Torino, Regio Opera Festival 2021: “Pimpinone”

Torino, Regio Opera Festival 2021, Cortile di Palazzo Arsenale
“PIMPINONE”
Intermezzo giocoso su libretto di Pietro Pariati con inserti di John Gay e Johann Philipp Praetorious. Prologo e traduzione ritmica italiana di Mariano Bauduin.
Musica di Georg Philipp Telemann
Ouverture e due arie tratte da The Beggar’s Opera, musica di Johann Christoph Pepusch
Vespetta FRANCESCA DI SAURO
Pimpinone MARCO FILIPPO ROMANO
Mendicante (mimo) PIETRO PIGNATELLI
Orchestra del Teatro Regio di Torino
Direttore Giulio Laguzzi
Maestro al cembalo Carlo Caputo
Regia Mariano Bauduin
Scene a cura di Claudia Boasso
Costumi Laura Viglione
Luci Andrea Anfossi
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Torino
Torino,  27 luglio 2021
È stata una lotta tra musica e pioggia la sera di martedì 27 luglio, nel cortile dello storico palazzo torinese dell’Arsenale. Non si è trattato di una pioggia torrenziale, e nemmeno intensa, che avrebbe mandato al tappeto ogni buon progetto musicale; ma di una pioggerella intermittente iniziata pochi minuti prima delle 21, sufficiente a infastidire il pubblico e a impedire un regolare svolgimento dello spettacolo programmato. Il direttore artistico Sebastian Schwarz ha preso la decisione salomonica di lasciare agli spettatori la scelta tra assistere all’opera o rientrare a casa chiedendo il rimborso del biglietto; e di mandare in scena Pimpinone nella misura in cui le circostanze lo consentivano, cioè con l’orchestra ridotta a un ensemble di cinque archi e cembalo ospitato sul palcoscenico coperto. Dal punto di vista acustico, la serata ci ha probabilmente guadagnato, poiché gli strumenti si sono così trovati a tiro dei captatori di suono del palco, e si è realizzato un amalgama sonoro molto equilibrato tra orchestra e voci, il cui merito va ascritto anche alla bacchetta di Giulio Laguzzi, abile professionista capace di mettere a frutto la situazione di emergenza e di portare a termine la recita senza incidenti. Dal punto di vista visivo, lo spazio scenico è dunque stato ridotto, e tutta la performance della seconda parte è stata di fatto oscurata dagli ombrelli che il pubblico ha aperto in seguito alla ripresa delle precipitazioni. Risulta perciò difficile esprimere un parere sulla regia di Mariano Bauduin, che è comunque parsa fresca e coerente con la semplice drammaturgia della partitura, nonché capace di valorizzarne alcuni nuclei, come il carattere perfido e disonesto di Vespetta, che nell’ultima parte si diverte a sporcare i panni appena lavati dal marito, per colpirlo con nuove umiliazioni. Giova infatti ricordare che, alla vicenda-cliché del vecchio scapolo ricco che si innamora della cameriera e la sposa, Pimpinone aggiunge un’appendice triste, nella quale si svela la vera personalità della serva divenuta padrona, ambiziosa arrivista priva di rispetto per l’uomo che ha sedotto. La scelta di adottare una traduzione italiana del testo (curata dallo stesso regista) è filologicamente discutibile, ma comprensibile; del resto, Pimpinone, rielaborazione di un libretto italiano di Pietro Pariati, nacque mistilingue per le stesse ragioni per cui oggi sono state tradotte in italiano le porzioni tedesche del testo intonato da Telemann. Maggiori perplessità lascia la decisione di interpolare due arie da The Beggar’s Opera, intonate da Pietro Pignatelli, attore che riveste il ruolo del mendicante, ideato dal regista, che gli attribuisce anche un prologo recitato; così come la sostituzione del duetto conclusivo dei protagonisti con un altro estratto dalla stessa Beggar’s Opera: a prescindere dalle evidenti fratture stilistiche che si generano, per la prima rappresentazione di Pimpinone a Torino sarebbe stato preferibile proporre la partitura di Telemann nella sua interezza.
I due solisti si sono dimostrati perfettamente a proprio agio. Il basso Marco Filippo Romano sfoggia un ottimo dominio dei mezzi, e una spiccata padronanza di linguaggio e di stile, dando vita alle sfaccettature del carattere del protagonista senza scadere nella macchietta, come dimostra facendo vivere le pulsioni dell’innamorato nell’aria della seconda parte, o imitando con sarcasmo i discorsi delle comari quando intona «So quel che si dice». Il mezzosoprano Francesca Di Sauro (la definizione sta un po’ stretta, poiché il suo ruolo di Vespetta è da soprano, e l’interprete vi risulta assolutamente adeguata) è dotata di eleganza ed espressività. Colpisce in particolare la sua abilità nel tratteggiare la domestica che con sprezzatura simula i sentimenti che possono compiacere il padrone nelle arie della seconda parte. La concertazione, attenta e composta, risulta adeguata a un’operina gradevole, ma legata a una comicità di genere e in fondo un po’ statica, priva di quel brio che attraversa La serva padrona di Pergolesi e che caratterizza il teatro buffo italiano. Foto Diego Diaz Moral