Nicoletta Panni (Roma, 27 agosto 1933 – 12 settembre 2017)
Roma, aprile 1969
“Sono una media cilindrata”: si presenta con toni modesti, Nicoletta Panni, che, per quanto ci consta, non sa soltanto irritare, ma anche ispirare e commuovere direttori d’orchestra e compositori. La Panni ha sempre bisogno di un sincero rapporto umano con l’autore e l’intera compagnia di canto Di malavoglia sale sul palco se il direttore d’orchestra, il regista o il suo partner non la sostengono moralmente. E talvolta le costa duri sacrifici giungere all’ affiatamento con loro. Difficilmente dimenticherà un Idomeneo con Hermann Scherchen al San Carlo di Napoli nel marzo del 1962 . “In quell’occasione” ricorda la Panni, Scherchen, che aveva preso le redini sia della regia, sia dell’orchestra, mi ha fatto soffrire le pene dell’inferno. Il maestro non mi dava un attimo di pace. Era lui a stabilire meticolosamente la posizione del mio collo, dei piedi, delle mani, degli occhi, oltre che misurare col cronometro ogni mio respiro, dosare come un farmacista il peso dei miei acuti, solfeggiare pedantemente battuta per battuta. Non ne potevo più e scoppiai in lacrime. Inflessibile e autoritario, lui mi richiamo all’ordine. Da quel teutonico torchio disciplinare la mia parte venne però fuori pulita e mozartiana come mai avrei prima immaginato, e Scherchen stesso, alla fine, si congratulò con me “.
Nel 1960 Tullio Serafin non fu molto più tenero, quando lei lo scongiuro di lasciarla in silenzio durante le prove generali di un Falstaff a Torino: “Ti canterà, me dispiase. La tua xe solo fifa”, la apostrofo in dialetto veneto il maestro. La Panni ha bisogno di questi incitamenti, di queste sferzate, di questi incoraggiamenti energici, perché altrimenti si lascerebbe vincere da paura e da una esagerata autocritica.” Quando qualche anno fa morire mia madre “, racconta, “fu Fernando Previtali a salvarmi da un silenzio che avrebbe senz’altro segnato la fine della mia carriera. Quindici giorni appena dopo i funerali, mi ordinò di partecipare ad un concerto a Santa Cecilia . Devo ai suoi modi burbero-paterni se mi sono ripresa dal dolore, cantando”. La Panni lascia insomma capire che il vero un momento artistico, la scintilla e, si accende per lei quando vi sia un po’ di color umano, come a Lisbona, nel 1958, regista Margherita Wallmann, allorché video Francis Poulenc piangere mentre lei stessa interpretava i suoi Dialoghi delle Carmelitane. E non le basta commuovere musicisti. Può Infatti vantare di aver emozionato due Papi. “Papa Giovanni” dice, “mi aveva ascoltato un giorno nel Te Deum di Kodaly. Al termine dell’esecuzione le sue parole d’elogio mi turbarono il punto che dimentica il protocollo: me ne andai stringendo in pugno un magnifico rosario di madreperla”. Qualche anno dopo dopo quando canta per Paolo VI lo Stabat Mater di Szymanowsky, ai suoi cordiali rallegramenti non seppe risponde altro che “Molto gentile!”. Nonostante la grande paura nell’accostarmi ai Pontefici, in fondo in fondo mi diverte cantare davanti a loro mi piace”. Sembra che il soprano ammucchia a bella posta nel suo repertorio molta musica sacra: Messe, salmi, oratori così di averli pronti nel momento in cui dovesse di nuovamente cantare in Vaticano. “Romana de Roma”, da sette generazioni, Nicoletta Panni ha avuto le prime lezioni di canto a 5 anni dal nonno materno, il famoso baritono Giuseppe De Luca, che però non aveva alcun metodo didattico con lei, si limitava a farle ascoltare i suoi dischi, a farle intonare qualche facile romanza, ad improvvisare in casa insieme a lei piccole scene teatrali, più per gioco che per volontà d’insegnamento. Quando, 10 anni più tardi, lo raggiunse in America, la scoraggiò in tutti i modi, quasi un rimprovero per aver abbandonato il liceo ed essersi iscritta al conservatorio di Roma. “Cara”, le ripeteva, “non ti mettere niente in testa: sei intonata ma non farei mai carriera “.In due mesi di lezioni non fece che innervosirla. Peccato che sia morto prima di vederle sulle scene. La Panni aveva cominciato a studiare seriamente musica 16 anni, con Alba Anzellotti, che ancora la segue. “Ho sempre bisogno”, confessa di qualcuno che mi controlli che mi guidi “. Dopo il diploma con con il massimo dei voti si è iscritta ai corsi di perfezionamento di Giorgio Favaretto presso l’Accademia di Santa Cecilia e la Chigiana.
La seconda natura
Nel 1953 quando esordì a Spoleto nel Segreto di Susanna di Wolf- Ferrari si rese tuttavia conto che non era matura per il teatro. E si dedicò alla musica da camera. Questo le servì di base per il melodramma e seguì anche i preziosi consigli di Maria Cascioli, e, fino ad oggi, quelli di Maria Teresa Pediconi. Quando non ha tempo per andare alle sue dalle sue insegnanti, registra ogni interpretazione si ascolta, si analizza e si critica, aiutata in parte dal marito. Assicura che, pur non essendo un musicista non gli sfugge il più piccolo errore della moglie. Nicoletta Panni non ha intanto ha smesso di amare e di coltivare il genere da camera. Passa con disinvoltura dai romantici tedeschi agli impressionisti francesi e chiude generalmente i suoi recital con calde canzoni spagnole: “Nel folklore iberico, confida la cantante. trovo la mia seconda natura.
Rievoca le tappe fondamentali della sua carriera e la predilezione per le opere di Debussy, Busoni, Honegger, Poulenc e Pizzetti. Ricorda poi una serata con Arturo Toscanini, a New York.
“Mi avevano sempre detto che Toscanini era un uomo dal carattere difficilissimo. Io invece lo trovai affabile e in vena di scherzare. La sua gioia più grande fu nel mostrarmi un armadio pieno di cravatte. Ne doveva avere un migliaio e ne andava orgoglioso. Poi ci regalò uno spettacolo inconsueto. Ci fece ascoltare una sua incisione della prima sinfonia di Beethoven: lui stesso davanti a noi fingeva di dirigere l’orchestra. Terminato il “concerto” ci portò davanti al televisore mentre si trasmetteva un incontro di lotta libera. Rimasi a bocca spalancata quando lo vedi imitare i lottatori. Si buttava sui tappeto rotolandosi e piroettando come un ragazzo. Alla fine mi ascoltò in un’aria e mi dedicò una foto con autografo”. Il soprano la indica, incorniciata sul pianoforte: “Alla brava e cara Nicoletta, affettuosamente Arturo Toscanini, 15 marzo 1948”.
(Estratto da “Nicoletta Panni. Imparò a cantare sui dischi del nonno” di Luigi Fait, Roma, 1969)