Teatro Comunale di Sassari: “Madama Butterfly”

Sassari, Teatro Comunale – Stagione Lirica 2021
“MADAMA BUTTERFLY”
Tragedia giapponese in tre atti di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa.
Musica di Giacomo Puccini
Madama Butterfly (Cio-Cio-San) KARAH SON
Suzuki MARTINA SERRA
Kate Pinkerton PETRA HALUSKOVA
F.B. Pinkerton ROBERTO ARONICA
Sharpless ANGELO VECCIA
Goro BRUNO LAZZARETTI
Yamadori CLAUDIO DELEDDA
Lo zio bonzo ALESSANDRO ABIS
Yakusidé PAOLO MASALA
Il commissario imperiale GIANLUIGI DETTORI
L’ufficiale del registro ANTONELLO LAMBRONI
La madre di Cio-Cio-San CRISTINA RAIANO
La zia CLAUDIA SPIGA
La cugina ELENA PINNA
Orchestra dell’Ente concerti Marialisa De Carolis
Coro dell’Ente concerti Marialisa De Carolis
Direttore Marco Alibrando
Direttore del coro Antonio Costa
Regia Giulio Ciabatti
Scenografia Maddalena Moretti
Costumi Filippo Guaggia
Luci Toni Grandi
Nuovo allestimento dell’Ente concerti Marialisa De Carolis
Sassari, 8 ottobre 2021
Una Madama Butterfly che, ci auguriamo, chiuda la stagione delle restrizioni Covid ha inaugurato la stagione lirica di Sassari, organizzata dall’Ente Concerti Marialisa De Carolis presso il Teatro Comunale della città. Diciamo subito che l’importanza sociale e il segnale positivo dato nell’occasione travalicano l’esito strettamente artistico, che è stato comunque più che soddisfacente al netto dei noti impedimenti da allestimento “a norma”. La limitazione più grossa è stata sicuramente per il pubblico, con una richiesta d’ingressi nettamente superiore alla disponibilità data dal distanziamento anti contagio; ma la notizia appena arrivata della fine del contingentamento per i posti fa sperare nella possibilità di un ritorno al grande pubblico per le prossime produzioni. La seconda limitazione riguarda inevitabilmente la scena, dove i movimenti e le posizioni sono condizionati dal rispetto dei distanziamenti. È stata intelligente da questo punto di vista la scelta di un’opera dove, a parte l’inizio e la fine, non succede praticamente “nulla”, ma sono state anche determinanti ed efficienti le scelte del regista Giulio Ciabatti che, con le scenografie di Maddalena Moretti e i costumi di Filippo Guggia, ha firmato un allestimento pulito ed essenziale, perfettamente integrato nella drammaturgia e nella situazione contingente. La scena spoglia, la passerella, le pedane basse, la decorazione affidata esclusivamente a pannelli dipinti con pochi colori e i movimenti limitati ed essenziali rimandavano inevitabilmente al No, la più alta e importante forma di teatro musicale giapponese che, nell’estrema stilizzazione anti naturalistica della rappresentazione, evita praticamente ogni forma di contatto fisico tra i cantanti-attori: sentimenti e reazioni vengono espressi con minimi gesti eleganti e convenzionali, la cui perfetta esecuzione è apprezzata dai cultori del genere. Ovviamente senza arrivare alla sofisticazione assai complessa di un tale sistema drammaturgico, la regia è apparsa congrua con una visione in tale direzione; ha funzionato molto bene nelle scene d’assieme dove sono apparse calibrate le geometrie degli spostamenti, grazie anche ai costumi ricchi di sfumature cromatiche che arredavano il vuoto della scena. Meno efficaci alcune scene (Suzuki contro Goro, i movimenti col bambino, il lungo duetto alla fine del primo atto) che avrebbero richiesto meccanismi più stretti e un maggior contatto. Interessanti anche alcuni semplici elementi indicativi, come il pannello a destra che nel primo atto sembrerebbe suggerire i colori della bandiera americana, in pendent col vestito simil-giapponese di Pinkerton (facendo forse intuire l’integrazione culturale più di apparenza che sostanziale della scena) e dei cubi rossi multiuso che “macchiavano” il pulito impianto scenico, probabilmente unica allusione visiva alla tragedia sotto traccia di tutta l’opera. Il palcoscenico si è adeguato abbastanza bene allo stile della recitazione, con ottima disinvoltura specie delle donne (anche nel coro) e qualche impaccio per gli uomini, ma nel complesso lo spettacolo è stato elegante e ben calibrato, grazie anche all’intervento delle luci di Toni Grandi, fondamentali in un simile allestimento.
Il cast è apparso nel complesso adeguato a una delle più amate opere del repertorio, ma con alcune differenze. La protagonista, Karah Son, riesce a essere intensa nella recitazione e nell’espressione, ma non è sostenuta da una vocalità del tutto adatta al ruolo; al netto di alcune difficoltà dovute a problemi di salute (visibili comprensibilmente nella prudenza per la tenuta degli acuti e in una generale leggerezza) il registro medio-grave non sembra avere il corpo necessario per “passare” un’orchestra pur ridotta al minimo indispensabile. La creatrice del ruolo, Rosina Storchio, a suo tempo debuttò come Carmen, giusto per dare un riferimento alla vocalità che richiederebbero le note nella parte bassa del pentagramma. In compenso sono state assai apprezzabili certe mezze voci, la bellezza chiara del timbro e tutta la scena iniziale, che calza perfettamente all’ingenuità del personaggio ancora acerbo e mette in difficoltà tanti vocioni, spesso ridicoli in certi bamboleggiamenti infantili. Comunque Un bel dì vedremo è stata ben cesellata e ricca di sfumature che hanno valorizzato la vocalità delicata e sensibile dell’interprete. Roberto Aronica al contrario ha mostrato sicuramente mezzi vocali importanti, con una tecnica solida e ben proiettata direzionalmente, ma anche una certa uniformità nelle sfumature e nell’espressione che hanno reso un po’ troppo monolitico e uniforme il personaggio. È sicuramente impresa ardua tirar fuori da Pinkerton chissà quali profondità, ma la differenza tra la fatuità superficiale del primo atto e la velatura malinconica di Addio fiorito asil e del finale sarebbe potuta essere sicuramente più evidente. Martina Serra nel ruolo di Suzuki disegna anche lei una parte con una vocalità leggera e gradevole, in perfetta sintonia con la Son, e pienamente convincente appare lo Sharpless di Angelo Veccia: la voce bella e brunita aiuta l’interprete in una buona varietà di accenti e sfumature che ben disegnano lo spessore umano di un personaggio “parlante”, centrale nella drammaturgia pur senza l’importanza vocale dei protagonisti. Nella consueta tradizione un po’ caricaturale del personaggio ha ben figurato il Goro di Bruno Lazzaretti e sono apparsi adeguati e disinvolti nei loro ruoli Petra Haluskova (Kate Pinkerton), Alessandro Abis (lo zio Bonzo), Claudio Deledda (Yamadori), Paolo Masala (Yakusidé), Gianluigi Dettori (il commissario imperiale), Antonello Lambroni (l’ufficiale del registro), Cristina Raiano, Claudia Spiga ed Elena Pinna (le parenti di Cio-Cio-San).
Il giovane direttore Marco Alibrando ha mostrato la buona elasticità agogica indispensabile per condurre questo repertorio e una sensibilità interessante nell’accompagnare le linee del canto; fondamentale l’accordo col coro, preparato da Antonio Costa, che ha ben figurato nel celeberrimo “a bocca chiusa” tra secondo e terzo atto, e con una buona orchestra dell’Ente concerti De Carolis. Alcuni piccoli problemi d’insieme col palcoscenico e d’intonazione tra gli strumentini, probabilmente ingenerati dalle difficili condizioni date dalle separazioni in buca, non hanno inficiato un prestazione sicuramente apprezzabile. Caloroso il successo alla fine dello spettacolo che ha premiato tutti gli interpreti.