Venezia, Teatro La Fenice, Programma giugno-ottobre 2021 Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Hartmut Haenchen
Johannes Brahms:Sinfonia n. 3 in fa maggiore op. 90
Anton Bruckner: Sinfonia n. 3 in re minore WAB 103 (versione 1889)
Venezia, 16 ottobre 2021
Brahms e Bruckner – i due insigni rivali, protagonisti della vita musicale viennese nella seconda metà dell’Ottocento – erano messi a confronto in questo concerto, che finalmente, grazie al parziale allentamento delle misure anti-covid, ha segnato la ripresa dell’attività del Teatro La Fenice senza restrizioni nell’utilizzo dei posti disponibili. Brahms e Bruckner, entrambi residenti a Vienna, si ritrovarono involontariamente a capo di opposte fazioni in seno al pubblico e alla critica: Anton Bruckner, sostenuto dal wagneriano Hugo Wolf, era l’idolo della schiera dei “progressisti”, cultori del Genio di Lipsia; Johannes Brahms, che aveva dalla sua parte l’influente critico Eduard Hanslick, era acclamato dai “tradizionalisti” come continuatore della grande forma classica e legittimo successore di Beethoven. Oggi la contrapposizione Brahms-Bruckner appare molto ridimensionata. Già Arnold Schönberg, nel saggio Brahms il progressivo (1933), metteva in luce il contributo del compositore all’evoluzione del linguaggio musicale, sottolineando i tratti in comune tra l’Amburghese e lo stesso Wagner. Certamente Brahms ha una personalità alquanto diversa rispetto a Bruckner, ma non per questo rappresenta la “reazione”. I due grandi, ognuno con i propri mezzi, tendono alla stesso obiettivo: misurarsi con la forma sinfonica, che Wagner – a parte un non esaltante lavoro giovanile – aveva escluso dai propri interessi. Peraltro in entrambi, pur con i dovuti distinguo, la struttura della sinfonia – riflesso della crisi dell’intera società, di tutto un mondo che sta per finire – appare in via di disgregazione: la concisione e la coerenza logica del linguaggio beethoveniano cedono il passo ad un andamento più divagante, ad un procedere, soprattutto in Bruckner, per blocchi giustapposti secondo il modello sinfonico schubertiano.
Anche nella concezione interpretativa di Hartmut Haenchen, impegnato nella direzione delle due Terze sinfonie, firmate rispettivamente da Brahms e Bruckner, i due grandi rivali – suscitatori, come abbiamo appena ricordato, di infuocate polemiche nella capitale asburgica – apparivano molto più vicini di quanto ci si potesse aspettare, rivelando alcuni tratti comuni, che li connotavano quali precursori dei futuri sviluppi del linguaggio musicale. Testimoniavano in tal senso: la particolare attenzione verso il parametro timbrico, caratterizzante ogni blocco sonoro; la sapiente sottolineatura dei tratti peculiari di ognuno dei molteplici temi – non di rado derivati dall’armonia e imparentati tra loro – e delle loro sorprendenti versioni elaborate; la sensibilità con cui il direttore tedesco riusciva ad esprimere quel particolare clima, da cui è pervaso il tardo romanticismo, così diverso rispetto agli slanci eroici della prima generazione romantica, essendo venato di malinconico rimpianto verso un passato irripetibile. Ne derivava un particolare edonismo sonoro, reso possibile grazie ad una prestazione dell’orchestra veramente encomiabile in tutte le sue sezioni, all’interno di una lettura diffusamente spedita nei tempi, capace di far percepire le macrostrutture di questi due capolavori sinfonici, ma anche di concentrarsi su ogni loro particolare. Particolarmente struggente è stato l’avvio del primo movimento della Terza sinfonia di Brahms con il primo tema che alterna intervalli di terza discendenti a seste ascendenti, cui successivamente si contrappone un secondo tema, più dolce, presentato dai legni, a sua volta seguito da un terzo tema, che ha il sapore di una ritmica fanfara. Più raccolto era il clima dell’Andante moderato, basato sul principio di derivazione tematica dal primo tema, con due temi principali: il primo nobilmente cantabile, ai legni, il secondo più cupo, ai violoncelli. La tecnica di derivazione dal primo tema si è colta anche anche nell’Allegro giocoso con l’orchestra, arricchita di ottavino e triangolo, fra dinamiche con forti contrasti, a sottolineare appunto il clima “giocoso”. Lo spirito di Bach ha nobilmente pervaso il finale, laddove compare un sommesso corale, preceduto dalle sinuose curve del primo tema e seguito da una terza idea tematica cantabile, in una scrittura particolarmente densa di spunti e variazioni.
La Terza di Bruckner, che l’autore, in segno di assoluta devozione verso l’autore del Ring, volle intitolare Wagner-Symphonie, conobbe – come accadeva spesso alle partiture dell’insicuro compositore di Linz – numerose revisioni. La versione della sinfonia bruckneriana proposta dalla Fenice è l’ultima, datata 1889. Autorevole ed efficace è stato il gesto direttoriale anche nell’affrontare questa monumentale partitura. Lo si è apprezzato nel primo movimento, che prende avvio da un ostinato di arpeggi, evocante un’atmosfera misteriosa, su cui dopo poche battute si staglia il solenne tema principale – costituente il nucleo generatore dell’intera sinfonia, basato su grandi salti derivanti dall’accordo di re – mirabilmente esposto dalla tromba, ripreso con altrettanta maestrìa dal corno e seguito da un crescendo culminante in un fortissimo di tutta l’orchestra. Solo dopo molte battute appare il secondo tema, soave e sinuoso, che è stato esposto con perfetta coesione dagli archi e dai corni. Dopo un corale, che funge da terzo tema, inizia lo sviluppo, costituito principalmente da un’elaborazione del primo tema. Anche nel successivo Adagio – ugualmente basato su tre temi distinti: il primo, un cantabile esposto dai violini, il secondo avviato da una distesa melodia delle viole, il terzo simile ad una preghiera, affidato ancora agli archi – il direttore e l’orchestra hanno trovato di volta in volta il giusto accento. Violini, violoncelli e contrabbassi hanno brillato nello Scherzo, che ha un andamento vorticoso, interrotto dal Trio, che è invece un Ländler, pieno di connotazioni umoristiche, sostenuto dal pizzicato degli archi. Insieme a tutta l’orchestra, gli ottoni – oltre che nel corso dell’intera sinfonia – si sono imposti per la bellezza del suono e la perfetta intonazione, nel grandioso finale: nel primo tema, affidato alle trombe e ai tromboni, dalla possente scrittura accordale e dal profilo ritmico simile a quello del primo tema del movimento iniziale; nel secondo, derivante dalla fusione di un corale degli ottoni con un ritmo di polka scandito dagli archi; nel terzo, in forma di canone stretto, che coinvolge tutte le sezioni strumentali; nella coda, laddove si ripropone trionfalmente il motivo iniziale del primo movimento in un brillante re maggiore. Applausi scroscianti con accenni di standing ovation nei confronti del direttore – che ha doverosamente segnalato tutte le sezioni orchestrali – alla fine della serata. Foto Melle Meivogel