Venezia, Teatro Malibran, programmazione aprile-ottobre 2021
Orchestra del Teatro la Fenice
Direttore Umberto Benedetti Michelangeli
Pianoforte Gabriele Strata
Wolfgang Amadeus Mozart: “Le nozze di Figaro”: ouverture; Sinfonia n. 40 in sol minore KV 550; Ludwig van Beethoven: Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in do maggiore op. 15
Venezia, 28 agosto 2021
Dopo la pausa estiva, è ripresa l’attività della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia con un concerto sinfonico, al Teatro Malibran, diretto dal maestro Umberto Benedetti Michelangeli – nipote del sommo pianista Arturo e figlio del violinista Umberto senior – alle prese con celeberrime pagine di Mozart e Beethoven: l’ouverture dalle Nozze di Figaro e la Sinfonia n. 40 in sol minore KV 550 del grande salisburghese – in apertura e, rispettivamente, in chiusura di serata – con l’intermezzo del Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in do maggiore op. 15 del maestro di Bonn – solista, Gabriele Strata. La presenza, nel programma, dei due titoli mozartiani era anche un modo per ricordare il periodo – circa un mese – trascorso a Venezia dal quindicenne Wolfgang, a partire dall’11 febbraio 1771 – nel corso del suo lungo viaggio in Italia insieme al padre Leopold – come attesta una targa posta nei pressi del Ponte dei Barcaroli, proprio a pochi metri dalla Fenice.
Le nozze di Figaro, opera presentata al Burgtheater di Vienna nel 1786, contiene un messaggio positivo: l’affermarsi dell’armonia e della fedeltà coniugale in Casa Almaviva, dopo una serie abbastanza convulsa di vicissitudini. L’ouverture – un movimentato Presto in re maggiore, tra l’altro, innovativo dal punto di vista formale, per l’assenza della consueta sezione centrale in tempo più lento – pur risultando un brano di musica assoluta, senza alcun legame tematico con il resto della partitura – ci immerge immediatamente nel clima concitato, dominante in vari momenti dell’azione scenica, preannunciando, attraverso briose sonorità da commedia, i tumultuosi eventi, che caratterizzeranno la “folle journée”. Scioltezza nel fraseggio, nitore di suono, un classico senso della misura, pur senza compromettere il carattere brioso del brano, hanno caratterizzato l’apprezzatissima interpretazione del maestro Benedetti Michelangeli, sorretto da un’orchestra che ha brillato in tutte le sue sezioni.
Grande successo ha riscosso anche l’interpretazione del Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in do maggiore op. 15 di Ludwig van Beethoven; complice ovviamente il giovane pianista Gabriele strara. Composto tra il 1795 e il 1798 e pubblicato, con alcune revisioni, nel marzo 1801, è una composizione giovanile, anche se non appare per nulla un lavoro di maniera, ma anzi già vi si colgono, insieme a suggestioni provenienti dalla grande tradizione, alcuni stilemi tipicamente beethoveniani: dalla forza espressiva, fatta anche di contrasti, ai ponti modulanti attraverso armonie inattese, alle irresistibili combinazioni ritmiche. Sonorità particolarmente brillanti – tra incisivi staccati e agilità del pianoforte, anche alla mano sinistra – si sono apprezzati nel primo movimento, Allegro con brio, del Concerto, che ha alcuni caratteri del “concerto militare”, in voga alla fine del Settecento: un movimento fresco e gioioso, aperto da un tema in tempo di marcia e avviato alla conclusione da una cadenza del pianoforte, nella cui esecuzione il solista ha sfoggiato anche tutta la sua preparazione tecnica, risultando raffinato interprete in questo passaggio “virtuosistico” così come nei pochi momenti di raccolto intimismo, che contiene il movimento. Da quest’ultimo clima è percorso il Largo, vero e proprio centro espressivo dell’intera partitura, un ampio e nobile movimento, riccamente ornato, affidato a un’orchestra ridotta. Qui, oltre al pianoforte, si è imposta la sezione dei fiati che – composta solamente da clarinetti, fagotti e corni –, acquista un colore insolito; in particolare, assolutamente affascinanti sono risultati gli interventi del primo clarinetto nei suoi vari momenti di dialogo con lo strumento solista. Particolare brillantezza ha caratterizzato il Rondò finale con i suoi tre temi dal carattere di danza, confermando Gabriele Strata, quale solista tecnicamente ineccepibile e maturo dal punto di vista interpretativo. Grande successo, come si è detto, con un fuoriprogramma: il Valzer in do diesis minore op. 64 n. 2 di Chopin.
Ultimo titolo della serata era la Sinfonia n. 40 in sol minore KV 550 di Mozart. Le ultime tre sinfonie del Salisburghese – KV 543, 550 e 551 “Jupiter”, tutte scritte nell’arco di soli due mesi durante l’estate del 1788 – sono un vero e proprio monumento nell’ambito del genere sinfonico. In particolare, nella sinfonia KV 550 convivono perfettamente stilemi di natura eminentemente apollinea e aspetti già preromantici o sturmisch. Mozart riesce, infatti, a coniugare la sua prorompente potenza espressiva ad una straordinaria sapienza compositiva, che si manifesta, tra l’altro, nell’uso ricorrente del doppio contrappunto, su cui poggia l’intera struttura del lavoro. Assolutamente convincente per sobrietà ed equilibrio, per la capacità di mettere in valore sfumature e contrasti di stampo già preromantico, al pari della sapienza contrappuntistica che si coglie nella partitura, è risultata l’interpretazione del maestro Benedetti Michelangeli. Lo si è apprezzato nel Molto allegro iniziale, aperto dal famoso tema anapestico, che costituisce un avvio palpitante, cui la tonalità di sol minore conferisce un’inquietudine sotterranea, ravvisabile anche nel resto del movimento: il secondo tema in maggiore, dal carattere più aggraziato, non è infatti sufficiente a cambiare questo clima psicologico, subito ribadito dalla ricomparsa del primo tema, questa volta intrecciato, in un doppio contrappunto, con una parte di se stesso. La magistrale tecnica contrappuntistica che lo caratterizza, si è pienamente apprezzata nell’Andante in mi bemolle maggiore, velato da una tenue malinconia, così come nel terzo movimento, Menuetto, aperto da un tema in tempo ternario che, nel suo ostinato contrappunto a due voci, esprime un’ansia sottile, rispetto alla quale contrasta il Trio, unico squarcio sereno dell’intera sinfonia. Concitazione agogica e intensità espressiva, pur coniugate ad un’encomiabile compostezza stilistica, hanno connotato il conclusivo Allegro assai, anch’esso percorso da quella sotterranea inquietudine, già notata in precedenza: a partire da un incipit – il primo tema – animato da un’energia irrefrenabile, il movimento si configura quasi come una corsa, che si interrompe bruscamente, inaspettatamente. Il secondo tema – indubbiamente più leggero – è solo una parentesi effimera. Intensamente espressivo è risultato lo sviluppo, uno dei più drammatici scritti da Mozart, con il suo procedere accidentato, dove si colgono modulazioni lontane, arresti e ripartenze, nonché un episodio fugato, fino alla repentina conclusione della sinfonia. Sonoro gradimento del pubblico alla fine della serata.