Wolfgang Sawallisch (Monaco di Baviera, 26 agosto 1923 – Grassau, 22 febbraio 2013)
“Con chi ha studiato?”. È la prima domanda, retorica e scontata, ma necessaria che rivolgo al maestro Sawallisch. La risposta mi stupisce: “Con nessuno. Ho frequentato l’Accademia di musica soltanto tre mesi in tutta la mia vita, al solo scopo di ottenere quel pezzetto di carta che si chiama diploma, a cui da giovani si dà tanta importanza e che in realtà conta ben poco”.
Vien fatto di pensare che questo grande direttore, voglia scherzare, che si tratti di una battuta. Invece è la pura verità. Sawallisch è davvero autodidatta, forse l’unico esempio del genere fra i musicisti della sua levatura. (…)
Parla italiano correttamente, ma teme sempre di sbagliare: è la sua natura di buon bavarese: vuol essere sicuro. “Sì, è proprio vero, sono un autodidatta”. Si ferma un momento per guardarmi dubbioso. “Autodidatta? Si dice così?”.
Lo rassicuro e lui continua sereno, sorridente, rigirandosi tra le mani, come, fosse un rosario, la sottile bacchetta di legno bianco con l’impugnatura di sughero. Sawallisch è un uomo con il suo fascino: alto, capelli appena brizzolati, occhi chiari, sorriso facile e spontaneo. Potrebbe dare l’idea di un carattere docile e magari debole, egli invece deve possedere una disciplina interiore ed una volontà di ferro. Del resto me lo conferma indirettamente lui stesso.
“Si sente spesso dire che direttori d’orchestra si nasce. Storie. È uno dei luoghi comuni più falsi. Direttori d’orchestra si diventa. Certo, ci vogliono certe qualità; ma nulla può sostituire lo studio, l’applicazione, la ricerca”. Sembra una contraddizione. Da una parte Sawallisch dichiara di non aver mai frequentato accademie e dall’altra insiste sulla necessità della disciplina della conoscenza approfondita. Non è un paradosso e lo spiega. Dall’età di undici anni, cioè da quando rinunziò alla carriera di pianista per dedicarsi a quella di direttore, egli non ha fatto altro che studiare: studiare, aggiunge furiosamente, notte e giorno, come preso da una vera frenesia di saper tutto, di conoscere tutto. Appena aveva imparato a mente uno spartito andava a sentire che cosa ne veniva fuori sotto la direzione dei grandi maestri. (…)
La sua grande guida spirituale è stato Furtwängler, per il quale la sua ammirazione è sconfinata. Sawallisch avrebbe continuato a dedicarsi al pianoforte, uno strumento nel quale aveva già raggiunto in giovane età la statura di concertista, se un giorno non avesse assistito a Monaco a una esecuzione dell’Hänsel e Gretel di Humperdinck. Tornò a casa deciso. Il suo posto non sarà più davanti alla tastiera, ma sul podio. E da allora cominciò a fare incetta di testi, di trattati, di manuali, da cui imparare qualcosa. Oggi, Sawallisch conosce tutto a mente. Ha una memoria musicale stupefacente. La memoria, mi spiega, è come un muscolo del corpo, va esercitata, stimolata, tenuta sveglia da un continuo allenamento. Gli domando quali siano le sue doti naturali.
Musica e sogno
Riflette un momento e mi risponde che la sua qualità o meglio la caratteristica che egli si riconosce è di “sentire” attraverso la lettura degli spartiti. “Sin da quando ho cominciato a leggere le opere musicali ho immediatamente sentito dentro di me il suono complessivo dell’orchestra. Da quei segni neri sparsi sul pentagramma veniva fuori l’effetto degli strumenti. Era, se posso esagerare un po’ per farmi meglio capire, come se assistessi ad un concerto. Non mi restava poi che controllare dove avevo ragione e dove avevo torto andando ad ascoltare le esecuzioni, appena potevo. Ho avuto naturalmente delle sorprese; i grandi direttori d’orchestra mi hanno fatto capire che cosa si può ricavare da un’orchestra: quello che non si potrà mai imparare in un’Accademia, per buona che sia. Il mio studio, perciò, è stato sempre dal vivo: spartiti e concerti”.
Sawallisch è stato definito un classico-romantico ed egli accetta volentieri questa definizione. Ma ci tiene a sottolineare che il suo repertorio comprende anche la musica contemporanea. Dirige tutto e ciò che non dirige (composizioni che si contano sulle dita di una mano) conosce alla perfezione. Il compositore italiano preferito? Forse Verdi, in particolare il Requiem. Di Verdi ha diretto tutto, meno la Traviata: non ne ha ancora avuto l’occasione. “Però (e lo dice senza presunzione) potrei dirigerla stasera senza spartito; anche quella la conosco a memoria”. (…)
Che cosa pensa della musica d’avanguardia? Mi risponde: “Vede, anche la musica che formalmente sembra allontanarsi di più dai grandi fondamenti del repertorio classico, nella sostanza non fa che ripeterne i postulati, che, secondo me. sono immutabili. Per me non esiste musica vecchia e musica nuova. Esiste “la musica”, che è e sarà sempre un pezzetto della nostra anima che, staccandosi da noi, deve penetrare in quella altrui; qualcosa che deve portarci al di là di noi stessi, dei nostri pensieri, delle nostre stesse consapevolezze, come avviene nel sogno”. (…)
Sawallisch dirige una media di otto volte al mese. Quando si riposa?
Forse un mese all’anno, in una villa non lontana da Monaco, circondata da un grande parco; ma si riposa veramente o piuttosto non lavora ancora di più approfondendo il già fatto e studiando il nuovo?… (Estratto da “Wolfgang Sawallisch: Il Mago autodidatta” di Renzo Nissim, Roma, 1970)