Enrico Caruso (Napoli, 25 febbraio 1873 – 2 agosto 1921) a cento anni dalla morte.
Il rituale che precedeva ogni sua rappresentazione era sempre lo stesso. Fumava una delle sue 40 sigarette quotidiane, faceva un’inalazione, fiutava una presa di tabacco, beveva un sorso di whisky e mangiava un quarto di mela. In una tasca del costume metteva due bottigliette di acqua tiepida salata che avrebbero potuto servirgli per schiarirsi la gola fra le quinte e in una un’altra i suoi amuleti. Infine, poco prima di entrare in scena e invocava la madre morta perché lo aiutasse.
Poche cose divertivano Caruso come disegnare caricature. Le faceva e poi, con quella generosità che lo distingueva in tutto, le regalava. Con pochi tratti rapidi e sicuri riusciva a cogliere l’espressione, la fisionomia è il mondo è il modo di vestire di una persona. John Pulitzer, l’editore del World di New York, gli offrì più di 30 milioni l’anno per i suoi disegni, ma lui rifiutò. Tutte le settimane, invece, mandava un disegno al suo grande amico Marziale Sisca, direttore di un giornale italiano che si pubblicava New York, La follia, e non accetto mai alcun compenso. “Dagli amici non prendo denaro” diceva a Scisca.
La gente gli chiedeva sempre qualcosa: cantare, disegnare o semplicemente partecipare a una festa di beneficenza e raramente lui rifiutava. Dopo la sua morte la moglie trova una lista di più di 120 nomi a lei del tutto ignoti. Si trattava di persone alle quali lui aveva regolarmente dato dei soldi. Ogni mattina gli mettevo sulla scrivania un pacco di lettere di gente che si rivolgeva a lui per qualche favore. Una volta che sua moglie lo rimproverò perché regalava il denaro con tanta facilità: “Certo, non tutti forse se lo meritano” convenne. “È naturale. Ma dimmi tu come faccio io a sapere chi se lo merita e chi no.”
Un giorno, all’inizio della prima Guerra Mondiale mentre facevamo colazione in un ristorante di Little Italy, si avvicinarono a noi quattro uomini dall’aspetto dimesso. Caruso credendosi si fossero fermati per chiedergli i soldi, tiro subito fuori il libretto degli assegni. Erano invece napoletani che stavano rientrando in Patria per arruolarsi e volevano che Caruso cantasse per loro: avevano raccolto qualcosa come 120 mila lire e gliele offrivano. Il cantante, commosso, l’invitò ad andare la sera dopo nel suo albergo e disse loro di portare degli amici. Arrivarono in 20 e Caruso cantò a lungo per loro. Terminò con una canzone napoletana e alle ultime note scoppiò in lacrime.
Caruso faceva sempre parlare di se… per molteplici ragioni. Una volta una tale gli fece causa chiedendogli un risarcimento di 62 milioni di lire per aver mancato a una promessa di matrimonio. Un’altra signora lo fece arrestare accusandolo di averle tirato un pizzicotto nello zoo di Central Park e il cantante dovette pagare una multa di 6500 lire. Una volta la “Mano nera”, famigerata associazione criminale di siciliani, lo minacciò, e Caruso dovette recarsi al Metropolitan di New York scortato dai poliziotti. Un cavallo da corsa venne battezzato con il suo nome e ogni volta che correva Caruso puntava fiduciosa su di lui, ma il cavallo non arrivo mai primo. Quando Caruso abbandonò le scene era ancora molto giovane. All’inizio di un gelido dicembre del 1920 prese freddo e durante una rappresentazione dei Pagliacci rientrò fra le quinte barcollando e si accasciò fra le mie braccia.
Il medico disse che si trattava di una “nevralgia intercostale”. Caruso rientro in scena e portò a termine la recita, ma alcune sere dopo, mentre cantava L’elisir d’amore, venne colto da un’emorragia. Volle continuare a cantare e dalle quinte io gli porgevo un asciugamano dopo l’altro. La rappresentazione alla fine fu sospesa al grido del pubblico: “Fatelo smettere! Fatelo smettere!”. Alla vigilia di Natale, nonostante sentisse una fitta lancinante al fianco, Caruso cantò L’Ebrea: la mattina dopo spasimava dal dolore. Fu mandato a chiamare un altro medico il quale disse che Caruso avevo una “pleurite acuta”. Gli estrassero il liquido dalla cavità pleurica e successivamente gli praticarono una resezione costale di dieci centimetri. In maggio i medici di permisero di andare a trascorrere la convalescenza in Italia. Era ancora in Italia quando, due mesi dopo, gli viene un ascesso a un fianco e prima che i medici avessero deciso se era il caso di operarlo Caruso morì. Era il 2 agosto 1921. Aveva 48 anni. (Fine)
(Estratto da “Enrico Caruso oltre la leggenda” di Bruno Zirato*)
* Bruno Zirato fu segretario di Enrico Caruso negli ultimi anni di vita del cantante. In seguito fece lo scopritore di talenti al Metropolitan di New York. Nel 1927 passò alla New York Philharmonic presso la quale rimase cone consigliere delegato fino al 1959)