione positiva.
La direzione di Alessandro Palumbo, alla guida di un’agile Orchestra dell’Ente concerti De Carolis, non è sembrata precisissima in certi attacchi e ripartenze e sarebbe stata sicuramente necessaria una concertazione meno generica e stilisticamente più differenziata per i due lavori, ma ha condotto l’operazione in porto senza particolari affanni. E il pubblico? Si è divertito, ha applaudito con convinzione e ha apprezzato uno spettacolo fresco, sicuramente sgombro delle affettazioni e retoriche sempre in agguato dietro ogni rappresentazione di teatro musicale.