Modena, Teatro Comunale “Pavarotti-Freni”: “Lucia di Lammermoor”

Modena, Teatro Comunale Pavarotti-Freni – Stagione d’Opera 2021
LUCIA DI LAMMERMOOR
Dramma tragico in due parti su libretto di Salvatore Cammarano dal romanzo “The bride of Lammermoor” di Sir Walter Scott.
Musica Gaetano Donizetti
Lord Enrico Ashton ERNESTO PETTI
Miss Lucia
 GILDA FIUME
Sir Edgardo di Ravenswood
GIORGIO BERRUGI
Lord Arturo Bucklaw
MATTEO MEZZARO
Raimondo Bidebent
VIKTOR SHEVCHENKO
Alisa
SHAY BLOCH
Normanno CRISTIANO OLIVIERI
Orchestra Filarmonica dell’Opera Italiana “Bruno Bartoletti”
Coro Lirico di Modena
Direttore 
 Alessandro D’Agostini
Maestro del Coro Stefano Colò
Regia Stefano Vizioli
Scene Allen Moyer
Costumi Farani – Sartoria Teatrale, Roma e Sartoria Teatrale Fiorentina di Massimo Poli
Luci Nevio Cavina
C
oproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena e Teatro Galli di Rimini. 
Allestimento Teatro di Pisa in collaborazione con Opéra Côte d’Azur.
Modena, 24 ottobre 2021
Sulla produzione di “Lucia di Lammermoor” andata in scena a Modena recentemente sorgono alcune perplessità, la più grande riguardante l’effettivo apporto di quattro teatri in una produzione: perché, parlando chiaramente, la messa in scena è piuttosto dimessa e, a nostro parere,  poco riuscita – dovrebbe esserci un proscenio cosparso di tombe, ma più che lapidi sembrano scatole ammassate in alcuni angoli. Stefano Vizioli fa un buon lavoro nelle relazioni tra personaggi, nei pochi cambi scenici previsti (davanti a un tulle, dietro a un tulle, sulla pedana, giù dalla pedana), ma l’impianto buio e statico della scena (illuminato senza particolare fascino) certo non conquista lo spettatore. Pure le proiezioni utilizzate e i  costumi seguono questo trend: leggendo le note di scena si specifica come questa pulizia in toni di nero sia voluta per esacerbare il tragico destino dell’intera vicenda, ma non è detto che se un’idea è fondata essa sia pure quella giusta. Oltre al fatto che se si fosse voluta ricreare un’atmosfera da film noir, si sarebbe dovuto anche trasporre il periodo storico d’ambientazione dell’opera, che invece è rimasto su un generico Ottocento. È un vero peccato, perché se c’è un’opera che si può rileggere in decine di modi diversi è proprio “Lucia”, specialmente quando si hanno a disposizione interpreti giovani e talentuosi, come in questo caso. Ernesto Petti è un Enrico  convincente: bello il colore vocale, ben dominata la tessitura e una presenza scenica altrettanto sicura – aiutato certamente dal ruolo del “cattivo”. Centrato, ma talvolta un po’ sopra le righe, anche l’Edgardo di Giorgio Berrugi, che si conferma interprete sensibile, dal fraseggio ben tratteggiato e complessivamente coinvolgente nella sua performance. Convincente, ma con riserva, è la Lucia di Gilda Fiume: per quanto il soprano salernitano abbia una voce ricca e carezzevole, naturalissima anche nelle colorature e nel registro acuto (pregevole la sua scena della pazzia), manca quel quid di personalità, quella sottile caratterizzazione che distingue un fraseggio corretto da un’interpretazione vibrante. Dato che il ruolo le è del tutto familiare, c’è da augurarsi che la Fiume riesca a portare la parte a un livello di profondità maggiore interpretativa. Ben caratterizzato il Raimondo di Viktor Shevchenko: il basso ucraino mette il suo bel timbro di autentico basso, e una tecnica altrettanto sicura, al servizio del personaggio, conferendogli gli adeguati colori e tratti caratteriali. Anche il mezzosoprano Shay Bloch, riesce a fare emergere il personaggio di Alisa, molto coinvolta sul piano scenico. Complessivamente corrette le prove di  Matteo Mezzaro (Arturo) e di  Cristiano Olivieri ( Normanno). Valido l’apporto vocale e scenico del coro lirico modenese, gli artisti del coro partecipano attivamente alla compiutezza della messa in scena – complimenti a loro e al loro direttore Stefano Colò. Ci è parsa un po’ spigolosa la concertazione del M° Alessandro D’Agostini. Non sempre la buca e il palcoscenico sono in sintonia, e non sempre la ragione sta dalla parte della bacchetta; D’Agostini, tuttavia, nei momenti di maggiore pathos e dramma, sa creare atmosfere appropriate. Il pubblico, sempre ammaliato dal capolavoro donizettiano, applaude con grande convinzione. La stagione modenese è proseguita con le repliche della “Norma” già andata in scena a Piacenza e confermerà la sua vocazione belcantistica con la “Giovanna d’Arco” di Verdi il 19 e il 21 novembre prossimi. Foto Rolando Paolo Guerzoni