Milano, Teatro alla Scala: “Il Turco in Italia”

Milano, Teatro alla Scala – Stagione d’Opera 2020-21
IL TURCO IN ITALIA
Opera buffa su libretto di Felice Romani
Musica di Gioachino Rossini
Selim ERWIN SCHROTT
Donna Fiorilla 
ROSA FEOLA
Don Geronio
GIULIO MASTROTOTARO
Don Narciso 
ANTONINO SIRAGUSA
Prosdocimo 
ALESSIO ARDUINI
Zaida LAURA VERRECCHIA
Albazar MANUEL AMATI
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Diego Fasolis
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Regia Roberto Andò ripresa da Emmanuelle Bastet
Scene e Luci Gianni Carluccio
Costumi Nanà Cecchi
Produzione del Teatro alla Scala
Milano, 18 ottobre 2021
L’omaggio scaligero a Rossini si chiude con la produzione de “Il turco in Italia” andata in scena appena prima del lockdown dello scorso anno; è, quindi, come se fosse un nuovo debutto. E il cast è in effetti quello delle aperture importanti: su tutti brilla Rosa Feola, ormai eletta voce belcantista scaligera (sul palco milanese ha in effetti già cantato Ninetta ne “La gazza ladra”, oltre a “L’Elisir d’Amore”, “Don Pasquale” e “Nozze di Figaro”) e non a torto, giacché lo smalto della voce del soprano casertano è più brillante che mai. Accanto alle buone doti d’attrice, la Feola infatti non manca mai di curare con grande intelligenza ed espressività il fraseggio, e la sua è una Donna Fiorilla vocalmente completa: dai languori più lirici, al canto d’agilità, alla tessitura dominata con scioltezza e naturale intonazione. Accanto a lei Antonino Siragusa (Don Narciso) è senza dubbio un’altra conferma del nostro panorama canoro, sia per la freschezza del suono che per la solida tecnica che lo sostiene – come già non abbiamo mancato di notare nella recente prova de “Il Barabiere di Siviglia”, sempre qui alla Scala. Il ritorno a Milano di Erwin Schrott – dopo il concerto dell’ottobre 2020 – non poteva essere migliore: Selim è infatti un ruolo che non solo ne mette in luce le ancora potenzialità vocali, ma anche le istrioniche doti sceniche. Schrott si diverte in scena, gioca con gli altri interpreti, e questa allegria arriva dritta al pubblico: poco importa qualche imprecisione nelle agilità,  la sua energia è palpabile, la linea di canto sicura e qualche scivolone sulla dizione non fa che renderlo ancora più accattivante. Va detto che trova in Giulio Mastrototaro un Don Geronio scenicamente e vocalmente altrettanto frizzante e giocondo, dal fraseggio variegatissimo così come dalla linea di canto ben controllata. Anche il Prosdocimo di Alessio Arduini scivola via con grande naturalezza vocale, sebbene siamo più incerti sul ruolo che la regia gli ha assegnato – pericolosamente simile al Figaro del “Barbiere” di qualche giorno prima peraltro. Prova positiva anche per la Zaida di Laura Verrecchia, che ci appare più a proprio agio nel registro acuto che in quello  centrale. Forse  un po’ acerbo è l’Albazar di Manuel Amati, che ci mostra un bel colore “di grazia”, ma un po’ diafano. Positivi, come sempre del resto, gli interventi del Coro preparato da Alberto Malazzi. A tenere le fila del tutto, Diego Fasolis dirige con gesto deciso, in particolare  nella sinfonia e nei concertati, ma è anche capace di dare il giusto spazio agli abbandoni più lirici; una concertazione che manca di una reale omogeneità di intenti, ma comunque l’unità tra scena e buca è stata sempre rigorosa. La parte visiva è un po’ l’anello debole di questo “Turco”: Roberto Andò, infatti, non sembra avere un’idea precisa dell’ambientazione, né dei rapporti tra personaggi, ed è evidente che lasci molto all’inventiva del cantante la gestione dello spazio scenico. L’unica idea che porta avanti è quella di un Prosdocimo regista di queste vite, alla ricerca di materiale per un dramma (come da libretto) e quindi costantemente in scena, sbucando dalla botola, da dietro una palizzata, da sotto un tavolo, ecc. Il  sussiego col quale Alessio Arduini affronta il ruolo rende ancora più pesante l’idea generale. Anche perché il personaggio di Prosdocimo non è Figaro, non è Ariel o Puck: per Rossini egli è un personaggio sì semiserio, ma in quanto poeta maldestro e quasi parassita di Don Geronio – quindi funzionale alla caricatura buffa di quel personaggio. Anche le scene di Gianni Carluccio e i costumi di Nanà Cecchi non seguono una direzione precisa: lì per lì sembrerebbero ambientati negli anni dell’opera, ma poi saltano fuori accessori di plastica, abiti fiabeschi, case sospese in aria, riferimenti contemporanei che vorrebbero essere funzionali alla vicenda, ma non possono prescindere dalla periodizzazione. Questa strana confusione stilistica non giova al validissimo cast, ma anzi (eccezion fatta per Donna Fiorilla che appare visivamente coerente) risulta fuorviante per lo spettatore. Foto Brescia & Amisano