Venezia, Teatro La Fenice, Stagione 2020-2021
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Mario Venzago
Franz Joseph Haydn: Sinfonia in sol maggiore n. 100 Hob.i:100
Johannes Brahms: Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98
Venezia, 23 ottobre 2021
Ancora Johannes Brahms compariva tra gli autori presenti nel programma del recente concerto al Teatro La Fenice, diretto da Mario Venzago. Questa volta il tardo romantico Amburghese – rappresentato dalla sua ultima sinfonia: capolavoro di costruttivismo mutuato dai classici e insieme di intensa espressività – si confrontava con uno degli esponenti più insigni del classicismo viennese, Franz Joseph Haydn, di cui si proponeva una delle ultime dodici sinfonie, note come “londinesi”: la Sinfonia n. 100, detta “Militare”, in considerazione del tono dominante nel secondo movimento e presente, seppur in modo meno conclamato, anche nell’ultima parte di quello conclusivo.
Scritta – al pari delle sue undici sorelle – per la società concertistica inglese dell’impresario Johann Peter Salomon, che disponeva di un’orchestra di più di sessanta elementi, la Miltärsymphonie venne iniziata con ogni probabilità, quando il compositore si trovava ancora a Vienna, prima del suo secondo soggiorno nella capitale britannica. La presentazione di questo lavoro al pubblico inglese avvenne il 31 marzo del 1794 alle Hanover Square Rooms e si concluse con un vero trionfo come testimonia la richiesta di bissare il secondo movimento, l’Allegretto: proprio il movimento in cui il musicista si lascia andare a toni militareschi ed eroici, tra squilli di tromba, rulli di timpani, colpi di piatti e grancassa, ad evocare, non senza ironia, l’incedere chiassoso delle parate alla turca, motivo di ispirazione per i compositori del tardo Settecento (si pensi a Mozart).
Giustamente ricca di sfumature e di contrasti è stata l’interpretazione di Mario Venzago che, sorretto da un’orchestra sensibile e scattante, è riuscito a coniugare sapientemente la baldanza militaresca con la grazia settecentesca e la sensibilità preromantica, che convivono in questa partitura; il tutto senza alcuna affettazione, ma con mano leggera, tempi diffusamente spediti e, dove occorreva, senso dell’humor. Dopo l’introduzione (Adagio), immersa in un’atmosfera serena, l’Allegro, è cominciato sommessamente con il primo tema dal ritmo di marcetta, proposto con grazia da flauto e oboi, e poi ripreso dagli archi, prima della poderosa risposta di tutta l’orchestra; cantabile e insieme marziale è subentrato, più oltre, il secondo tema – preannuncio, secondo alcuni, della Radetzky Marsch di Johann Strauss padre –, presente anche nello Sviluppo piuttosto drammatico e, amplificato, nella Coda. Particolarmente contrastato è risultato l’Allegretto dove, dopo il tono suadente con cui si è presentata la melodia iniziale, ha quasi sorpreso il piglio guerresco da essa assunto, quando è stata eseguita da tutta l’orchestra con il fragoroso intervento di timpani, triangolo, piatti e grancassa, poi di nuovo chiamati in causa nella boriosa conclusione del movimento, annunciata da squilli di tromba. Analogamente nel Menuetto, al carattere alquanto baldanzoso del tema principale si è contrapposto l’andamento dolcemente cullante di quello del Trio. Irresistibile è risultato il Finale. Presto, in cui ricorre un concitato e festoso tema da Rondò, insieme a qualche breve cadenza pensosa, fino alla chiassosa conclusione, in cui tutti gli strumenti accessori, intervenuti nelle ultime battute dell’Allegretto, si sono fatti di nuovo sentire, in un tripudio di orgoglio militaresco.
Quanto al secondo titolo, Brahms iniziò la stesura della sua ultima sinfonia a un anno di distanza dalla Terza, componendola in gran parte nel corso di due soggiorni estivi a Mürzzuschlag, in Austria, nel 1884 e nel 1885. Nonostante lo scetticismo e il timore, da parte dell’autore, di una scarsa presa sul pubblico, la prima esecuzione assoluta della sinfonia – sotto la direzione dello stesso Brahms, a Meiningen, il 25 ottobre 1885 – ottenne un successo travolgente, confermatosi poi in Germania, in Olanda e a Londra, mentre la conservatrice Vienna si dimostrerà piuttosto tiepida di fronte alle sostanziali novità della Quarta. Essa si caratterizza, in modo originale, per i suoi sviluppi imprevedibili, i cambi improvvisi dei livelli sonori, i contrasti tra i pizzicati e l’ampio fraseggiare degli archi, il materiale armonico sempre cangiante, il ritmo sincopato e il sapore zigano-ungherese di alcuni passaggi.
Intensamente espressiva e, insieme, tesa a valorizzare la perizia costruttiva di Brahms ci è sembrata l’interpretazione offerta da Venzago, che anche per quanto riguarda il capolavoro sinfonico del compositore amburghese, non ha mai calcato troppo la mano, evitando di indugiare in atmosfere eccessivamente languide ed estenuate, anche attraverso un’adeguata scelta di tempi, per dar vita ad un’esecuzione virilmente lucida, pur di fronte alla profonda drammaticità di questa complessa partitura. Assolutamente rigorosa e partecipe è stata ancora una volte l’orchestra. In base a tale impostazione, il direttore elvetico è riuscito a comunicare, senza affettazione, tutto il pathos dell’iniziale Allegro non troppo, che esordisce con una suggestiva cellula tematica, ai violini, carica di inquietudine – costituita da coppie di note, che variano in base a uno schema predefinito – e si arricchisce, nel prosieguo, di altri spunti tematici, che vanno dall’eroico al lirico, fino al titanico finale, dove il primo tema assume un carattere maestoso, culminando sulle tessiture altissime dei violini, fino alla perentoria, percussiva cadenza conclusiva. Un’aura di poesia ha avvolto il secondo movimento, Andante moderato, aperto da uno scarno motivo intonato dai corni, in cui troviamo un primo tema – esposto dal clarinetto e ravvisabile, in un momento successivo, nell’appassionata melodia degli archi – e poi un secondo tema, un canto dolcissimo dei violoncelli, contrappuntato dai violini. Grande energia ha sprigionato l’Allegro giocoso, assimilabile a uno Scherzo, percorso da una spensierata gioia di vivere, con l’intermezzo di uno squarcio bucolico dominato dai corni. Il magistero compositivo di Brahms si è imposto nell’Allegro energico e passionato, con cui si conclude la sinfonia e con essa la produzione sinfonica del sommo maestro: un esempio mirabile di quella tecnica brahmsiana – denominata da Schönberg tecnica della “developing variation” (variazione sviluppante) –, che rimanda all’antica forma strumentale della ciaccona, assai praticata in età barocca, il cui tema viene presentato dalle voci più acute di una successione di accordi dei fiati e poi più volte variato, così da riproporlo con tratti sempre diversi, in un continuo divenire del materiale musicale, che riscatta la schematicità della forma con la libertà dell’invenzione. Pubblico entusiasta e grandi applausi per il direttore e l’orchestra.