Milano, Teatro alla Scala: “Il barbiere di Siviglia”

Milano, Teatro alla Scala – Stagione d’Opera 2020-21
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Dramma comico in due atti su libretto di Cesare Sterbini, tratto dall’omonima commedia di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.
Musica di 
Gioachino Rossini
Il Conte d’Almaviva ANTONINO SIRAGUSA
Figaro 
MATTIA OLIVIERI
Rosina
SVETLINA STOYANOVA
Don Bartolo 
MARCO FILIPPO ROMANO
Don Basilio 
NICOLA ULIVIERI
Berta LAVINIA BINI
Fiorello / un Ufficiale COSTANTINO FINUCCI
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Coreografie Nicole Kehrberger
Nuova produzione del Teatro alla Scala
Milano, 15 ottobre 2021
Riccardo Chailly ama Rossini e lo dimostra ampiamente con l’omaggio che nell’ultima annata – pandemia permettendo – ha dedicato al cigno di Pesaro presso La Scala: la consacrazione di quella che potremmo chiamare la “trilogia popolare” rossiniana, composta dalle sue tre opere buffe più celebri – “L’Italiana in Algeri”, “Il barbiere di Siviglia”, “Il Turco in Italia”. Proprio sul “Barbiere”, inoltre, il direttore milanese decide di mettere la sua firma, sdoganando questa opera amatissima sul palco scaligero anche in questo decennio. Così questo amore prende corpo e la direzione del “Barbiere” rasenta la perfezione, ricordando quelle concertazioni storiche grazie alle quali tutti noi abbiamo conosciuto l’opera. L’energico gesto sinfonico sa trattenersi quando si rapporta con i  cantanti, con l’unico vero obiettivo (centrato) di valorizzarli e supportarli. La bacchetta di Chailly lavora per la scena e con la scena, creando un continuum buca-palco praticamente mai interrotto. Su questa linea anche la regia di Leo Muscato con l’idea di fondo di questo allestimento di ambientare l’azione in un’accademia di musica e danza: il coro (nei pochi interventi,  ma di alto livello, anche sul piano della recitazione) diventa quindi una compagine orchestrale nel primo atto e un coro teatrale nel secondo; Berta è una sofisticata insegnante di danza; Rosina la ballerina indisciplinata, e così via. La musica pervade tutto, i figuranti sono danzatori che sovente incorniciano l’azione (anche se talvolta disturbano l’attenzione del pubblico, come nell’aria “La calunnia è un venticello” ), e anche Almaviva diventa un direttore d’orchestra/vocalista. Il  Conte per ben due volte mostra di essere ferrato musicalmente, sia nella serenata “Ecco ridente in cielo”  e in “Se il mio nome saper voi bramate”, sia quando si traveste proprio da maestro di musica: tuttavia questi dettagli non ci sembrano  giustificare pienamente l’idea  registica, che, pur avendo momenti di gradevolezza e fruibilità, talvolta sembra una semplice sequenza di scenette slegate dalla drammaturgia di libretto e partitura – ad esempio: tutte le volte che Don Bartolo rivendica di essere in casa propria, oppure la presenza di un prelato (così è caratterizzato Don Basilio) in una scuola di danza, o ancora la richiesta di ospitalità di un soldato. Queste perplessità  non vanno comunque a inficiare il giudizio positivo sull’intero assetto creativo, senza dubbio impreziosito dai costumi di Silvia Aymonino e dalla fantasia scenografica di Federica Parolini, il cui apporto è davvero fondamentale, considerata l’importanza che viene data ai cambi di scena. La caratterizzazione dei personaggi è invece alterna: se una Rosina starlet ribelle del balletto e un Almaviva concertatore possono essere idee non del tutto peregrine, ci pare meno centrato  quella di Figaro: Muscato lo vede come un trickster, un “divin briccone” come lo apostrofava Jung in un vecchio scritto ricco di fascino; una figura quindi di tessitore di intrighi e scioglitori di nodi, dalla natura semistregonesca, un po’ folletto della terra e un po’ spirito dell’aria, che vede nel Puck shakespeariano il suo massimo rappresentante. Qui, in effetti,  Figaro sembra molto più un folletto che un barbiere, caricato com’è di leziosità nel gesto, nella camminata, persino nella mimica facciale. Tuttavia questo Figaro  che vive nella botola sotto il palco, trasforma i bauli della sartoria in salottini a tema e alza e abbassa un sipario (ovviamente verde) con uno schiocco di dita per consentire i cambi di scena, alla lunga risulta un po’ stucchevole. Per fortuna che l’ottimo apporto del cast mitiga – talvolta fa anche dimenticare – i limiti della rilettura scenica: Mattia Olivieri, ad esempio, pur aderendo in pieno alla figura sopra riportata, la accompagna con un’interpretazione vocale trascinante, dal fraseggio ricchissimo e curato che poggia su uno strumento solido e pienamente controllato. Svetlina Stoyanova è una Rosina ricca di armonici, dal facile abbandono lirico, forse con qualche limite di proiezione nei centri e nel fraseggio non variegatissimo; la solida professionalità tecnica e la naturalezza della linea  vocale di  Antonino Siragusa fanno sì che porti a compimento un Almaviva pienamente convincente; lucida e al contempo esuberante la visione del Don Bartolo di  Marco Filippo Romano: i tratti buffi del ruolo vengono evidenziati con maestria, il fraseggio è gestito con grande intelligenza musicale, la linea di canto è rutilante, e anche scenicamente il personaggio (qui del vecchio impresario dalle mire poco pulite) è caratterizzato con efficacia; convince anche il Don Basilio di Nicola Ulivieri, del quale conosciamo le indubbie doti vocali e sceniche: qualità timbriche e di emissione, oltre a presenza scenica,  anche qui sono in chiara evidenza. Buona, sul piano canoro e scenico, anche la  Berta di Lavinia Bini, anche se nella sua aria la regia non sembra valorizzarla appieno; positivo l’apporto di Costantino Finucci (Fiorello e l’Ufficiale). Questo ottimo “Barbiere” ci lascia ben sperare sulla regolare ripresa della stagione scaligera, che si concluderà nelle prossime cinque settimane con “Il turco in Italia”, con  “La Calisto” di Cavalli e con “L’elisir d’amore” donizettiano. Foto Brescia & Amisano