Gilda Dalla Rizza (Verona, 12 ottobre 1892 – Milano, 5 luglio 1975)
“Cara Gilldetta, leggo che Butterfly sarà cantata da lei una di queste sere. S non dovessi partire per Torino avrei fatto una corsa a Roma per godermela! Perché nelle vesti di Cio-cio-san la cara Gilda deve essere qualcosa per la “bonne bouche”! Qui in questo angolo fantasticamente bello non si sta male. Io, dopo Torino, vi ritornerò sperando in una visitina sua. Oh, come ho sete della sua voce! Addio cara Gildina, affettuosi saluti da Giacomo Puccini “.
Gildina: per oltre settant’anni l’hanno chiamata così. “Da Giacomo Puccini, che mi scrisse questa lettera da Torre Tagliata il 17 gennaio del 1920 in occasione del mio debutto in Madama Butterfly all’Opera di Roma. Per tutti, da Pietro Mascagni, a Matilde Serao e Umberto Giordano, sono sempre stata Gilda e Gildetta”. Come se per Gilda Dalla Rizza questo diminutivo dettato dal sentimento potesse ancora far scaturire ricordi emozioni, pensieri che il suo misterioso mondo di artista fosse sempre pronto ad ospitarli. “Ne è passato di tempo, Quanto? Troppo. Ho creato “La rondine” 50 anni fa; per oltre un quarto di secolo mi sono divisa avrà tutti i teatri d’Europa e d’America; per 15 anni ho insegnato conservatorio Benedetto Marcello; poi sono stata maestra di canto a Trieste e a Udine. Faccia lei il conto del tempo, io non lo voglio più fare “. (…)
Gilda Dalla Rizza si è mossa per oltre 70 anni senza timore di sbagliare e senza che gli applausi e il valore di quella Gildina di un tempo venissero mai meno. “Ho cantato sempre: a Verona dove sono nata mi chiamavano” la bambina che canta “. Anche a scuola tutti mi facevano cantare, così la matematica è la storia andavano a farsi benedire. Quando tornavo a casa mia madre mi domandava: “Che cosa hai fatto oggi”, e io rispondevo: “Ho cantato”. Un giorno, preoccupata per questa figlia che non imparava niente, andò dal preside e si sentì rispondere: “Non si preoccupi per la sua Gildina, canta così bene che sarà senz’altro promossa”. Ed ebbe ragione “. Poi l’incontro con il pubblico. “A 14 anni divenne allieva del maestro Aleramo Ricci di Bologna e fu nel 1912, che durante una lezione venne a sentirmi l’impresario che organizzava la stagione lirica al Teatro Verdi di questa città. Questo signore non riusciva a trovare un elemento adatto per il ruolo di Carlotta nel Werther di Massenet e pensando che forse io era il tipo adatto di scrittura immediatamente per affidarmi la parte.” (…)
“Provo tanta nostalgia per tutte le opere che ho portato al successo come fossero figli miei: la “Parisina” di Pietro Mascagni, “La rondine”, “il Tabarro”, “Suor Angelica” e “Gianni Schicch” di Puccini, “Il piccolo Marat” sempre di Mascagni, “Giulietta e Romeo” di Riccardo Zandonai. Poi vengono le opere predilette, le figlie più fortunate: “Lodoletta” che cantai per la prima volta con Caruso Nel 1915., “Madama Butterfly” con la quale debuttai a Buenos Aires; “Il cavaliere della rosa” di Strauss, “Manon Lescaut” che, come mi scrisse Puccini: “Sarà un gioiello ripresa da voi”. “Traviata” che mi fruttò i complimenti di Arturo Toscanini; “la fanciulla del West” al termine della quale Puccini mi abbracciò commosso dicendo: “Ecco, finalmente ho visto la mia fanciulla”., “Fedora” che mi regalò l’appellativo di “Regina di tutte le “Fedore.” (…)
Sparita del tutto dalla ribalta ( “ho smesso di cantare allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale” ), chiuse in piccole cornici d’argento i ritratti degli amici e dei colleghi, nascosti nel cuore gli affetti più cari, a Gilda Dalla Rizza restano gli scampoli del suo passato di artista, minuscole vampe di una avventura teatrale.
“Sa cosa mi scrisse Giacomo Puccini due mesi prima di morire?” “Sento con piacere dei suoi successi. Io faccio il tranquillo, nervoso-non lavoro – mi annoio. Ho tristezze grandi… Insomma un’altalena poco divertente… A Lucca il 7 daranno Il Trittico, ma non c’è Gilda per la mia Angelica! Spero che lei sia tranquilla e non abbia dispiaceri. Povera “Rondine” mia, quanto ingiusto oblio! Via, via la malinconia! Oh sapesse quante ne deve mandar via! A momenti ci riesco…”
“Vede? il sommo compositore non riuscì a finire l’opera che aveva scritto pensando a me per la sua Liù o per la stessa Turandot, ma volle lo stesso regalarmi qualcosa di prezioso: il suo rimpianto per la vita che se ne andava. Io a che posso regalarlo ormai? “. Ed è più stupita che addolorata. Tutti questi ricordi, tutti questi meriti, tutta questa vita vissuta appartengono alla storia: quella della lirica fatta di pochi emblemi e pochissimi nomi. A riascoltarne l’eco, si sente profonda l’autentica ingiustizia del tempo che passa. (Estratto da “Gilda Dalla Rizza: Ha cancellato dai suoi discorsi la frase: “Ai miei tempi”, di Lina Agostini – Milano, 1972)