Milano, Teatro alla Scala: “Madina” e la potenza comunicativa del corpo

Milano, Teatro alla Scala, Stagione lirica 2020/21
“MADINA”
Libretto di Emmanuelle de Villepin tratto dal proprio romanzo La ragazza che non voleva morire.
Musica Fabio Vacchi
Coreografia Mauro Bigonzetti
Kamzan ROBERTO BOLLE
Madina  ANTONELLA ALBANO
Olga  MARTINA ARDUINO
Louis GIOACCHINO STARACE
Sultan  GABRIELE CORRADO
Mezzosoprano ANNA-DORIS CAPITELLI
Tenore CHUAN WANG
Attore FABRIZIO FOLCO
Orchestra e corpo di ballo del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Michele Gamba
Luci e scene Carlo Cerri
Costumi Maurizio Millenotti 

Prima mondiale
Milano, 1 ottobre 2021 

Che cosa sento per i kamikaze che sono morti con loro? Nessun rispetto. Nessuna pietà. No, neanche pietà. […] A me i kamikaze cioè i tipi che si suicidano per ammazzare gli altri sono sempre stati antipatici, incominciando da quelli giapponesi della Seconda Guerra Mondiale”. Se Oriana Fallaci, proprio vent’anni fa, emetteva senza mezzi termini una tale condanna nell’articolo La rabbia e l’orgoglio, oggi, con Madina, Emmanuelle di Villepin (l’autrice del libretto, nonché del romanzo da cui l’opera è tratta, La ragazza che non voleva morire), Fabio Vacchi (il compositore delle musiche) e Mauro Bigonzetti (il coreografo) cercano di scavare più a fondo, per andare a cercare una delle possibili risposte alternative. Madina è una nuova produzione del Teatro alla Scala, che è stata presentata in prima mondiale il 1° ottobre 2021, in ritardo di circa un anno a causa della pandemia. Una produzione che cerca di non cedere alla facile solennità di un argomento impegnato: le musiche di Vacchi interpretano in modo originale musicalità dal sapore avanguardista di inizio Novecento, memore della sintesi espressiva operata da Luigi Nono; le coreografie di Bigonzetti creano delle belle immagini che colpiscono l’immaginario dello spettatore. Nonostante la sua messa in scena abbia avuto luogo due mesi fa, è ancora attuale parlarne, perché questo spettacolo è ora noleggiabile sulla piattaforma ITsART. Certo, tutti siamo dell’avviso che il teatro vada vissuto dal vivo, ma questo tipo di strumenti permette, a prezzi popolari, di abbattere le barriere geografiche e di tempo, e creare nuove occasioni per poter godere dell’arte. Qualora non abbiate avuto modo di vedere questo spettacolo, ecco l’occasione per farlo! Madina è presentato come uno spettacolo di “teatro-danza”, ma più che di teatrodanza à la Pina Bausch, l’intenzione è quella di essere un’opera sinestetica: alla danza, e ovviamente alla musica, si unisce la lirica, e il melologo. All’attore sono affidate le parti più squisitamente narrative, o di lettura del diario di Madina; mentre i due cantanti lirici danno voce ad alcuni dei personaggi principali: un tenore e un soprano che eroicizzano i momenti salienti. La protagonista eponima è una kamikaze, ma anche una donna violentata, non solo fisicamente, che viene interpretata con toccanti risultati da Antonella Albano. Madina viene infatti obbligata a fare la terrorista da suo zio Kamzan (un sorprendentemente violento Roberto Bolle), dopo essere stata offesa, vilipesa, risucchiata da un gorgo di violenza, nata da altra violenza – l’uccisione della sua famiglia da parte dell’esercito invasore proveniente dall’occidente. Per questo Kamzan la obbligherà a divenire kamikaze. Nelle intenzioni di Fabio Vacchi il corpo di ballo è interessante in quanto… corpo, come ha sottolineato in questa intervista, più o meno con tali parole: “Non si può non parlare del corpo. Non si può non parlare a dei corpi. Questa è l’idea mia in questo lavoro. Infatti, tutto prende l’avvio da un corpo offeso, un corpo stuprato; e poi corpi macellati dalla guerra, dalle bombe…”. La visione estetica di Vacchi risiede quindi nella capacità di esprimere del corpo, così da poter parlare ad altri corpi: solo così si può raggiungere l’intelligenza. Questa espressività è quella che sembra guidare anche Mauro Bigonzetti nel comporre la coreografia. I suoi elementi sono ben costruiti e distribuiti nell’arco del balletto: alcuni passi, come se fossero elementi tematici di una partitura, ritornano nel corso dell’esecuzione, in contesti e con sviluppi differenti, il che dà unità formale, ma anche esistenziale alla coreografia. Ad esempio, già il primo passo, la camminata dei guerriglieri che sospende l’attimo, che sviluppa la gamba in avanti quasi come in una moviola, è il primo elemento tematico che ritornerà nelle scene successive: nel grande quadro dove il corpo di ballo, denudato per mostrarne l’anima, incombe verso Madina, arrivando a materializzare il peso che incombe sulla sua coscienza. Il passo dei guerriglieri le si ritorce contro, quindi. Ma oltre ai compositori, c’è da sottolineare anche la grande capacità da parte del corpo di ballo della Scala di essere in grado di farsi corpo, e di saper comunicare come unità.Questo spettacolo è dunque in grado di porre di fronte allo spettatore grandi scene dal forte impatto sensoriale, e questo è pienamente in linea con la visione che del corpo hanno i compositori dello spettacolo. Infatti, se si guarda lo spettacolo senza averne prima letto il soggetto, quello che colpisce non è la linearità della narrazione, che viene continuamente interrotta, mischiata, ripresa. Anche i personaggi sono presentati in maniera fluida. Basti considerare che i due cantanti lirici sono le voci di personaggi via via differenti. Questa fluidità sembra voler sottolineare la comunanza delle sorti degli uomini: il soggetto ruota infatti sulla violenza dei terroristi, e di come essi diventino in tutto simili ai loro aggressori. I momenti di più grande impatto sono perciò quelli che coincidono con i temi portanti dello spettacolo, e dove il corpo di ballo è maggiormente presente. Cito qui degli esempi. Sto parlando della scena corale dei giornalisti, i cui movimenti ne palesano l’alienazione. Ed è in questo frangente che il caporedattore mostra scarso interesse verso la vicenda di Madina: l’attore che ne rappresenta in quel momento la voce afferma che “nulla mi è più estraneo di una kamikaze. Ignoro cosa sarei pronto a sacrificare per difendere i miei ideali, ma so cosa non potrei mai fare: uccidere”. Un altro momento evocativo vede Sultan, il nonno di Madina, interpretato da Gabriele Corrado, contrario alla violenza di suo nipote Kamzan, entrare in scena portando sulle spalle Madina (anche se sul libretto leggiamo il nome di Shamil, il fratello di Madina – un altro esempio della fluidità dei personaggi). Sultan viene poi avviluppato e denudato dal sopraggiungere del corpo di ballo, a cui poi si unisce nell’eseguire quel passo rallentato incombente su Madina di cui abbiamo già parlato. Che Sultan si faccia qui anima nonostante non sia morto non deve stupire, l’aria che viene cantata in questo frangente così si chiude: “Di solito la morte falcia il corpo ma l’anima gli sopravvive. A mio figlio è successo il contrario”. Per chi vive in quel contesto di violenza, l’anima vola via quando ancora è in vita. E queste anime dovrebbero pesare sulla coscienza dei terroristi. Non possiamo poi omettere il passo a due finale tra Madina e lo zio Kamzan. Anche qui la potenza di alcune immagini che si ingenerano è forte: Madina viene messa a testa in giù, presa per il piede dallo zio, e avvitata al suolo in una smorfia di dolore che sembra ricordare la Medusa del Caravaggio; ma simbolica è soprattutto la posa che chiude l’assolo (una posa che verrà ripresa anche in chiusura dal corpo di ballo): Madina tra le braccia dello zio, la gamba protesa in avanti, e Kamzan che prende la mira verso i nemici, colpendoli usandola come fucile. Sarà poi lo stesso corpo di ballo, nel medesimo modo con cui ha spogliato Sultan, a soffocare Kamzan. Lo spettacolo sta dunque per finire, e l’aria che Sultan canta chiude la vicenda con una sentenza che sottolinea nuovamente il concetto di trapasso pur persistendo nella vita: “Il nostro mondo è stato inghiottito dall’odio e dalla furia. Di noi resta solo cenere, ma non siamo morti”. Foto Brescia/Armisano